capitolo 8

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Manuel viene trascinato pesantemente fuori dal retro del furgoncino e spintonato in malo modo dal ragazzo più grosso. L'altro segue, a testa bassa, fuori dalla portata dei suoi occhi pesanti e malconci. Il ragazzone prosegue sbuffando e ogni tanto tira un calcio sugli stinchi della sua vittima, beccandosi i rimproveri spaventati del mingherlino dietro di loro.

Manuel sente mancare le forze. Ha le braccia pesanti come dopo ore di pesi, e le gambe altrettanto. È certo di avere il costato livido di botte e il petto massacrato dai calci. Ai bordi delle labbra riesce a distinguere lo spessore del sangue incrostato che ha sputato sull'asfalto. Dietro le palpebre pesanti cala il buio e non deve più sforzarsi a stringere gli occhi per proteggersi dal sole.

Il ragazzone non si preoccupa di essere graziato quando abbandona il braccio di Manuel e questo cade a peso morto sull'asfalto. Si solleva lentamente sulle braccia e inizia a tossire. In questa stanza dai contorni indefiniti e scuri, Manuel percepisce la polvere sollevarsi da terra, da cui si sforza ad alzarsi, e entrargli nei polmoni ad ogni respiro rauco. Di questo passo non smetterà mai di tossire, si dice.

Manuel vede le sagome dei due ritte davanti a lui, il ragazzo alto due metri e il mingherlino, probabilmente più basso di lui, che si guarda le scarpe, incapace di guardarlo in faccia.

"Che volete da me?" piagnucola Manuel, spostando velocemente lo sguardo da uno all'altro e preparandosi a un'altra serie di calci. Non arrivano. I due si limitano a guardarsi, il più alto incrocia le enormi braccia al petto e allaccia le mani ai bicipiti, il più basso affonda le sue nelle tasche dei jeans e torna con lo sguardo al suolo. Gli getta un'occhiata distratta, probabilmente per accertarsi che non ci siano danni troppo grandi che non possano passare inosservati. Ha sentito la conversazione che hanno avuto nel furgone: non erano tenuti a fargli versare nemmeno una goccia di sangue.

Ma per chi?

Chi li ha incaricati di fare quello che stanno facendo? E chi cazzo so' questi?

Il ragazzone smuove il presunto amico con una spallata, tanto forte da fargli perdere l'equilibrio. Muovendo un passo avanti per non cadere, l'altro sposta la terra al suolo che finisce dritta in faccia a Manuel. 

Quando questo è sul punto di parlare, però, il familiare vibrare di un cellulare distoglie l'attenzione di tutti e tre sul quadretto che li trova coinvolti in imbarazzanti rivelazioni. Gli sguardi dei due criminali - così li identifica Manuel nella sua mente - volano sulla sua giacca. Anche lui abbassa lo sguardo verso la tasca.

Simone! constata in silenzio, e un'ondata di speranza gli invade il petto dolorante. La speranza, però, gli muore in testa e la nuvoletta dorata che era quel pensiero esplode. Si guarda attorno ancora una volta. Quel gigante che l'ha preso a calci affinché dimenticasse come si respira e l'apparente inutile aiutante silenzioso. Solo ora definisce nel buio il contorno di una pistola nel tascone frontale della felpa del più piccolo. La pistola di Simone, quella che lui era incaricato di sorvegliare.

Cazzo, pensa ora, Simone.

"Rispondi mica te mordemo." indica il più grosso.

Manuel deglutisce a fatica.

"Avanti!" continua la stessa voce, e Manuel si costringe a tirare fuori quel cellulare maledetto dalla tasca. Si odia, ora più che mai. Se Simone finisce nella merda è colpa mia.

Un Simò brilla sullo schermo. Davanti agli occhi di Manuel lampeggiano un telefono verde e uno rosso, dal lato opposto dello schermo. La tentazione di riattaccare, che il ragazzo mette a tacere dopo aver scontrato gli occhi con quelli severi del ragazzone, gli brucia nel petto.

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