capitolo 3

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È lunedì mattina. Via Cavour è stata deserta per gli ultimi tre mesi, e oggi pullula di ragazzi, accatastati con le loro moto e biciclette davanti all'ingresso del liceo. Tra questi, qualcuno non dovrebbe stare qui.

Stefano si sfrega le mani fino a scorticarle, ha la testa incassata nelle spalle, nascosta sotto il cappuccio della felpa. Ha il terrore che qualcuno, tra questi infiniti ragazzi della sua età, lo individui come intruso. Sa che è impossibile, che nessuno pensa che lui sia niente di diverso dagli altri ragazzi. Ma si sente un traditore. E deve trovare questo maledetto Manuel Ferro in mezzo a questa marea di adolescenti.

Qualcuno lo urta. Un ragazzo gli passa accanto con la bici e il pedale gli si incastra in una piega dei jeans, ma Stefano si gira dall'altra parte prima che questo possa scusarsi, o insultarlo, o parlargli in generale.

Ha abbandonato la scuola perché faceva schifo. Sia la scuola, sia lui. In pratica una sua giornata scolastica consisteva nel rimanere seduto a un banco per sei ore senza fare nulla, senza ascoltare, senza chiacchierare con quelli che dovevano essere i suoi amici, senza neppure odiare quel posto o voler tornare a casa. Perlomeno lì non c'era sua madre.

Così ha abbandonato la scuola, e adesso si trova immerso in un gruppo di adolescenti assonnati che sbuffano per l'inizio di un nuovo anno e poi ridono tirandosi pacche amichevoli sulle spalle. Alcune ragazze si abbracciano, alcune coppiette si baciano appoggiate al muro o senza scendere dal motorino che le ha portate fin qui.

Sente una marea di nomi tra queste voci che si chiamano, ma non distingue neanche un "Manuel". E se non trova questo Manuel prima di subito, le possibilità di farsi dei soldi in breve tempo e andarsene di casa si annulleranno. Non può permettersi di restare in quel buco di appartamento che puzza di muffa e birra di pessima qualità.

Non è ancora tornato da Caterina per recuperare la roba di cui gli ha parlato Sbarra. Non è che non ha il coraggio, no...lo farà. Individuerà questo Manuel qua in mezzo, prenderà quello che deve dallo spaccio e metterà tutto nello zaino di questo ragazzo senza volto. Solo, vuole assicurarsi di fare le cose per bene. Ha bisogno di quei soldi, ha bisogno della fiducia di Sbarra, non può permettersi di fare cazzate.

Vede due ragazzi parcheggiare una moto accanto alle altre e sfilarsi il casco. A guidare, è un ragazzo riccio. Ha i capelli castani e un accenno di barba, la scintilla di un orecchino argentato. Con lui, un secondo ragazzo. Ha i capelli più scuri, più corti. È riccio anche lui ed è decisamente più alto del primo. I due parlano e si sorridono, e Stefano riconosce la moto.

Sono passati giorni da quando si è fatto dare l'indirizzo di questo benedetto Manuel da sua zia, che sembrava conoscerlo miracolosamente bene. All'inizio lei non voleva assecondarlo, nemmeno gliel'ha detto cos'ha intenzione di fargli. Nemmeno lo sa, cosa deve fargli. Ma con la scusa di dovergli restituire una cosa, Alice alla fine gli ha detto dove abita, a patto che lui non dicesse a nessuno in quella casa di essere suo nipote. Evidentemente, non deve essere vista di buon occhio. Stefano non sapeva neanche cosa farsene, in realtà, di quell'indirizzo. Vuole vedere in faccia questo ragazzo a cui probabilmente sta per fare qualcosa di spiacevole prima di rovinarlo per conto di Sbarra.

Lui non è cattivo, se lo ripete. È che la vita è stata cattiva con lui e se è farla pagare a qualcuno che nemmeno conosce l'unico modo per riscattarsi, allora Stefano non ha intenzione di tirarsi indietro.

E vuole mettere a tacere la tartassante voce di sua madre che gli ripete di essere un fallimento, il nauseante odore di vomito costante quando lei apre la bocca. Vomito e fumo.

"Eccoli qua i fidanzatini!" dice qualcuno, con tono di scherno, avvicinandosi ai due ragazzi. Stefano assiste alla scena mimetizzandosi tra mille teste. A parlare è un ragazzo, accoglie gli altri due con le braccia aperte ma non sembra particolarmente felice di vederli.

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