01. Fidarsi

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Capitolo 1: "Fidarsi"

Era una nuvolosa giornata di inizio agosto e malgrado il sole faticasse a far filtrare i propri raggi attraverso quelle pesanti nuvole grigio intenso, io ero sorridente.
La mia personalità era in completo contrasto con le condizioni climatiche che si stavano abbattendo su Torino, pur essendo solo l'inizio di un mese in cui il bel tempo ancora avrebbe dovuto dominare.
Mi trovavo lungo la strada che conduceva al mio bar preferito, quello in cui mi recavo ogni mattina per poter fare una tranquilla colazione in compagnia della mia amica storica, Alba.
Ci eravamoo conosciute da bambine, quando con tutta la mia famiglia mi sono trasferita a Torino dalla Campania, e da allora non ci siamo mai più divise.
Aprii la grossa porta in vetro e il caldo accogliente dell'ambiente mi invase in un attimo, sentii finalmente le guance riscaldarsi, mentre mi dirigevo al tavolo che eravamo solite occupare.

«Finalmente Chloe, pensavo non venissi più» mi disse una volta che l'avevo raggiunta al tavolo.
«Mi dispiace, la sveglia ha dato forfait» dissi velocemente per poi ordinare la mia solita colazione, cappuccino e brioche al cioccolato.
Quella mattina era diversa dalle altre, avrei dovuto fare tutto in fretta per non arrivare tardi al lavoro.
Il mio lavoro, quello che da bambina avevo sempre desiderato, diventare una giornalista. Un anno prima finalmente quel sogno era diventato realtà, venni assunta da un grande giornale di Torino. Ero felicissima.

«Il punto è che tu dimentichi di impostarla, non può farlo da sola sai?» mi prese in giro mostrandomi la lingua. Scossi la testa sorridendo e iniziando a mangiare la mia colazione facendo il prima possibile.

«Devo proprio andare o rischio di fare tardi, prometto che domani farò prima e avremo modo di chiacchierare di più» le dissi lasciando la mia parte del conto sul tavolo. Le diedi un bacio veloce sulla guancia e uscii come un treno dal bar in cui avevo fatto sosta.
Ero in estremo ritardo, come sempre oserei dire, ma arrivai in tempo all'edificio dove lavoravo e filai su per le scale per far prima. Una volta arrivata alla mia postazione tirai un sospiro di sollievo.

Nel silenzio del mio ufficio osservai le notizie che erano finite sulla mia scrivania. Mi occupavo di cronaca, era un settore che ammiravo da sempre e a detta delle persone che mi circondavano ero anche molto brava in quello che scrivevo.
Presi un profondo respiro e accesi il mio computer, per poi aprire una pagina di Word e iniziare a scrivere con serenità la notizia che il giorno successivo sarebbe finita, probabilmente, in prima pagina.
Lavoravo ininterrottamente e senza mostrare neanche un briciolo di stanchezza, perché quello che facevo mi appassionava davvero e sarei potuta andare avanti per ore e ore a scrivere.
Ma ben presto l'intima pace che avevo raggiunto nel mio piccolo ufficio, venne bruscamente interrotta dal picchiettio di un pugno sulla porta chiusa.

«Avanti» dissi, mentre le mie dita ancora digitavano spietate lettera per lettera, parola per parola fino al punto.
«Chloe abbiamo un problema» alzai gli occhi dallo schermo per osservare il mio capo redattore entrare nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Lui non era come tutti gli altri, anziano o con i capelli bianchi, lui era un giovincello al confronto. Suo padre gli aveva lasciato un'eredità alla morte prematura di sua madre, da cui ne uscì distrutto, finendo per chiudersi in casa senza uscirne più.
Osservai la figura di Antonio, alto, con quel filo di muscoli al punto giusto e con una folta capigliatura biondo cenere. Gli indicai con la mano la sedia disposta davanti la mia scrivania e lui se ne appropriò, mettendosi a sedere e squadrandomi.

«Ho ottenuto un'intervista pazzesca, una di quelle che non possiamo farci scappare, ma c'è un problema» prese a parlare dopo un attimo di silenzio.
«Nulla che non possiamo risolvere spero» dissi poi mettendo un attimo in pausa la mia stesura.
«Si tratta nientedimeno che della Juventus mia cara Chloe» osservai Antonio a bocca aperta, lui sapeva quanto apprezzavo quella squadra e quante sere passavo a guardare le partite con mio padre e mio fratello, era una cosa che ci aveva sempre legati molto.
«E immagino che il problema sia dato dal fatto che Greta è in maternità» lo vidi annuire... Greta era la giornalista sportiva più preparata che avevamo all'azienda e adesso lei e il suo compagno stavano per avere il loro primogenito e quest'intervista era capitata proprio al momento sbagliato, ma entrambi sapevamo che un'occasione del genere ci sarebbe capitata raramente.
«Hai già pensato a chi mandarci?» chiesi ingenuamente sul punto di riprendere a scrivere da dove avevo lasciato.
«In realtà si. Tu, Chloe» sbarrai gli occhi osservando Antonio con aria di disapprovazione.
«É fuori discussione Antonio, mi occupo di cronaca non ho niente a che vedere con la pagina sportiva» provai a farlo ragionare, ma sembrava irremovibile.
«Ti prego Chloe, questa è la nostra occasione, possiamo svoltare davvero, ti reputo una grandissima giornalista e mi fido ciecamente di te, di te soltanto» quasi mi implorò con i suoi occhioni azzurri, che somigliavano al ghiaccio. Non potevo farmi abbindolare, ma non potevo neanche rifiutare, ero in una situazione difficile, in cui avanti avevo un punto morto e se mi voltavo dalla direzione in cui ero arrivata era lo stesso, ero in trappola.
«Antonio ti prego non mettermi in difficoltà» provai a dire, portandomi una mano sul viso.
«Chloe lo sai quanto è difficile per me portare avanti tutto questo senza mio padre, ho solo trentadue anni, non sapevo a cosa andassi incontro quando mio padre ha deciso di lasciarmi le redini, come tu non sai a cosa andrai incontro se accetti questo incarico, ma ricorda che io ce l'ho fatta, sono il più giovane capo redattore d'Italia e non mi sono mai tirato indietro davanti alle difficoltà» disse tutto d'un fiato mentre mi osservava intensamente. Sapevo esattamente cosa stesse cercando di fare, solo lui era in grado di entrati dentro in questo modo, leggendo ogni tuo timore e spazzando via ogni appiglio a cui una persona potrebbe aggrapparsi per non farsi condizionare da lui e dal suo fascino.
«ci penserò va bene? Finisco di scrivere questo articolo e prometto che ci penserò» gli dissi unendo le mani sotto il mio mento e poggiando i gomiti sulla scrivania.
«sei un angelo ricordalo sempre» disse poi mettendosi in piedi e lasciando il mio ufficio. Sbuffai e mi lascai cadere con la schiena allo schienale della sedia girevole.
Tutto questo mi stava procurando una crisi isterica e il labirinto in cui mi ero cacciata non si decideva a lasciarmi uno spiraglio per uscirne.

L'intervista || Federico Chiesa Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora