Capitolo 5.

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Danica

Se per un momento ero riuscita a calmarmi, la voce che ha appena squarciato il silenzio di questa stanza, mi rimise in allerta.

Presa dall'ansia, non ho nemmeno acceso la luce e controllato se ci fosse qualcuno oltre me.

Stupida, stupida me.

Mi prendo un secondo per osservare il ragazzo che ora si sta accovacciando di fronte a me.

Il fatto che sia senza maglietta mi mette notevolmente in imbarazzo, ma raggiunge il suo apice, quando arrivo a scorgere il viso illuminato dalla luce fioca della finestra.

《Mason?》 Chiesi, sconvolta.

Quante possibilità avevo, di capitare proprio nella sua stanza?

Certo, sono in casa sua, ma non mi aspettavo di certo che si rintanasse qui anche lui.

《Ma allora il gatto non ti ha mangiato la lingua.》 Esclama divertito, con la voce roca.

Probabilmente stava dormendo, prima che irrompessi nella sua camera.

Ci guardiamo fino a quando, ad un tratto, scoppiamo a ridere tutti e due come degli idioti, fino ad esaurire l'aria nei polmoni.

Ridiamo come dei bambini spensierati, ancora pieni di speranza.

Se qualcuno ci vedesse ora, accasciati su questo pavimento freddo, ci scambierebbe sicuramente per dei pazzi.

Non so esattamente cosa sia successo, ma il mio imbarazzo, mischiato al suo buffo tentativo di sembrare sveglio, ci stanno facendo sembrare due vecchi amici che ricordano eventi passati.

E in un momento di lucidità, mi accorsi che tutte le preoccupazioni erano sparite.

Le mani avevano smesso di tremare, i muscoli si erano rilassati e il respiro era tornato regolare.

Mi convinco però, che sia perché non sono più circondata da un'orda di sconosciuti fuori di sé.

Dopo svariati minuti riusciamo a ricomporci, e lui mi fa la domanda che speravo di evitare.

So che è più che lecito che me lo chieda, ma egoisticamente parlando avrei preferito non lo facesse.

《E quindi come mai sei qui, la festa non è al piano di sotto?》

Ecco, una cosa che ho notato subito di lui, nonostante sia solo la seconda volta che ci parlo, è che ha sempre questo tono sarcastico, accompagnato da un piccolo sorrisetto.

Il che mi urta leggermente, ed è alquanto contraddittorio, dato che io sono esattamente così.

E Avice ne sa qualcosa.

Chissà quante volte, mi ha fermato dal litigare con qualcuno, proprio per questo mio caratteraccio.

Però è più forte di me, rispondere e provocare mi diverte, soprattutto quando riesco ad avere l'ultima parola.

Ma qualcosa mi dice, che anche questo il moro qui di fianco, sia un degno avversario.

Quello che non so però, è se questo possa essere un bene o meno.

《Potrei farti la stessa domanda, inoltre questa è anche casa tua.》 Decido di sviare la domanda, ma non demorde.

Devo ammettere che è abbastanza furbo, da rigirarsi la frittata.

E so che non sarà contento, fin quando non gli dirò qualcosa, ormai l'ho capito.

《Appunto perché è casa mia, devi rispondermi.》 Risponde, sornione.

Destinati A (Ri)trovarsiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora