III Girasole

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Clizia era una giovane ninfa, innamorata persa del Sole; pertanto, lo seguiva tutto il giorno mentre lui guidava il suo carro di fuoco per tutto l'arco del cielo. Il sole dapprima fu lusingato e un pochino intenerito da quella devozione... credette di esserne a sua volta innamorato e decise di sedurla, cosa non difficile per lui.Ma ben presto il Sole si stancò dell'amore di Clizia e le diede, come suol dirsi, il benservito rivolgendo altrove le sue attenzioni.La povera ninfa pianse ininterrottamente per nove giorni interi. Immobile in mezzo a un campo, osservava il suo amore attraversare il cielo sul suo carro di fuoco.Così, pian piano, il suo corpo si irrigidì, trasformandosi in uno stelo sottile ma resistente, i suoi piedi si conficcarono nella terra mentre i suoi capelli diventarono una gialla corolla; si era trasformata in un fiore bellissimo color dell'oro.Ma anche nella sua nuova forma la piccola ninfa innamorata continua tuttora a seguire il suo amore durante il giro nel cielo. *


-Ma non così! – lo rimproverò la sorellina, con una serietà inaspettata da una bambina di sei anni.
Federico agitò confuso la piccola modella dai capelli biondo oro, senza sapere come farle indossare lo sgargiante vestito verde smeraldo.
-E come allora? – chiese lui, confuso.
Di solito non giocava con la sorellina piccola, ma nel tentativo di migliorare un po' nei rapporti umani, si stava cimentando anche in quella nuova attività. Si sentiva come catapultato in una dimensione parallela in cui ogni piccola cosa della sua vita doveva essere riscoperta nuovamente, per poterla apprezzare nuovamente.
L'universo lo spingeva verso il suo prossimo e lui, con titubanza, gli stava andando incontro, senza però avere troppa fretta. Poteva iniziare con la sorellina, era la partenza più facile.
Albertina, esperta di turno, gli strappò la bambola dalle mani. –Devi infilarglielo dalla testa, altrimenti strappi il vestito.
Con inaspettata destrezza, la bimba completò il compito in cui il fratello si era dimostrato particolarmente goffo, agitandogli poi la bambola sotto il naso, vittoriosa.
-Hai visto? – si pavoneggiò, soddisfatta.
Vestire una Barbie doveva per forza essere un'arte, si disse Federico, altrimenti non c'erano spiegazioni. –Ho visto, tesoro.
-Devi farlo così, altrimenti mi strappi gli abiti- spiegò la bimba, improvvisandosi maestrina della situazione.
Federico le sorrise bonariamente. - Non penso di essere bravo in queste cose, piccola.
Albertina era raggiante, il viso luminoso di felicità. Era la prima volta che giocava con il fratello maggiore, ed era estremamente felice di poter condividere con lui le gioie dei suoi piccoli passatempi, anche se agli occhi di un ragazzo di diciannove anni erano assolutamente sciocchi.
-Forse devo dire alla mamma di comprare un Ken, così possiamo giocare insieme- rifletté ad alta voce la bimba, grattandosi la nuca.
Federico rise. –Non dirle niente, te lo compro io, così la prossima volta giochiamo.
-Davvero? - I grandi occhi cioccolato le brillavano.
-Certo. – annuì lui, felice di poterla rendere tanto felice con un gesto così piccolo.
Un gridolino, e in un attimo la sorellina gli fu addosso, per stampargli centinaia di baci sulle guance ruvide di barba. Estasiato da una tale dimostrazione di affetto, Federico rideva.
-Che cazzo stai facendo?
La voce di Marco, profonda e vagamente disgustata da ciò che stavano osservando. L'amico, annoiato, era poggiato sullo stipite della porta.
Federico lo guardò a testa in giù, la bambina ancora addosso a strapazzarlo. Per fortuna, la sorellina non aveva sentito la parolaccia detta dall'amico, troppo presa dalle sue moine. Del resto, Alberta, che non nutriva particolare interesse né considerazione per quell'elemento di disturbo costante in casa sua.
Fece cenno all'amico di uscire, e si congedò dalla sorella, dicendole che avrebbero passato del tempo insieme dopo.
-Ti ho detto un milione di volte di non dire parolacce quando c'è lei – disse all'amico quando furono soli, in camera sua.
Marco si stravaccò sgraziatamente sul suo letto, con tutte le scarpe, perfettamente a suo agio e consapevole che Federico non lo avrebbe rimproverato. Sbuffò, scostandosi l'irresistibile ciuffo biondo dalla fronte.
-Ma che stavi facendo, piuttosto? – gli chiese con uno sbadiglio, ignorando che Federico lo avesse rimproverato per il comportamento inopportuno che spesso assumeva davanti ad una bambina così piccola.
-Giocavo con Alberta, ovviamente. – spiegò candidamente, mentre con nonchalance raccolse dalla scrivania i fogli in cui aveva disegnato spighe di lavanda viola acceso. Tolse anche i disegni della sorellina, che aveva tentato di imitare il modo in cui muoveva la matita sul foglio, come se stessero facendo una danza.
Marco non sembrava essere soddisfatto della risposta fornitagli dall'amico. –Ma dai, tu odi tua sorella. – disse, cercando tra i videogiochi della playstation qualcosa di soddisfacente.
-Perché? Tu odi i tuoi fratelli? – lo incalzò.
-Certo che no.
-Ed io non odio Albertina, semplice.
-Sì, però è una rottura stare con lei- borbottò insistente. –Stavi giocando con delle bambole, cazzo!
L'universo lo stava certamente spingendo verso il suo prossimo, ma Marco era piuttosto ostico.
-Le ho chiesto io di giocare, non mi ha costretto lei, quindi non darti pena per me- tagliò corto, annoiato dalla piega che quella conversazione stava prendendo.
Il biondo fece spallucce, affrontare discussioni familiari non era tra i suoi passatempi preferiti.
-Giochiamo? - chiese, estraendo allungandogli uno dei joy-stick.
Federico lo assecondò, e in un attimo il suono di spari e urla di donzelle in pericolo iniziò a rimbombare per la stanza.
-Tesoro?
Simona entrò timidamente nella stanza, come se le dispiacesse interrompere qualsiasi cosa i due ragazzi stessero facendo, anche se aveva tutta l'aria di non essere nulla di che.
-Dimmi- disse Federico, senza scollare gli occhi dalle immagini virtuali ma realistiche sul televisore. Marco gli aveva sempre dato filo da torcere, in quel gioco.
-Sono stata invitata a cena dallo zio Antonio, e porto con me Alberta...
Federico mugugnò. –Non mi va di venire.
-Lo so, ma non torniamo a dormire, quindi ti raccomando: chiudi bene la porta, e non tornare troppo tardi se esci. Ti lascio la cena in...
Smise di ascoltare a metà del discorso. Sarebbe stato solo fino alla mattina seguente, non c'erano altre informazioni utili da immagazzinare. Se la sarebbe cavata, come al solito.
-Va bene, va bene, ho capito- tagliò corto.
Simona non insistette oltre, le sue preoccupazioni da madre erano inutili davanti a uno come Federico. Leggermente delusa dalle solite risposte robotiche che il figlio le riservava, si congedò dalla stanza, ignorata dai due ragazzi.
-Quindi... Stasera niente sorveglianza? - chiese Marco, qualche minuto dopo, quando la loro sparatoria virtuale fu conclusa.
Federico maledì mentalmente sua madre per essersi sbilanciata a elargire quel genere di informazioni davanti ad uno come Marco. Casa libera, per lui, significava festa, ragazze.
Cercò di minimizzare, per evitare che Marco avanzasse qualsiasi tipo di proposta. – Così pare.
-E che hai in mente di fare?
-Niente, mangiare, guardare un film, uscire a prendere una birra. Le stesse cose che faccio sempre. – sentenziò, ma dallo sguardo dell'amico era chiara la sua disapprovazione ed era ancor più chiaro che avrebbe insistito affinché la sua serata assumesse una piega diversa.
-Le stesse cose che fai sempre? -Marco sembrava leggermente disgustato.
Federico voltò finalmente le spalle al videogioco, così come aveva fatto Marco da quando la madre era uscita.
-Sì- disse convinto. –Non ho in mente di fare niente.
-E se te la dessi io qualche idea? – propose l'amico, tutto in fibrillazione.
Sapeva che non sarebbe riuscito a sedarlo con niente, a quel punto.
-Accordato – sbuffò alla fine, arrendendosi. -Ma, per favore, niente di eccessivo.
Marco si mise una mano sul cuore, come se stesse facendo una promessa solenne. -Ridimensionerò i miei progetti. Vedrai, ci divertiremo.
Federico non sapeva se metterci la mano sul fuoco, ma ormai quel che era fatto era fatto. Si era arreso da tempo all'idea di resistere alle impetuose iniziative del suo amico, quindi tanto valeva assecondarlo.
Fu in quel momento che il suo cellulare di illuminò vistosamente, segnalando la notifica di un messaggio di Annamaria, che gli proponeva di vedersi. Marco, occhio di falco, lo adocchiò subito, lo lesse e soppesò con una velocità disarmante.
-Vedo che ancora non ti sei stufato dei miei scarti. – ridacchiò, sbruffone.
-La puoi considerare tale solo se te la porti a letto, cosa che non hai fatto. – lo ammonì Federico, riponendo il telefono in tasca. Si raccomandò di non lasciarlo più alla portata degli occhi di Marco.
L'amico, intanto, si lasciò andare ad una risata. -Ma certo, te la porti a letto tu! – sbuffò. – E poi se mi porto a letto quella, stai certo che inizia a fare progetti di matrimonio.
Eccola là, la vera natura di Marco, ben lontana da quella che Annamaria, tanto presa da lui, aveva idealizzato. Non se l'era mai meritate le attenzioni di quella ragazza, il cui unico errore era quello di essere, forse, troppo ingenua per vedere la realtà.
Certamente, non si poteva dare nessuna colpa a Marco, lui era sé stesso nella maniera più sincera possibile, non illudeva nessuno, chiunque lo conoscesse lo sapeva; però, certo, questo non migliorava il suo essere un gran stronzo.
Stare tra quei due fuochi poteva apparire scomodo ad un occhio esterno, ma a Federico non importava di conciliare le due parti: lui tirava avanti solo la sua carrozza, si faceva i suoi comodi. Se quei due avevano delle riserve l'uno sull'altra, non era affar suo. Non avrebbe aiutato Annamaria con Marco, né aiutato Marco a liberarsi di Annamaria.
-Ma poi, almeno è decente? – indagò l'amico, curioso.
Ecco un'altra informazione che non avrebbe dispensato, sempre per mantenere la sua neutralità sulla situazione.
-Che ti importa? – fece, stizzito.
Marco sbuffò per la riservatezza dell'amico e prese a trafficare con il suo telefono.
Del resto, si disse Federico, non sapeva valutare neanche come fosse Annamaria. Il poco trasporto che sentiva per lei gli impediva di valutare i loro rapporti; solo quello della sera precedente era stato davvero bello, ma per motivazione che prescindevano dalla ragazza.
Prese il suo telefono e rispose al messaggio della bionda in maniera affermativa.

Quando raggiunse Annamaria, tutto si aspettava fuorché di trovarla davanti al vivaio.
-Ma perché mi hai dato appuntamento qui? – sbuffò Federico, squadrando la ragazza.
Era stranamente raggiante, quel giorno, come se un raggio di sole le avesse risvegliato l'anima. Indossava un vestito arancione, che faceva a pugni con i suoi capelli biondissimi, ma che le stava comunque un incanto.
-Devo prendere delle piante per mia madre. – fece lei, facendo segno a lui di seguirla all'interno.
-Ed io che c'entro? – borbottò, seguendola, confuso e annoiato. Quando lei lo aveva cercato, pensava a qualcosa di diverso, alle loro solite cose.
Anna si fece strada tra le piante verdi e rigogliose. L'aria era buona, ma Federico non poté non constatare quanto quello spazio fosse pieno di insetti fastidiosi.
