Prologo

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• Aprile 2023

Le prime luci dell'alba trapelano dalle tendine leggere, inondando la stanza. Il loro riverbero fioco si riflette sul suo corpo nudo mentre, rannicchiata al mio fianco, dorme serena.

Le rimbocco il lenzuolo nel quale si è aggrovigliata a tal punto da lasciarsi tutta la schiena scoperta, poi mi volto controvoglia a dare un'occhiata alla sveglia che lampeggia sul comodino.

Le 06:03 del mattino.

Un'altra battaglia persa contro l'insonnia.

Scendo dal letto facendo attenzione a non fare rumore. Ormai sono diventato un vero e proprio ninjia, controllo ogni singolo fruscio di stoffa, scricchiolio del parquet, perfino ogni singolo respiro.

Scalzo, raggiungo la cucina e apro la finestra sul cielo di aprile che inizia a rischiararsi. Alzo gli occhi verso quella distesa eterocroma di rosa, di viola, di blu, di grigio. «Buongiorno.» mi sfugge sul pelo delle labbra, come una vecchia abitudine dura a morire, prima di voltare le spalle allo spettacolo del mondo che si risveglia per prepararmi la mia dose di caffeina.

Aspetto in religioso silenzio che il miracoloso liquido denso fuoriesca pigramente e torno alla finestra per godermi la bellezza della città che sa che è ora di alzarsi, ma ha tutta l'aria di voler restare ancora un po' sotto le coperte, si stiracchia appena e sembra sussurrarci "Altri cinque minuti, per favore".

Le sei di mattina sanno di aspettativa, di sogni, di un giorno nuovo che sta per nascere e che puoi solo immaginare come sarà. La verità su come sarà andata la giornata la scoprirai solo a sera, tirando le somme con te stesso.

Sei stato coraggioso?
Sei stato felice?
Hai reso ogni ora degna di essere vissuta?

Quando la moca inizia il suo solito gorgoglio, mi affretto a spegnere il fornello e afferro una tazzina dal pensile in alto a destra, una di quelle prese con i punti del supermercato. Un movimento distratto, e la ceramica sbatte troppo rumorosamente sul ripiano della cucina.

Cazzo.

Scatto la testa verso la porta della camera da letto.

Non ti svegliare.

La fisso immobile, trattenendo addirittura il fiato.

Ti prego, non ti svegliare.

Quando dopo qualche secondo non si sente nulla se non un assordante silenzio, caccio l'aria dai polmoni, sinceramente sollevato. Torno al mio caffè, me lo concedo immaginandolo come un premio per la mia abilità e mi incanto a guardare i granelli bianchi dello zucchero annegare nella tazzina fumante.

È da un po' che non lo prendo più amaro. Conto mentalmente quanti mesi sono passati dall'ultima volta, in quel autogrill sulla tangenziale. Perché conosco bene il preciso momento in cui ho iniziato a pensare che la vita fosse già troppo amara per berlo senza zucchero.

Sedici mesi e quattro giorni fa.

Torno alla finestra, appoggiandomi con la spalla allo stipite, la tazzina alle labbra e il calore della bevanda che scivola in gola. L'aria fresca mi solletica il petto nudo, mentre la schiena è ancora avvolta dal tepore della casa alle mie spalle. Sono sulla linea di confine tra la monotonia e la bellezza, tra un porto sicuro, conosciuto, e l'imprevedibilità della vita e le sue avventure.

La casa alle mie spalle e il salto nel vuoto di fronte a me.

Mentre sorseggio il caffè mi concentro su ogni dettaglio che si presenta ai miei occhi, anche il più insignificante, per tenere il cervello occupato.

Vanno via Tutti, resti con me?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora