A darmi il buongiorno è lo stesso identico mal di testa lancinante che mi penetrava il cervello da parte a parte come una lama anche ieri notte.
Mi tiro su a sedere con fatica e volto il capo a destra e sinistra, per capire dove cavolo mi trovo.
Su un divano, questo è certo.
Ci metto qualche secondo a mettere a fuoco il parquet scuro, le pareti bianche, il basso tavolino di marmo pregiato ai miei piedi. Sciolgo le dita e avvicino indice e pollice alla radice del naso. Chiudo gli occhi e premo in quel punto, sentendo un piccolo vaso sotto pelle pulsare a ritmo della mia emicrania; tengo lì le dita per quasi un minuto, nella speranza che questo possa lenire il dolore opprimente.
Ma non accade, ovviamente.
Esalando un sospiro sconfitto mi decido a mettermi in piedi, ma neanche il tempo di far passare quella lieve vertigine, che urto col piede qualcosa: una bottiglia di vino ormai vuota rotola sul pavimento, producendo un rumore che pare infernale alle mie orecchie.
Mi serve urgentemente un'aspirina.
Facciamo anche due, va.
Ricordo a malapena dove è il bagno, e non appena lo raggiungo, un po' barcollante, inizio a frugare nel mobiletto e nei cassetti. E così finisco per ingurgitare ibuprofene nel frattempo che svuoto la vescica.
Mi getto in faccia un po' di acqua gelida, poi tento di ripulirmi la bocca impastata con del collutorio che sa disgustosamente di fragola.Perché diamine le ragazze sono fissate con tutto quello che ha questo sapore?
Torno al divano e raccolgo la maglietta abbandonata sul pavimento, mi rivesto in fretta e mi infilo le scarpe. Un'occhiata al cellulare mezzo scarico e una marea di chiamate perse mi balena sotto agli occhi. La maggior parte di Leah.
Dove sei? Ci vediamo per pranzo?
Mi ha scritto quasi due ore fa. Devo risponderle, sarà terribilmente in pensiero.
Okay, per il pranzo. Vengo a
prenderti più tardi all'università.«Merda.» mi scappa dalle labbra, un verso di frustrazione strozzato, perché non ho nemmeno il tempo di mettermi a imprecare liberamente dato che tra meno di mezz'ora ho appuntamento con il mio professore e quindi sono matematicamente già in ritardo. Recupero cartine e chiavi della macchina dal tavolino davanti al divano, dove, oltre a un posacenere pieno, ci sono i due calici di vetro di ieri sera. Uno dei due, quello marchiato di rossetto, è ancora pieno per metà. ancora per metà di vino.
Ma sì, penso mentre ingollo in un sorso solo quel residuo di vino rosso, la colazione dei campioni.
O meglio, dei cazzoni come me.
A grandi falcate raggiungo la porta, la sola idea di varcarla e uscire da questa casa mi rinvigorisce. Ma la mano si blocca sulla maniglia: proprio quando sto per spingerla verso il basso e svignarmela, la sua voce mi graffia le scapole e mi costringe a voltarmi.
«Te ne vai?»
Si stropiccia gli occhi cerchiati con cui mi guarda dalla soglia della sua camera da letto, con addosso uno di quei completini di seta che sembrano essere così impalpabili da poter scivolare tra le dita, ancora assonnata e con i capelli arruffati.
«Già.» esalo, deviando di nuovo lo sguardo sull'ottone lucido della maniglia che mi decido a far scattare. Sto per muovere un passo verso l'esterno, ma qualcosa di molto simile a un egoistico buon senso mi costringe a fermarmi. «Senti Em, credo che sia meglio non parlarne con nessuno di stanotte. Dimentichiamo e basta, d'accordo?»
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Vanno via Tutti, resti con me?
RomanceSequel di 𝕊𝕒𝕝𝕥𝕠 𝕟𝕖𝕝 𝕍𝕦𝕠𝕥𝕠, 𝕧𝕚𝕖𝕟𝕚 𝕔𝕠𝕟 𝕞𝕖? • Cosa succede dopo il lieto fine?