17. After 297 Days

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Capitolo 17: "After 297 Days"

Albert Einstein una volta disse:
"il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che noi facciamo mentre sta passando" ed era esattamente così.

Avevo passato tutto quel tempo con Federico.
Come ci eravamo promessi, avevamo tenuto la nostra relazione nascosta da qualsiasi tipo di gossip; avevamo semplicemente vissuto quello che di bello ci legava, tra noi, con la mia famiglia, con suo fratello e con Celina, con Dusan e Alba, che invece nel frattempo avevano sbandierato al mondo intero il bene che si volevano.
Ed è vero quando si dice che il tempo scorre via in un attimo. Perché da quando avevamo chiarito, tra noi e con la mia famiglia, tutto sembrava scorrere via velocissimo.
Non erano mancate le cene con le mia famiglia; mio padre stava conoscendo sempre di più Federico e mia madre era sempre più felice che io e lui stessimo bene insieme.
Una delle cose che resterà sempre un segreto per me, era quello che si dicevano lui e mio padre, quando non c'ero, perché in cuor mio sapevo che spesso parlavano di me.

Una delle cose che era sicura, invece, era che io e Federico eravamo sempre più complici, passavamo insieme sempre più tempo e ogni occasione era buona per ridere insieme. Quei nuvoloni grigi che si eravano abbattuti sulla nostra serenità, erano andati a farsi benedire.

E tra allenamenti, visite e giornate passate sul divano di casa, era arrivato il tanto atteso giorno.
Ebbene sì, era finalmente arrivato il giorno che tutti stavamo aspettando con grande attesa, il giorno in cui Federico Chiesa riprese posto nella squadra.

Era il 2 Novembre e il mister Allegri aveva deciso di convocare Federico contro il Paris Saint Germain nell'ultima giornata delle fase a gironi della Champions League. Non che fosse una partita facile, ma Federico stava rientrando gradualmente e una partita così importante avrebbe potuto aiutarlo a reinserirsi nel modo giusto.

L'euforia che sprigionò quella notizia in Federico, non fece altro che travolgere anche me.
Perché finalmente, dopo 297 giorni, avrebbe indossato di nuovo quella maglia, per la prima volta con il suo numero 7 e avrebbe rimesso piede in quel campo che aveva sognato per molto tempo.
297 giorni. 7128 ore. E seppur lento, tutto quel tempo era finalmente passato.

Quella sera, io, Noah, mio padre, Alba e perfino Dusan che invece non era tra i convocati, eravamo seduti allo stadio, in trepidante attesa del fischio d'inizio.
Mio padre era gasato come un bambino che mette piede in un negozio di giocattoli e Noah era anche peggio se possibile. Sarà perché era la prima volta che sedevano nella tribuna vip, detta tribuna100. Per me ed Alba, invece, era già la seconda volta.

Essere lì, seduta a pochi seggiolini di distanza da Dusan, indossare la sua maglia e non fare altro che parlare di lui per tutto il tempo, forse non era proprio il modo giusto per continuare ad essere avvolti nel mistero, ma quella sera ero lì per sostenere lui, che in tutto quel tempo mi era sempre stato vicino, sostenendomi, facendo di tutto per farmi stare bene e accettando la mia paura di rendere pubblica la nostra relazione.
Gli dovevo la mia presenza, gli dovevo degli sforzi e al diavolo se qualcuno avesse scritto un altro articolo, al diavolo se qualcuno avesse reso pubblica la nostra storia, me ne sarei fatta una ragione, perché sentivo finalmente di essere pronta.

Quando finalmente le squadre entrarono in campo, ci fu un forte boato e ritornai in me.

La magia dello stadio rendeva ogni cosa più bella, le luci si muovevano a ritmo di musica, i cori si alzavano dalle curve, le bandiere, le sciarpe che venivano sventolate. Il telecronista che presentava la formazione e i tifosi che gridavano il cognome dopo il numero. I brividi che ricoprivano la pelle ad ogni nome urlato.

L'intervista || Federico Chiesa Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora