I libri descrivono il sapore del sangue come metallico, un sapore tagliente, acuto, che pizzica il palato. Un sapore che rimane in bocca anche quando è passato, costante. Dicono sia dovuto alla presenza di metallo in forma ossidata e per questo ricordi tanto quello del ferro, e che compaia dopo una corsa a causa delle cellule del sangue che rilasciano sostanze ferrose.
È un sapore così invadente che quasi diventa gradevole, piacevole, come quando si è nervosi e si arriva a masticare nevroticamente un ciondolo o la catenina che si ha al collo. Il metallo è freddo sulla lingua. Il sapore è graffiante, velenoso, come se creasse dipendenza. Come se potesse mettere a tacere il nervosismo con il solo, pungente contatto sulla propria lingua. E forse è lo stesso motivo per cui altri preferiscono martoriarsi le guance, masticarsi le labbra nei momenti di agitazione, per sentire lo stesso sapore deciso, distraente, del ferro. Il sapore del sangue.
È un sole pallido quello che pulsa sulla schiena dell'uomo ricurvo sul tavolo, come facesse da specchio al suo umore. Tiene i gomiti impuntati sul legno freddo, le mani giunte su cui pesa il capo, quasi abbandonato a quello che, ormai, ha appreso essere il suo destino.
La verità è che, malgrado il suo nome faccia trasparire il contrario, oggi Felice non è felice per niente. Forse è proprio questa la prima volta in cui si rende conto di aver scelto lo pseudonimo giusto per il suo lavoro da criminale: ladro, spacciatore. Una parte di lui già l'aveva capito che, prima o poi, sarebbe finito dietro le sbarre.
Sbarra.
Al pensiero, un ghigno amaro si fa strada sulle sue labbra. Si è incastrato da solo, evidentemente.
Quando Sbarra decide di mettere a tacere i pensieri, con gli occhi ridotti a due fessure, alza il capo e degna per la prima volta uno sguardo a chi gli siede di fronte.
Un pischello pensa, aspramente. Quanti anni c'avrà? Sedici? Lui manco se li ricorda i suoi sedici anni.
Sbarra lo guarda senza aprire gli occhi. Il ragazzo trema. Si è tolto il cappello appena è entrato e ora lo tiene stretto al petto, come fosse in chiesa.
"Embè?" lo sprona Sbarra, con un cenno del capo. Nessuno è mai venuto a trovarlo negli ultimi mesi. Nessuno è venuto a trovarlo mai, a dire la verità.
Il ragazzo si guarda attorno con gli occhi agitati, come se cercasse aiuto per qualcosa che, ancora, non è successo. Alla fine si arrende agli sguardi vacui delle guardie e si fa coraggio. Un "Buongiorno" soffocato si fa strada tra le sue labbra, accarezzando quell'ombra di baffetti neri sotto al naso, simbolo della sua pubertà.
"Che voi?" liquida subito Sbarra. Le mani sono ancora giunte, i gomiti ancora ancorati sul tavolo, ma ora la testa è dritta e vigile: se è su questo ragazzino che deve contare per dare spazio a una parvenza di realtà che spezzi la monotonia di questo posto, a lui sta bene. Basta che se spicci a parlà.
"Mi ha mandato Caterina." spiega il ragazzo e poi si ammutolisce, attendendo il permesso per continuare.
Sbarra sa che questo ragazzino non ha tutto il tempo del mondo e che tra poco lo sbatteranno fuori. Ogni visita ha degli orari e poi i detenuti in cella e i visitatori alla loro fresca aria pulita. Per quanto l'aria di Roma possa esserlo.
"Caterina chi?" domanda l'uomo, per spronare il ragazzino a dare uno squarcio di informazione in più sul motivo della sua visita. E comunque, Sbarra non è mai stato bravo con i nomi. Quel 'Caterina' gli attraversa la mente e sparisce subito dopo. Non ha voglia di ricordare chi sia.
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IL SAPORE DEL FERRO
Teen Fiction"Che significa?" "Che è tutto al suo posto Simo'." Per un attimo i due si guardano. Occhi negli occhi. Ed è davvero tutto al suo posto.