-Non mi andava di venire qui da sola. – ribatté lei candidamente, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Ancora scocciato, Federico sbuffò. -Non potevi chiedere a qualcuna delle tue amiche?
Annamaria, alla quale le amiche di certo non mancavano, lo guardò torva. -Volevo venissi tu. Siamo amici, no?
Si sentì confuso davanti a quella domanda. Non l'aveva mai considerata tale, ma non aveva mai fatto nulla per non farglielo pensare: parlavano, si cercavano, si incontravano, anche al di là del sesso. Sicuramente il fatto che lei tirasse fuori quella storia in quel momento aveva qualcosa di strano, ma negli ultimi giorni gli stavano succedendo un mucchio di cose strane e non aveva motivo di categorizzare come anomala anche questa.
Annamaria era una sua amica, decise alla fine, ma quella nuova consapevolezza non smosse nulla nel suo animo, era solo un fatto da realizzare una volta per tutte.
Con sospetto, si chiese se non avesse ancora una volta a che fare con l'interesse che la ragazza nutriva per Marco. Magari, doveva sciorinargli qualcuno dei suoi machiavellici ragionamenti relativi alla linea comportamentale del biondo. Mentre le squadrava il viso, cercò in lei anche solo un piccolo tentennamento che potessero confermargli questa sua ultima ipotesi, senza però trovarlo. Annamaria era sincera, forse come poche altre persone nella sua vita, e quel pomeriggio voleva semplicemente passare del tempo con lui, inspiegabilmente.
-Sì, lo siamo. – fece spallucce, senza troppo entusiasmo.
La seguì dentro il vivaio, inoltrandosi tra fiori e piante di ogni genere.

Mezz'ora dopo, erano ancora lì a cercare qualcosa che potesse soddisfare il bisogno della madre della ragazza di avere un orto in giardino. Annamaria non aveva fatto altro che ciarlare di bulbi e innesti, ma la cosa non aveva creato in lui alcun disappunto, anzi: se l'avesse sentita parlare di Marco, allora sì che le ultime convinzioni maturate sarebbero crollate.
Federico osservava enormi mazzi di girasoli, così gialli e luminosi che guardarli quasi gli feriva gli occhi. Annamaria era sparita con uno dei responsabili per farsi illustrare come coltivare correttamente una pianta di pomodoro.
-Bella la tua ragazza. – si sentì prendere in giro, da una voce che ormai sapeva distinguere perfettamente. Il tono era giocoso.
Si voltò a destra e a sinistra, ma di Emma non c'era traccia.
-Sono qui. – fece lei, venendo fuori da dietro l'angolo dei mazzi di girasoli.
Era anche lei vestita di giallo e teneva in mano uno dei fiori, così grande che se avesse voluto nascondervisi dietro avrebbe potuto tranquillamente farlo. Federico pensò che potesse tranquillamente mimetizzarsi tra quelle piante, luminosa com'era in quel momento; era anche lei un girasole allegro.
Aveva il viso bello e raggiante, le labbra incurvate in un sorriso divertito, i capelli corti dietro le orecchie elfiche. Parte dell'attrazione che Federico sentiva per lei era proprio incontrarla in quel modo, come se le loro strade fossero costantemente destinate ad incrociarsi e i loro percorsi ad intrecciarsi.
-Magari sei tu che segui me- convenne lui, osservandola.
Era la prima volta che la vedeva alla luce del sole, le lentiggini sul suo viso risaltavano ancora di più, a contrasto con la pelle chiara color porcellana.
Emma strinse gli occhi con disappunto, ma non smise di sorridere. -Quanto spesso metti piede in questo vivaio?
Touchè, pensò lui.
-Mi ci hanno trascinato con l'inganno- fece lui, giustificandosi.
-Ho visto- annuì Emma, con una risatina. Sistemò il fiore che aveva in mano in mezzo agli altri, accarezzando i petali gialli. -Molto bella, come dicevo.
Il tono con cui lo aveva detto era indecifrabile per lui. Arrovellarsi sul peso che le persone davano alle parole e al tono, non era qualcosa che gli apparteneva; anzi, preferiva tagliar corto e non interrogarsi troppo su niente. Molto più comodo, più semplice, più conveniente.
Nel mondo di Federico non c'era mai stato spazio per nessuno se non per i suoi, di drammi, non aveva senso interrogarsi su quegli degli altri.
Ma Emma, misteriosa e intrigante com'era, una perfetta sconosciuta che però sentiva così vicina a sé, non era come tutti gli altri. Aveva qualcosa di così luminoso dentro che doveva per forza diradare quelle nebbie; così, della sua luce, si sarebbe beato anche lui.
-Non è la mia ragazza – sorrise, inclinando il capo per scorgere l'espressione sul viso di lei, chino sui fiori.
Uno sbuffo. -Mica ti devi giustificare con me.
-No, infatti – convenne lui, divertito. -Ma Annamaria non è comunque la mia ragazza... È piuttosto... un'amica?
Si scoprì confuso a riguardo. Anche se la realizzazione di quella verità era avvenuta poco prima, dirlo ad alta voce suonava così strano.
Emma aggrottò le sopracciglia chiare. -Lo stai chiedendo a me se è amica tua?
-No, certo che no – si scoprì a gesticolare confusamente. -È mia amica, dicevo, tutto qui.
Gli occhi verdi di lei lo guardarono dapprima curiosi, poi più penetranti. Lo squadrò totalmente, forse realizzando anche lei di non averlo visto ancora alla luce del sole. La vide indugiare sulla sua mascella, sugli avambracci lasciati scoperti dalla camicia a quadri, sulle spalle larghe.
-Ti porti a letto tutte le tue amiche? – gli chiese, questa volta con un po' di severità nella voce. Gli occhi di lei lo sfidavano come avevano già fatto, il suo tono di voce era meno cristallino e giocoso, più roco.
Federico sapeva che lei lo aveva visto, la sera precedente. Era consapevole che sgattaiolare fuori da una macchina parcheggiata nel bel mezzo del nulla era strano, ma non si aspettava che lei fosse così perspicace da inquadrare la situazione da subito. Evidentemente, non doveva sottovalutare quel folletto.
-Beh, se consideri che Annamaria è la mia unica amica, allora sì, me le porto a letto tutte.
Suonò disinvolto nel fare quella battuta, ma Emma non rise.
-Cosa fai, mi giudichi? Non credi di sapere troppo poco per saltare alle conclusioni?
Lei fece spallucce, annoiata, poi sorrise. -Ti importa a tal punto di quello che penso?
Suonò come un congedo da quella stramba conversazione. Emma lasciò andare i suoi fratelli fiori e fece per andarsene.
-Sì- disse Federico, afferrandole delicatamente il polso, per non farla andare via.
Lo aveva fatto senza pensarci, ma si sentiva così attratto da lei che non era riuscito a trattenersi. Quel tocco aveva qualcosa di elettrico, erotico quasi, e a giudicare da come gli occhi verdi di Emma brillarono, anche lei pensava la stessa cosa.
La vide deglutire, mentre lui di malediceva mentalmente per essere così limpido con lei, per aver abbassato le difese che ergeva con tutti quanti. Non gli importava che lei sapesse quanto a lui importava, voleva solo che lei non andasse via. Voleva parlare con lei.
-Federico! – la voce di Annamaria lo chiamò, da poco vicino.
Lui si voltò, alla ricerca della bionda, e quando la vide aveva tra le mani buste di terriccio e un sacchetto di bulbi. Era tutta sorridente e allegra.
-Andiamo? – fece lei, con un leggero fiatone dato dallo sforzo.
Ma lui non poteva ancora andare via, c'era Emma lì e doveva assolutamente rivederla.
Quando si voltò per cercarla, tuttavia, lei era sparita. Lui non si era accorto che lei era sfuggita alla sua presa, agile come un gatto. Non l'aveva neanche vista allontanarsi, non sapeva in che direzione cercarla. L'unica cosa che poteva amaramente constatare era che lei non fosse più lì.
Svanita, come se non fosse mai stata lì, come se l'avesse sognata ad occhi aperti.
Federico si ritrovò a dubitare perfino di averla veramente incontrata.
-Sì, andiamo- mugugnò confuso e deluso, sfilando dalle mani di Annamaria i pesanti acquisti, così da rendersi utile.

Sapendo di avere la casa a sua completa disposizione, Federico aveva deciso di invitare Annamaria, la quale aveva accettato senza troppe riserve.
Dopo averla aiutata a lasciare i suoi acquisti a sua madre, i due si erano incamminati verso casa Visconti. Quando giunsero a destinazione erano da poco passate le otto di sera e Federico tutto si aspettava fuorché di trovare intrusi in casa sua.
-Ma ci sono i ladri? – chiese Anna, agitata, quando furono sull'uscio.
Federico aveva già accantonato questa ipotesi dal momento che i ladri non avevano come abitudine di mettere la musica a tutto volume e che, i suddetti ladri, non avevano né rotto finestre né scassinato la porta; al contrario, i ladri in questione sapevano che la chiave di riserva della casa si trovava nel doppiofondo della cassetta delle lettere, e probabilmente erano entrati senza problemi.
Quando Federico aprì la porta di casa, capì che il responsabile del misfatto era solo uno, Marco Poletti. L'ingresso di casa sua, il salotto, la cucina, e chissà quale altra stanza, brulicavano di gente. Non sapeva neanche come avesse fatto, il suo amico, ad invitare così tante persone con così poco preavviso.
Tutti parevano divertirsi, tra birre e alcolici in bicchieri rosso fuoco. L'unico che non si divertiva era proprio Federico. Cercò Marco tra la gente, seguito da una Annamaria a metà tra il confuso e il festaiolo. Probabilmente anche lei voleva unirsi al divertimento, ma non voleva fare uno sgarbo a Federico.
L'indiziato responsabile di quel casino era al centro del salotto, proprio nel bel mezzo della calca, a ballare con una birra in mano.
-Che significa? – Federico fu costretto a urlare per farsi sentire. Il suo tono era incolore, nascondeva irritazione e fastidio.
Marco avanzò verso di lui a braccia spalancate, elegante nella sua camicia bianca, i capelli biondi pettinati all'indietro e fissati con del gel.
-Che ti faccio tornare dal mondo dei morti, amico- disse, dandogli due pacche sulle spalle.
Poletti adocchiò la ragazza alle spalle di Federico, senza però né salutarla né sorriderle. Annamaria non disse nulla, lo guardava incantata, ma si sentiva la sua delusione per le poche attenzioni che lui le riservava.
-Ti devo presentare delle amiche! – gli urlò Marco alle orecchie, dal momento che qualsiasi conversazione normale non era concessa.
Federico fece roteare il dito, indicò la confusione attorno a loro, e poi l'amico. -Quand'è che lo abbiamo deciso? Mi sfugge.
Il biondo lo liquidò con un gesto della mano, poi indicò qualcuno che veniva verso di loro dalle spalle di Annamaria.
–Queste sono Andrea e Amelia. – presentò le due ragazze urlando, ancora una volta. Erano alte, con gambe lunghissime, praticamente identiche l'una all'altra: capelli neri riccissimi, occhi neri, rossetto rosso sulle labbra carnose. Le due sorridevano come due automi, con la stessa identica inflessione della bocca.
-Ma che bella casa che hai- urlò una delle due, con un marcato accento straniero che Federico non seppe riconoscere.
Marco, che non aveva mai smesso di ballare sul posto al ritmo di musica, era raggiante. – Le ragazze sono russe, sono da queste parti per un servizio fotografico.
–Viaggiamo parecchio. – urlò la seconda delle due ragazze.
Federico, sconsolato, si arrese alla situazione, quel che era fatto era fatto. Non poteva certamente cacciare via tutta quella gente. Certamente, si disse che non era neanche obbligato a stare al gioco di Marco, non doveva farsi piacere per forza qualcuno che gli stava propinando l'amico. Poteva restare neutrale rispetto alla situazione, farsi gli affari suoi.
