Capitolo 2

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Tecnicamente è vero. La casa, per la legge, è ancora di entrambi, ma a parole le cose stavano diversamente e io ho intenzione di ricordarglielo. Mi avvicino pericolosamente a lei, due passi e le sono di fronte. La supero di ben quindici centimetri, un metro e novantadue contro uno settantasette, quindi è costretta a sollevare il viso verso il mio. Mi fissa con un'espressione di sfida; le sue iridi verdi si scontrano con le mie in una lotta silenziosa dove non so chi due ne uscirà vincitore. Io non ho un carattere facile, ma lei a volte sa essere davvero insopportabilmente testarda.

Le punto un dito poco distante dal suo petto, ma sto attento a non sfiorarla nemmeno per sbaglio.

«Dopo il divorzio abbiamo pattuito che questa casa sarebbe spettata a me, mentre tu te ne saresti andata a vivere in affitto, lontano da qui.»

«Ci ho provato fino a poco tempo fa, ma poi la cosa non è andata in porto, Jack. Lo stipendio non mi basta a pagare un affitto di mille dollari al mese!»

Abbasso la mano e la lascio andare lungo i fianchi, sconvolto.

«Non dirmi che sei ancora in quello squallido casinò!» esclamo, disgustato e allibito.

Ha una zona bar dove lei fa la cameriera ai tavoli, ma gli uomini che lo frequentano non si fanno scrupoli a provarci spudoratamente, trattandola come se fosse un oggetto di alcun valore.

Lei solleva le braccia e nel farlo sbatte involontariamente la sua mano sul mio braccio. Mi sfiora soltanto, ma basta e avanza per farmi scattare. La fulmino con un'occhiata di odio profondo e torno indietro come se mi avesse scottato.

Trascorre qualche secondo dove mi guarda senza aprire bocca, riesco a leggere solo un profondo rammarico; pochi istanti che sembrano un'eternità. Si è resa conto di come mi sono spostato di scatto e probabilmente le ha dato fastidio, ma poco mi importa. Può dire o pensare quel che le pare, per me non conta nulla.

«Sì, esattamente. Lavoro ancora lì e non mi sembra di doverti chiedere il permesso!» ringhia sulla difensiva.

«Infatti, non me ne frega un accidente. Vieni trattata come una sgualdrina, ma in fondo è ciò che sei, no?!» la pungo sul vivo, ma se lo merita e non mi pento di averlo detto.

Sheilyn indurisce lo sguardo, i suoi occhi diventano dei tizzoni ardenti, i suoi piedi fanno un passo avanti e la sua mano si solleva, avvicinandosi rapidamente verso la mia guancia, pronta a colpirmi. Peccato che io abbia i riflessi prontissimi. Nel giro di un secondo le intrappolo il polso piccolo e sottile tenendolo stretto e forse, anche in maniera troppo forte. Fa una smorfia di dolore che non mi sfugge, anche se poi cerca subito di nasconderla a causa del suo orgoglio.

«Lasciami, maledizione!» grida. Lo faccio immediatamente, non aspetto che me lo ripeta una seconda volta. Toccarla è l'ultima cosa che desidero.

Un tempo amavo i suoi occhi verdi, le sue labbra grosse e carnose, il naso piccolo, il mento leggermente all'insù, la sua pelle liscia e vellutata e non per ultimo, il suo corpo da urlo. Era sexy, attraente, provocante, stupenda. Tutte le curve al posto giusto: il ventre piatto, i fianchi stretti, due seni da favola di una quinta abbondante.

Mi faceva eccitare persino la sua voce dolce e delicata, in netto contrasto con il suo carattere affatto semplice.

Non è cambiata di una virgola, è sempre la stessa, ma non per me. Non la vedo più in quel modo, ormai. Ero innamorato perso, la amavo alla follia, ma poi lei ha rovinato ogni cosa. Ha distrutto il nostro rapporto, mi ha spezzato il cuore e ora non sento altro che odio e indifferenza. Non avrei nemmeno dovuto nominarle il suo stupido lavoro, ma mi ha dato un altro motivo per capire quanto non sia affatto cambiata. Non che la cosa mi sorprenda, era abbastanza scontato.

Non so se ti amo ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora