Capitolo 26:

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JONATAN:
"Non voglio parlare con te fammi uscire da questa stanza!"
"Smettila di fare la bambina e ascoltami."
"Cosa c'è da capire? È già tutto molto chiaro Jonatan."
Mi fissa con gli occhi lucidi.
"Credi davvero che sia così stupida?" Digrigna i denti ferita.
"Non penso questo."
"Vai a letto con un'altra donna, sei un maiale schifoso. Ti avevo chiesto esplicitamente di tenere il tuo maledetto cazzo nelle mutande!"
"Non ti devo dare spiegazioni su ciò che faccio nella mia vita Esme. Sono venuto a parlarti di un'altra questione."
Passa il polso sotto il naso per poi mandare le mani sui fianchi, lasciando colare una lacrima sul viso.
"Mi fai schifo!" Urla un secondo dopo spingendomi dal petto.
Provo molta tenerezza, tuttavia lei conosce bene il mio modo di essere.
O così credevo, non pensavo credesse realmente alle mie parole.
"Magari non avevo alcun diritto sul tuo amore ma perlomeno meritavo il tuo rispetto!"
Le sue parole mi spiazzano.
Rimango immobile a fissarla accigliato.
Amore?
Solo a sentirne la parola il mio cuore inizia a tremare, così come le gambe.
Faccio un passo indietro e lei istintivamente solleva la testa esaminando a fondo la mia espressione sconvolta.
"Esme che cazzo ti sei messa in testa? Avevamo già chiarito questa situazione."
Non potrà mai esserci niente di niente se non un rapporto di "piacere" da parte di entrambi.
Siamo giovani, possiamo divertirci insieme ma non amarci, questo è fuori discussione.
"Tu mi avevi giurato che non mi avresti più toccata se avessi deciso di andare a letto con altre donne.
Mi avevi dato la tua parola!
Adesso mi sento.. mi sento umiliata, sporca." Scoppia a piangere.
Mando una mano tra i capelli, tirandoli, spazientito.
"Ma cosa ti aspettavi che facessi? Che scopassi solo con te per il resto della mia vita?"
"Sono tua moglie!" Urla a pieni polmoni.
Non mi aspettavo certo questa reazione da parte sua.
È vero, è mia moglie, ma sappiamo entrambi il reale motivo di questo matrimonio.
"Sei incinta Esme, dovresti stare a riposo e io non posso venire da te ogni volta che ho bisogno di liberarmi."
Spalanca la bocca.
Solo adesso mi rendo conto di ciò che ho detto.
"Liberarti." Ride istericamente bagnando tutte le guance.
Ho ventidue anni cazzo, quando sento la necessità mi diverto. Ma c'è di più.
Non ho il coraggio di dirle quanto mi spaventi ogni volta unirmi con lei.
"Vaffanculo Jonatan!"
Non tento di fermarla. Apre la porta ed esce sbattendola, lasciandomi solo.
Passo le mani sul cenno di barba, sospirando pesantemente prima che Ledan faccia capolino nel mio studio con Arkid sulle spalle.
"Ma che cazzo è successo?"
Mio nipote batte le mani contento di rivedermi, credo che sia l'unica persona su questa faccia della terra a sorridermi.
È minuscolo confronto a me.
Lo afferro tra le braccia e mi siedo dietro la scrivania.
"Ho sentito tutto." Continua mio fratello mentre allontano qualsiasi oggetto appuntito dal piccolo terremoto che adesso, rimasto a mani vuote, prende a tirare la mia camicia.
"Esme ha un carattere particolare."
"O forse sei tu che sei sbagliato." Manda le mani nelle tasche.
Mi acciglio scuotendo la testa.
"E non le hai parlato di ciò che è successo prima del vostro rientro."
"Non me la sono sentita."
"Bene, ma devi indagare, quell'uomo ha un non so che di strano."
"Se dice di essere il padre di suo fratello io li credo. Per quale motivo dovrebbe fingere?"
"Per te. Per arrivare a te, avanti Jonatan tutti vorrebbero avere essere tuoi alleati e spalleggiarti."
"Non in questo modo Ledan."
Annuisce incrociando le braccia.
"Fissami un incontro con lui. Voglio parlarci."
"D'accordo."
"Ledan, non una parola con Esme ne tanto meno con il ragazzo."

ESME:
Perché fa così male quando una persona ti delude? Perché fa così male quando ti senti abbandonata? Perché fa così male sentirsi la seconda scelta?
Perché alla fine è questo che sono. Sono brava ad ascoltare le persone. A consolare, a supportarle. Poi alla fine chi è che mi ascolta? Chi è che mi supporta? Chi mi consola?
Nessuno.
Sono solo io stessa.
Mi rialzo da terra con le mani tremanti e lavo il viso con dell'acqua fresca prima che possa emettere l'ennesimo conato di vomito.
"Esme come ti senti?"
"Ema non entrare!" Urlo rigurgitando tutto ciò che ho mangiato poco fa.
Con una mano tengo i capelli e con l'altra stringo forte la pancia.
Mi sento male.
"Vuoi che chiami Jonatan?"
"No!" Strillo all'istante.
"Cosa succede?" Ed ecco che come per magia appare oltre la porta del bagno.
La pelle mi si accappona e tento di rialzarmi fallendo miseramente.
Non voglio vederlo.
Sono solo stanca.
"Mia sorella non sta bene! Cosa le hai dato?"
Tappo le orecchie chiudendo gli occhi quando all'improvviso sento due mani grosse sollevarmi in aria e posarmi sul letto.
"Non toccarmi!" Ringhio singhiozzando.
"Devi riposare Esme sei troppo stanca."
"Ti ho detto di non toccarmi!" Urlo a pieni polmoni sconvolgendo persino mio fratello che si paralizza sul posto spalancando la bocca.
Jonatan serra la mascella.
Mi volto di spalle tirando il lenzuolo e chiudo gli occhi, stringendo forte il cuscino.
Non so per quale motivo io abbia reagito così, so solo che mi ha fatto molto male.
Tanto.
Ma avrei dovuto aspettarmelo.
Sento il letto sprofondare e volto immediatamente la testa.
"Sono io, Ema."
Porto le mani davanti al viso piangendo a dirotto.
"Dormo qua con te. Riposati adesso."

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