Avrebbe fatto i conti con Marco dopo.
Liquidò quella scenetta patetica con un gesto della mano e si allontanò verso la veranda, così da poter uscire sul giardino che c'era sul retro della casa. Quando fu sulla soglia della porta, una mano sulla spalla lo riportò alla realtà da quello stato di trans solitaria in cui si era rifuggiato.
Annamaria lo aveva seguito per tutto il tempo, leggermente risentita per la situazione e, probabilmente, anche per Marco Poletti, il suo amore impossibile. Non se la meritava la tristezza che le si leggeva sul viso, ma forse era il prezzo da pagare per essere tanto ingenua.
-Senti – fece lei. -Io andrei a casa.
Federico annuì. -Ciao Anna, buona serata.
Non si preoccupò di rassicurarla perché non ne aveva voglia, né si scusò per il comportamento di Marco perché non ne era responsabile.
La ragazza se ne andò senza proferire altra parola e lui poté stravaccarsi sul dondolo che c'era in giardino, fortunatamente lasciato in pace dagli sciacalli che gli stavano demolendo la casa.
Avrebbe affrontato un problema per volta, prima c'erano i suoi nervi a pezzi.
-Non c'è niente da bere? - civettò una voce fastidiosa, dirigendosi verso di lui. Federico identificò subito la scocciatrice che Marco gli aveva presentato poco prima.
-Eh? – borbottò, più per dimostrarsi ostile.
Lei rise, anche se non era stata fatta alcuna battuta. – Vodka, ce l'hai?
-La cerchi nel posto sbagliato, credo che tutti gli alcolici siano dentro. – sbuffò lui, questa volta sperando davvero che lei capisse e se ne andasse.
Al contrario, la ragazza si sedette in maniera aggraziata nel dondolo, proprio accanto a lui.
-Hai degli occhi bellissimi, sai?
Il suo tono era seducente, tentava di essere irresistibile. Il vestito che indossava, già sufficientemente corto, era risalito ad arte su per le cosce.
-Ah sì?
-Sì – confermò lei.
Peccato che a Federico non importasse nulla. Era più che convinto che dietro quell'insistenza fastidiosa si celasse Marco. Già lo immaginava ad istigare quella ragazza a provarci con tutti i mezzi che aveva a disposizione dal momento che il suo amico era un ragazzo difficile.
–Mi piaci sai? – fece lei, avvicinandosi. Le loro cosce accostate. Nessun effetto.
Federico ne aveva decisamente abbastanza di quel teatrino. Voleva solo starsene in pace, non era chiedere troppo.
-Tu invece non sei il mio tipo – la liquidò, alzandosi di botto e percorrendo il giardino a grandi falcate.
Decise che doveva trovarsi un altro rifugio in cui rintanarsi, quello non andava più bene. Mentre si faceva largo tra i corpi sudati che gli infestavano il salotto, pensò che almeno la sua camera doveva essere illesa da tutto quel casino, altrimenti l'amicizia con Marco poteva considerarsi conclusa.
Un barlume di speranza lo colse quando notò che le scale che conducevano al piano di sopra erano sgombre dalla gente. Le salì velocemente, urtando però i bicchieri che i suoi invitati avevano avuto la premura di poggiarci.
Uno dei calici rossi era ancora pieno di liquido ambrato e, dopo essere stato urtato, si rovesciò tutto sul pavimento. Federico si sporse per osservare la chiazza allargarsi sul tappeto persiano e fu in quel momento che qualcosa attirò la sua attenzione.
Emma ballava in maniera totalmente scoordinata rispetto al ritmo pompato dalle casse. Sembrava che nella sua testa ci fosse tutt'altra musica, qualcosa che sentiva solo lei. Ondeggiava la testa a destra e a sinistra, ad occhi chiusi, reggendo in mano una birra ghiacciata da cui beveva qualche sorso di tanto in tanto.
Portava lo stesso abitino giallo che le aveva visto indossare quel pomeriggio, ma le aderiva maggiormente al corpo minuto, probabilmente a causa del sudore – lo stesso che le aveva incollato i capelli al collo e alla fronte.
Federico la trovava bellissima e non riusciva a capire come fosse possibile che tutti gli occhi dei presenti non fossero puntati su di lei.
Gli rimbombava qualcosa nella testa, nel petto, in ogni fibra del suo corpo. I muscoli li sentiva tutti rigidi, la bocca asciutta.
Scese le scale con la stessa fretta con cui le aveva salite e spintonò chiunque gli si parasse davanti. Non potevano impedirgli di raggiungerla.
Quando le fu davanti lei neanche se ne accorse, presa com'era a ballare la sua danza mistica. Aveva tutte le gote arrossate, il mascara leggermente colato sotto gli occhi.
Federico le afferrò il polso con la stessa delicatezza che aveva usato quel pomeriggio al vivaio, quando aveva tentato invano di trattenerla. Emma, che fino a quel momento aveva tenuto gli occhi chiusi, lo guardò tutta sorridente. Aveva, negli occhi verdi, la tipica euforia che solo l'alcool sapeva donare alla gente.
-Ciao – biascicò lei, senza smettere di danzare.
Lui non seppe più resisterle: le mise le mani sulle spalle e con uno slancio disperato la baciò. Ne sentiva il bisogno da quando l'aveva incontrata per la prima volta, doveva soddisfare quel desiderio, e lei era lì, così vulnerabile rispetto al solito, sembrava offrirsi spontaneamente a lui.
Una parte di Federico voleva anche scoprire come fosse, baciarla. Se l'elettricità che sentiva parlando con lei si sarebbe amplificata, o spenta.
Le labbra di lei erano più morbide di quel che si aspettava, il suo profumo buonissimo anche se mischiato al sudore. Rimasero a fior di labbra, un bacio tra bambini impacciati, la bocca di Federico che premeva con decisione su quella di lei.
L'urgenza di quel bacio colpì più Federico che la stessa Emma, la quale rimase impietrita, sul posto, gli occhi spalancati. Non ricambiò, rimase solo ferma a fissarlo, il viso umido di sudore, le guance ancora arrossate dal caldo.
Federico, dal canto suo, sapeva che quel bacio non era sufficiente per soddisfare il suo desiderio di lei: i corpi erano rigidi, troppo distanti, Emma troppo confusa, il chiassò eccessivamente assordante per avere l'intimità che gli serviva. Sapeva che dopo quel piccolo contatto, avrebbe voluto di più.
Fece per afferrarle il viso, pronto per convincerla che lasciarsi andare a lui era la cosa migliore da fare, ma Emma sgattaiolò via dalla sua presa e dalla sua bocca... E iniziò a vomitare.

In antichità i girasoli erano i fiori che rappresentavano proprio il Dio Sole presso le popolazioni indigene. Impossibile, infatti, non pensare al sole con i suoi petali gialli! Proprio questa affinità del fiore con il sole, fa sì che il girasole venga associato un significato allegro e spensierato, in grado di infondere gioia.

[www.leitv.it]

Il Girasole simboleggia l'allegria, la solarità e la vivacità. Regalare un fiore di Girasole equivale a rimarcare il carattere gioioso e allegro con cui, la persona che lo riceve, affronta la vita.

[www.ilgiardinodegliilluminati.it]

Buonasera a tutt*. La mia dimestichezza con Wattpad è davvero scarsissima al punto che per giorni sono stata convinta di aver pubblicato il primo capitolo quando in realtà non era vero. Spero perdonerete questi strafalcioni. Anni fa avevo pubblicato questa storia su EFP - dove sto ripubblicando in concomitanza - ed i feedback erano stati tanti. Purtroppo la mia testardaggine mi avevano portato a non completare la storia e a decidere di cancellarla. Ad oggi non solo ho deciso di rispolverarla, affinchè non cada nel dimenticatoio del mio computer, ma sto anche facendo degli aggiustamenti dal momento che ormai la stesura risale a 7 anni fa. Qualsiasi feedback è ben accetto e sappiate che sarò il più costante possibile con la pubblicazione. A presto. 

La ragazza dei gelsominiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora