Alle diciassette, qualcuno bussò alla porta. Il mio cuore prese a battere velocemente, sovrastando ogni altro flebile rumore, rieccheggiando nella saletta sovrano.
Sull'uscio della porta, immoto e quasi trattenente il respiro, Sangio aspettava il permesso di potermi raggiungere all'interno della stanza. Esso gli venne concesso rapidamente da Andreas.
Si sedette di fianco a me con la schiena contro il muro. Si tolse la mascherina e mi guardò negli occhi, provocandomi un leggero e fugace sussulto. Un brivido percorse la mia schiena.
Mi alzai di scatto senza guardarlo.
Feci cenno alla professionista di far ripartire la musica.
Continuammo a provare, come se non ci fossimo accorti della sua presenza. Del resto, non fiatò, limitandosi a fissarmi costantemente, non staccandomi mai gli occhi di dosso, assorto nel vedermi danzare; tant'è che, quando, verso la fine della lezione, gli chiesi cosa ne pensasse, ci mise un poco per rendersi conto che stessi parlando con lui.
Ero pronta anche ad un "Hai fatto schifo". Sapevo che, se l'avesse pensato, non avrebbe fatto fatica a dirmelo ed è uno dei tanti motivi per cui lo apprezzo.
《Miriam, che ti devo dire》esordì con un mezzo sorriso marchiato sul volto. 《Sei, inevitabilmente, bravissima, ma quando balli classico sei molto più forte e non perché è il classico. Si vede che non sei convinta di quel che fai. Mentre fai i passi tecnici si percepisce la sicurezza che hai, si percepisce che li senti tuoi. Qui, invece, mi arriva solo che tu stia svolgendo degli esercizi imposti》il commento era molto più positivo di ciò che mi sarei aspettata.
I due ballerini concordarono, quotando ognuna delle sue parole.
Annuì prendendo una bottiglietta d'acqua. Bevvi un sorso del liquido con un'inquietante lentezza, non volevo procurarmi la nausea. Non ero abituata a bere durante le lezioni, preferivo vedere l'acqua come il mio premio alla fine di ognuna di esse. Per quel giorno feci un'eccezione, seppur con qualche rimorso per aver ignorato la tradizione.
Le tradizioni sono un elemento fondamentale nella mia vita. Essa si compone principalmente di tradizioni; alcune "inutili", pleonastiche, altre incisive nei vari eventi a cui andai incontro nel corso del tempo. Non seguo schemi particolarmente definiti, ma assemblo sfilze di "tradizioni", per non perdere la mia routine.
Provai, ancora, ininterrottamente. Elena sfornava consigli come una vera mental coach, alcuni alquanto motivanti.Mi diressi verso la parete adiacente a quella a cui Giovanni era appoggiato, evitando di incrociare il suo sguardo.
Si udivano solo i nostri respiri regolari.
《Ammettilo》sussurrai, appoggiando la testa al muro, lasciando scivolare i miei capelli biondi. Le lacrime cominciarono a scendere veloci come razzi, come gli oggetti in aria che lanciava mio fratello. 《Ho fatto schifo》.
Sangio si alzò da terra e mi raggiunse, rimanendo pochi passi distante da me. 《Questa è una tua impressione, nessuno lo pensa. Il problema è nella tua testa》mi accarezzò dolcemente una ciocca, sfiorando la mia nuca. 《Puoi fare una bellissima esibizione, ma non vuoi, perché qualcosa ti blocca, a livello mentale》ogni parola pronunciata, un centimetro in meno ci divideva. Mentre alzai lo sguardo lo trovai a nemmeno cinque centimetri da me, potei osservare con attenzione i suoi occhi azzurri. D'istinto ci abbracciammo. Seppellì la mia faccia nella sua spalla, bagnandogli la felpa. Passammo qualche minuto senza dire nulla, senza muovere un solo muscolo.
Presi coraggio e, una volta che mi fui staccata da lui, mi sedetti in terra a gambe incrociate.
Attesi si mettesse dinanzi a me. Puntai gli occhi verso lo specchio, osservandomi attentamente. Vedermi sudata, esausta da un'intensa giornata di lezioni mi piacque alquanto. Non mi concentrai su ciò che ebbi provato, ma solo sull'aver danzato. Cosa era davvero così importante?
Feci un respiro profondo, assimilando le parole giuste nella mente, scegliendo la strada del dialogo, mai imboccata prima.
《Secondo te, ho un fare un po' antiquato?》mi sentii una stupida per avergli fatto quella domanda, in fondo conoscevo già la sua risposta.
《Non sei la persona più moderna che io conosca, a partire da come ti vesti》soffocammo una leggera risatina. 《E sì, qualcosa di un po' antiquato lo hai. Più che altro, sei abituata a una vita diversa da quella dei diciassettenni comuni, ma non è un problema. Sei diversa e va bene così, la diversità è bella》sorrise. 《Non avrei mai immaginato che una persona come te potesse piacermi e, invece, sono proprio le tue peculiarità ad avermi attirato, ad avermi fatto diventare tuo amico》lo fissai per tutto il tempo con gli occhi spalancati.
Non riuscivo a credere a ciò che stava dicendo. Ogni parola sapeva di verità, nonostante volessi vedere in ognuna di esse falsità, troppo abituata a sentire cose totalmente differenti.
Ripensai a vecchi soprannomi, con i quali fui etichettata anni prima, tra le elementari e le medie. Rappresentavo la nonnina di turno, quella da cui stare lontani, poiché avrebbe rovinato qualsiasi intrigante ed eclatante iniziativa, troppo dedita al rispetto delle regole, all'ubbidienza, alla tranquillità e al lavoro. In effetti, era raro mi distraessi dalla danza e dallo studio, le mie assolute priorità nella vita. I rapporti con i coetanei soccombevano sotto di esse, finendo quasi nel dimenticatoio.
Il mio essere eccessivamente prudente e cauta rappresentò un altro degli insormontabili divalichi tra noi. Riuscivo a scorgere rischi in qualsiasi ipotetica azione, spaventandomi ancor prima di svolgerla.
Gli intervalli li passavo in classe, a leggere un libro o ripassare le materie della giornata, dato che, in accademia, il tempo scarseggiava. I miei compagni, invece, se ne stavano fuori, in giardino o nell'atrio, a divertirsi, urlando, cantando, scherzando, insomma, a comportarsi come normalmente chiunque avrebbe fatto alla l'età avuta all'epoca. In sostanza, strinsi maggiori rapporti con i professori che con loro.
Pensavano non sarei mai potuta divenire una ragazza, rimanendo sempre la nonnina rovina feste.
Nella mia testa urlava continuamente una vocina, affermando: "Fregatene delle loro parole, sei chi sei e, se piaci a te, va bene così". Nonostante ciò, anch'io pensavo fosse vero, corretto. In fondo, come dargli torto? Potevo io negare l'evidenza?
Era quella consapevolezza l'impedimento. Chi ce l'avrebbe mai vista una nonnina ballare una coreografia hip hop, sensuale, spudorata, in jeans e reggiseno?
Rividi dinanzi a me ognuno dei loro volti, pronto a convincere sempre di più di quel lapalissiano dato di fatto.
Da sola, in quegli anni, distrussi la mia giovinezza; loro, con la mia famiglia, incrementarono, semplicemente il processo mediante il quale divenni la Miriam conosciuta da tutti. A me piaceva essere quella Miriam, piaceva tantissimo. Però, talvolta, rimpiangevo di non essermi goduta gli anni più belli della mia vita, come sono, solitamente, considerati. Percepivo mi mancasse un tassello.
Ero lì per quello, per cercare il tassello mancante. Non potevo rimpiazzare sette anni, se non di più, di vita, ma potevo conoscere un pochino di quel mondo sconosciuto, temuto e destato fino a poco prima. Sentire il bisogno di farne parte mi sarebbe parso impossibile anche solo cinque mesi prima.
Condivisi i miei pensieri, per la prima volta, senza la paura di essere giudicata, fiera di ciò che ero e di ciò che volevo sperimentare.
Il ragazzo pose le mie mani sottili tra le sue calde e confortanti, obbligandomi ad avvicinarmi leggermente.
Lo osservai con gli occhi spalancati, mentre cercava le parole giuste per iniziare un discorso.
《Non sei una nonnina. Per quello avrai tempo tra molti anni. Guardati un secondo in quello specchio》con un dito diresse il mio volto nella direzione dello specchio, invitandomi a puntare gli occhi sulla mia figura riflessa. 《Che vedi?》.
Mimai un'espressione interrogativa, di chi non aveva la minima idea di cosa rispondere e non comprendeva il senso di quella domanda, apparentemente senza costrutto.
《Io vedo tutt'altro che una nonnina. Vedo una bellissima ragazza, una bellissima ragazza che si può permettere di ballare una coreografia del genere, senza risultare fuori luogo. E in tutte le cose che hai detto, io vedo qualcosa di bello. Eri quella diversa dagli altri, no? Cosa c'è meglio di questo? Anche se quella coreografia lì, no, ti sembra così distante da te, piuttosto che pensare "mi piacerebbe poterla fare", perché non provi a pensare "posso farla"?》accarezzò dolcemente una piccola ciocca dei miei capelli, arrotolandola attorno alle sue dita.
Rimasi impassibile, derubata di tutte le parole che avrei potuto sfoderare. Mi cimentavo spesso in interminabili monologhi; quella volta, a malapena, riuscì ad esprimermi a monosillabi.
Aveva centrato perfettamente il punto, risvegliando una parte di me sconosciuta a tutti, persino al mio conscio. Essa si era nascosta per bene nel fondo del mio animo, per non farsi scorgere neanche del più efficace dei metaldector. Tuttavia, la percepii pronta a riemergere, a risalire verso la luce, finalmente, pronta ed esporsi al sole e far nascere quelle foglioline che le avrebbero consentito di rimanere in vita, di gustare di una vita.
Vidi, per la prima volta, la coreografia assegnatomi come una possibilità per rinascere nuova e fresca, invece che come una disgrazia, la quale avrebbe cancellato, alienato il mio essere.
《Che ne dici di un giochino?》propose Sangio, con la faccia di un bambino entusiasta per un gelato offertorgli gentilmente dalla mamma.
Lo invitai a fornirmi maggiori spiegazioni su quella sua idea, da un certo punto di vista temuta, dall'altro guardata con immensa curiosità.
《Le regole sono semplici: io scelgo una musica e tu ci devi improvvisare sopra, dimenticandoti della tecnica. Pensa...pensa a dovermi conquistare con la danza, fai trasparire sensualita, ma la tua sensualità. Mostrami Miriam in tutte le sue sfaccettature》spiegò, sempre più divertito.
Dapprima fui diffidente da quella sua stranissima iniziativa, ma mi convinsi ad accettare, tanto non ci avrei rimesso nulla.
Tolsi i jeans che indossavo per via delle coreografia, rimanendo con la coulotte nera, decisamente più comoda.
Mi portai verso il centro della sala. Liberai un sordo e fugace respiro, espellendo l'aria dal mio corpo, con un piccolo saltino liberatorio.
Con un cenno della testa diedi il via libera al cantante per far partire la musica.
In due minuti recuperai tutta l'energia persa durante quella giornata, di cui, oramai, ricordavo solo i lati positivi. L'ansia, la paura, la preoccupazione sembravano essere spariti nel nulla, dispersi come polvere nel vento. Liberai la mia interiorità, pur rispettando la "consegna". Riuscì ad inserire me stessa in qualcosa che, apparentemente, sarebbe potuto essere il mio opposto.
Per un momento, un frammento di secondo, fui, nuovamente, la ragazzina che, dopo ore e ore di lezione in accademia, prendevo il cellulare, in cameretta, e metteva della musica pop, improvvisando coreografie, fingendo di essere osservata da milioni di persone. Quel giorno, a mia parziale insaputa, lo ero; difatti venne tutto trasmesso nel daytime del giorno successivo, ma non mi importò. Le telecamere non esistevano. Esisteva solo la musica, la danza. Esistevamo solo Sangio e io, chiusi in quella stanza, con un sorriso unanime in volto, felici per quanto raggiunto.
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Dammi due ali per volare🦋 ~ Sangiovanni
FanficMiriam Ariel Carter non è una ragazza come tutte le altre. L'eleganza è presente in ogni singola cellula del suo corpo. Tutti dicono che l'essenza della danza scorra nelle sue vene, lei sostiene che sia l'unica cosa a farle battere il cuore, l'unic...