Stefano si abbandona rumorosamente sulla sedia di metallo e si sporge in avanti, tenendosi le mani nei capelli. È in fremito da due giorni, la gamba destra sembra avere vita propria e non la smette più di tremare, si morde l'interno della guancia e ogni tanto una risata nervosa gli sbuffa fuori dal naso.
I passi trascinati di Sbarra raggiungono il posto di fronte a lui, mentre l'uomo lo guarda e si lascia scappare una specie di riso che sembra voler dire: eccolo il cojone che s'è già pentito delle cazzate che j'ho chiesto de fa'.
I due si guardano per un breve momento senza dire nulla, poi Stefano assume il tono più accusatorio che conosce. "Avevamo detto che dovevo mettergli della roba nello zaino..."
Sbarra sorride: "L'hai fatto?"
"Sì..."
"Ebbravo."
"Sì, ma pensavo fosse erba...qualcosa così. Non una-" abbassa la voce "non una pistola di quel calibro."
"L'hai fatto?" ripete Sbarra, senza mostrare il minimo interesse per la preoccupazione del ragazzo.
"Sì."
"E le foto? Le hai fatte le foto?"
"Sì."
"Famme vedè."
Stefano lo osserva per un momento. Si sta già chiedendo chi gliel'ha fatto fare di infilarsi in un casino più grande di lui. Cerca di riportare alla mente il motivo per cui lo sta facendo, cerca di immaginare l'odore che un mazzetto di banconote guadagnate interamente da lui, sebbene non nei mezzi più onesti del mondo, possa avere, arriva involontariamente a pensieri lontani e quasi impossibili da realizzare. Tutto pur di stare il più lontano possibile da sua madre.
Stefano tira fuori il telefono, guardandosi intorno come se anche quello fosse un crimine. Ormai ogni movimento gli sembra un crimine. Si concentra per evitare che anche le mani inizino a tremare e, sotto lo sguardo e il ghigno sbilenco di Sbarra, recupera le foto. Stefano gira il telefono verso l'uomo. Non è riuscito a ritagliare la foto abbastanza bene da escludere il ragazzo più basso, anche perché sono stati appiccicati tutto il tempo, così in ogni scatto compaiono entrambi. Stefano non si è nemmeno accorto che il riccio con l'orecchino, nell'ultima foto, guarda dritto nella telecamera, così la cancella prima di girare il telefono di nuovo tra una foto e l'altra, per non rischiare che la cosa possa in qualche modo essergli a sfavore.
"Bravo, hai fatto un bel lavoro." dice Sbarra, appoggiando di nuovo la schiena alla sedia dopo essersi sporto in avanti. Stefano non risponde. Gli sembra già abbastanza soddisfacente non aver sbagliato ragazzo. E poi ha recuperato quella maledetta pistola da Caterina, l'ha messa nello zaino di Manuel, no? E poi ha sistemato tutto. Ha riportato lo zaino a casa del proprietario et voilà. Non dice che sia stato semplice, soprattutto quando si è trovato davanti quell'arma e Caterina gli ha rivolto un'occhiata gelida senza smettere di masticare la sua gomma e di limarsi le unghie. Così l'aveva afferrata avvolgendola in un panno e se l'era portata dietro, fuori dalla scuola, dove aveva aspettato che il suono della campanella annunciasse la fine delle lezioni.
Rinuncia persino a provare ad arrangiare un rimprovero verso Sbarra. Si aspettava qualcosa di diverso, quando ha parlato di roba. Qualcosa di meno pericoloso, perlomeno.
Come se Sbarra gli avesse appena letto nel pensiero, il vecchio dice: "Pensavi fosse erba ve'?", e fa un cenno con la testa come per sottolineare l'ingenuità di quella supposizione. Stefano annuisce. "Perché, se je facevo trovà un po' d'erba nello zaino pensi che se sarebbe cagato sotto come co 'na pistola carica, Ste? Io dico che pensava ch'era 'n regalo, invece. T'ho detto che 'n dovevi fargli niente de troppo grande, sì? Però intanto 'sto povero scemo se sta a scervellà pe' capì chi cazzo ce l'ha co' lui."
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IL SAPORE DEL FERRO
Teen Fiction"Che significa?" "Che è tutto al suo posto Simo'." Per un attimo i due si guardano. Occhi negli occhi. Ed è davvero tutto al suo posto.