Capitolo 22:

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JONATAN:
"Capo veniamo anche noi?"
"Aspettate fuori."
Tutti annuiscono.
Seguo Esme che si guarda intorno quasi incredula, come se fossero passati anni dall'ultima volta che ha messo piede nella sua città.
Questo posto è rovinato e malmesso, mi ricorda molto la mia adolescenza per questo motivo non proferisco parola.
So cosa significhi essere poveri e guardandomi intorno, notando tutti questi ragazzini buttati in mezzo alla strada, rivedo me dieci anni fa.
Su un motorino rubato, armato fino al collo a passare il tempo con i miei coetanei e i miei fratelli.
"Esme c'è qualche problema?" Domando quando noto che il suo volto diventa pallido d'un tratto.
"Sono solo.. un po' agitata."
Annuisco camminando dietro di lei.
Non appena ci troviamo difronte la porta di casa sua, Esme suona il citofono.
Avverto della tensione in lei.
Sopratutto quando nessuno azzarda farci entrare.
Spinge le unghie nel palmo della mano e muove nervosamente la gamba per terra.
Riprova a citofonare senza ottenere risultati.
"È impossibile, mamma a quest'ora è sempre a casa."
La sposto posizionandomi accanto a lei e abbasso la maniglia.
Quando noto che la porta è aperta faccio un segno ad Esme che prende coraggio ed entra guardandosi intorno.
Conosco casa sua, ci sono già stato.
Ma l'odore di muffa e chiuso adesso pare più forte.
"Mamma?" Domanda lei con voce flebile.
Sollevo la testa di scatto quando sento un rumore dall'altra parte della casa.
"Cos'è questa musica?" Domanda Esme accigliandosi.
Ora che presto attenzione la sento anche io.
"Mamma?" Ripete imbattendosi in corridoio.
La seguo ma non appena svolto l'angolo della cucina la scena che vedo mi porta a voltare la testa, portando una mano tra i capelli.
"Che cazzo.." Impreco.
Esme spalanca la bocca, sconvolta, rimanendo a fissare sua madre, piegata davanti ad un tizio grassoccio e sudato.
È praticamente nuda.
"Mamma.." Sussurra addolorata.
Fa un passo indietro scontrandosi con il mio petto.
Sento che trema.
Adesso mi fa molta tenerezza.
L'afferro dal braccio e la trascino in cucina.
Sapevo che sarebbe andata a finire così.
"Esme che cazzo ci fai qui?" Urla quella che dovrebbe essere sua madre, correndo in cucina con indosso una vestaglia rossa.
Il suo trucco è sbavato mentre i capelli ricadono sul viso, sporchi e sudati.
Volto le spalle accendendo una sigaretta.
"Dov'è Emanuel?" Domanda Esme.
"È uscito."
"Invece quell'uomo? Mi spieghi che diavolo ci fa in casa mia?! Santo cielo.. stavate.. stavate scopando in corridoio! Se Emanuel vi avesse visti?"
"Casa tua? Questa non è più casa tua Esme, sei una donna sposata ormai, o no?"
"Che cosa c'entra questo mamma?"
"Cosa sei venuta a fare qua?! Io non ti ho chiamata, nessuna ti ha chiamata!" Urla.
Osservo Esme, affranta dalle sue parole.
"Sei venuta per sventolarmi in faccia la tua ricchezza o la tua felicità?!"
"Dovresti apprezzare che tua figlia sia venuta a trovarti, sopratutto dopo ciò che hai fatto l'ultima volta!"
"Io non ti voglio qua Esme. Porta via tuo marito e quel bastardo che porti in grembo."

ESME:
Mi viene da piangere.
Ma non verserò nemmeno una lacrima per questa persona schifosa.
"Attenta a come parli." Jonatan interviene.
Punto l'attenzione su di lui e noto i suoi occhi spenti, arrabbiati.
Nominare sua figlia in quel modo pare averlo infastidito.
Osserva mia madre e le lancia uno di quelli sguardi spaventosi che solo lui sa mostrare.
"Jonatan Santoro." Mamma si avvicina a passi lenti, fino ad arrivare faccia a faccia con lui.
"Jonatan lascia stare." Sussurro agitata.
Questa donna è completamente fuori di testa.
Si scrutano attentamente entrambi senza dire una parola. È così per qualche secondo.
"Sei contento di aver sposato mia figlia? È bella vero?"
Jonatan espira il fumo sulla sua faccia, gettando la sigaretta per terra.
"Dovresti solo ringraziarmi per avertela consegnata o quest'ora saresti solo, come lo sei sempre stato."
Rabbrividisco a quel ricordo.
"Credi davvero che non l'avrei trovata senza il tuo aiuto?"
Passo una mano tra i capelli.
Mi trattano come se fossi un giocattolo, ma questo adesso è il minimo dei problemi.
"Jonatan andiamo via."
Non mi ascolta.
Mia madre adesso punta gli occhi sul mio ventre.
Istintivamente lo copro con le braccia e faccio un passo indietro.
"Come ci si sente nel sapere di portare un bastardo in pancia? Il frutto di una violenza?"
Sposto il viso di lato mentre il mio labbro trema.
È spregevole, più di quanto lo ricordassi.
"Lei non c'entra niente nelle mie questioni private. È mia figlia.
Come lo sono io per te.
E i figli si amano mamma, non solo per un periodo ma per sempre."
"Lei?" Solleva l'angolo della bocca.
"È una bambina?" Continua.
Annuisco.
"Così sarò nonna!" Sorride falsamente.
Noto i suoi occhi riempirsi di lacrime.
Si avvicina al tavolo e afferra una sigaretta dal pacchetto, accendendola.
Una lacrima le scivola sul viso, mentre fissa con disprezzo Jonatan.
Sono confusa.
"Sapete.. siete diventati una leggenda in paese, anche nel resto del mondo.
Esme Santoro e Jonatan Santoro.
Vi conoscono tutti."
Sospiro abbassando la testa.
Non voglio più starla a sentire, voglio solo trovare mio fratello e passare tutto il mio tempo con lui.
"Mamma me ne vado." Dico delusa.
Sapevo che lei era fatta in questo modo, ma certe cose, in qualsiasi caso, non te le aspetti da una madre.
"Brava vattene. E non farti più rivedere."
Apro la porta lasciando colare una lacrima sul viso.
"E non dimenticarti mai da dove vieni Esme, la vita che stai facendo non ti appartiene! Ricordati delle mie parole! Sei una fallita come tuo padre."
Adesso il mio volto è completamente bagnato.
Volto la testa verso Jonatan singhiozzando e noto i suoi muscoli tesi, così come i pugni chiusi.
"Andiamo ti prego." Mimo con la bocca prima che possa fare qualcosa di stupido.
Esita qualche secondo poi annuisce con il suo sguardo severo e mi segue.
Gli sono molto riconoscente in questo momento.
Perché mi ha rispettata e non ha osato fare nulla, nonostante mia mamma continuasse a provocarlo.
Non appena sono fuori casa porto una mano davanti alla bocca scoppiando in un pianto isterico.
Sobbalzo quando sento le mani di Jonatan posarsi sulle mie spalle.
"Sei molto più di quanto dice lei." Sibila vicino al mio orecchio prima di sorpassarmi.
Punto gli occhi sul cemento sbattendo le ciglia.
"Ora sali in macchina, so dov'è tuo fratello."
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