9. Leah

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Dopo una telefonata durata un minuto scarso, ero già sotto il portone di casa sua.

Mentre salivo le scale per raggiungere l'appartamento al secondo piano, non ho fatto altro che lambiccarmi il cervello e torturare con le dita un lembo della mia sciarpa di lana per tutto il tempo, chiedendomi se fosse stata davvero una buona idea catapultarmi qui. Non sono riuscita a sopire il mio dannato terrore di essere un disturbo, neanche ripetendomi mentalmente più volte le stesse esatte parole che avevo ricevuto dall'altra parte della cornetta: «Sei sconvolta, a due passi da dove abito e sto preparando le omelette. Quanti altri buoni motivi ti servono per raggiungermi?»

Suono il campanello con le autoscontro nello stomaco, solo per costringermi a non schiodare e ritornare sui miei passi.

«Ciao, Leah.»

Ad accogliermi, il sorriso luminoso di Amelia, con i suoi riccioli raccolti sulla testa e il luccicante anello al naso.

«Come stai? Entra, entra pure.» la ragazza, con un dilatatore all'orecchio sinistro e quattro piercing tra sopracciglio, naso e labbra, mi precede verso l'interno, vestita solo di una pesante felpa di almeno due taglie più grandi e i calzettoni di lana ai piedi. «Perdona il casino, oggi era il turno di Gin e sai lei come è fatta...» si piega a raccogliere una maglietta abbandonata sul pavimento, alzando la voce di quel tanto che basta per far arrivare il tono di rimprovero alle orecchie della sua compagna, impegnata ad armeggiare in cucina.

Varcata la soglia, un odore di uova, erba cipollina e bacon bruciacchiato precede la visione della mia amica ai fornelli, con un grembiule schizzato di pastella e la ciotola tenuta ferma sotto il braccio mentre sbatte malamente una frusta al suo interno. «Lo sai che il lunedì è sacro per me, amore.» le dedica un occhiolino civettuolo, prima di versare l'intruglio nella padella che è già sul fuoco. «Adesso raccontami tutto.» mi apostrofa poi, puntandomi contro l'attrezzo da cucina ancora sporco con fare ammonitore.

Le riferisco ogni dettaglio di quello che è successo, dalla disavventura con quel Mark, che le fa buttare indietro la testa a furia di ridere per la mia goffaggine, fino al modo in cui Axel ha guardato i miei amici dall'alto in basso, senza tralasciare il bacio schivato, il mistero di dove ha passato la notte e la sensazione vischiosa che si vergognasse anche solo a nominarmi davanti alle persone che frequenta.

È come se man mano che le parole mi fluiscono dalla bocca tutti i tasselli iniziassero a quadrare, a incastrarsi nella mia mente come tanti pezzi di un puzzle. Basta dire tutto ad alta voce e il quadro generale si mostra davanti ai miei occhi in tutta la sua spietata concretezza.

Per tutto il tempo, Amelia è stata una silenziosa presenza, che si è mossa con la discrezione di un gatto per tutta la cucina sistemando un po' di cose qua e là, talmente estranea e disinteressata che quasi mi ero dimenticata di lei. Perciò, quasi sussulto quando di punto in bianco si intromette nella conversazione: «In pratica non state neanche insieme.»

«Come, scusa?» esalo scandalizzata dal suo commento inaspettato.

«Perdona la franchezza, tesoro, ma voi siete chiaramente più una specie di scopamici che una coppia. Insomma, a parte il letto non mi sembra che condividiate poi così tanto.»

Se l'occhiata di Gin avesse potuto uccidere, Amelia sarebbe già tre metri sottoterra, eppure le iridi cristalline della mia amica non tornano più a scontrarsi con le mie: si morde il labbro e il suo sguardo si perde tra le venature inutili del tavolo di legno, a riprova di quanto le costi guardarmi in faccia senza ammettere che anche lei condivide l'opinione che la sua ragazza ha espresso senza tanti giri di parole.

Amelia prende posto sulla sedia accanto alla mia e si avvicina quel tanto che basta per costringermi a guardarla negli occhi. «Ti dirò una cosa, Leah.» scandisce con tono solenne e la faccia terribilmente seria. «Gli uomini sono tutti dei grandi stronzi.»

Vanno via Tutti, resti con me?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora