VII Tulipano

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C'era una volta un paese dove gli uomini innamorati coglievano un fiore di campo carnoso e sensuale per darlo in omaggio alle loro compagne come pegno di amore eterno.Questo fiore incantato era nato in una notte triste ed eterna culla dell'amore tra il giovane Shirin e la bella Ferhad. Un giorno Shirin si allontanò, il suo amore lo aspettava, ma i giorni passavano e lui non tornava, così una sera Ferhad si avventurò nel deserto nella speranza di trovarlo, ma l'unica cosa che trovò furono la stanchezza e la fatica che la fecero cadere su delle pietre aguzze. Distrutta dal dolore e dalle ferite Ferhad incominciò a piangere e le sue lacrime si mischiarono al sangue delle sue ferite e bagnarono il terreno da cui nacquero i primi tulipani. Da allora tutte le primavere questi fiori tornano a fiorire nelle terre di Persia in ricordo di questo amore infelice.*



Quella mattina venne svegliato dal suono di un fastidioso uccello, appollaiato sulla finestra.
Nel timore di aver sognato tutto, Federico tastò assonnato il suo letto, prima da una parte e poi dall'altra, fino a quando la sua mano non si scontrò su un corpo caldo.
Emma, coperta solo dal reggiseno e dagli slip color smeraldo, respirava regolarmente, la bocca schiusa, le sopracciglia aggrottate come se in sogno stesse litigando con qualcuno che le aveva dato fastidio. Le face una carezza sulla schiena nuda e lei mugolò nel sonno, rigirandosi prima a destra e poi a sinistra.
Federico ripensò per un attimo alla notte precedente, a quanto lei avesse insistito affinché il loro bacio diventasse qualcosa di più. Era stata lei a spogliarsi, lei a tentare di spogliare lui nonostante lui le avesse fatto una leggera resistenza.
Non voleva bruciare le tappe subito, a lui piaceva fare le cose con calma, gustarsele. Ecco perché, anche se con una leggera insofferenza, non aveva fatto altro che baciarla la notte prima, nonostante lei gli avesse offerto qualcosa di più.
Non gli importava avere tutto e subito, gli importava avere Emma.
-Volevo svegliarmi prima di te – borbottò lei ancora con gli occhi chiusi, la faccia appiccicata al cuscino.
Federico rise, accarezzandole la guancia. -Perché? Volevi fuggire come una ladra dalla finestra?
Lei aprì gli occhi verdi, ancora assonnati e lo guardò con un sorriso. -Sì, così mi sarei evitata di dirti che non voglio che mi baci per l'alitosi mattutina.
-Ma va – ridacchiò lui, facendo correre la mano giù per il corpo di lei fino ad esitare sull'ombelico – Sicuro che non ti bacio, l'alito mattutino non ha esattamente l'aroma di rose. Magari se ti lavi i denti...
Emma era tutta un brivido per le carezze che lui le stava riservando. – Andrò a lavarli, ma a casa mia. Usare il tuo spazzolino non mi alletta.
-Ti fai problemi per il mio spazzolino? - ironizzò lui, divertito dalla sua espressione sdegnata: il nasone storto e le labbra arricciate. –Ieri sera abbiamo scambiato tutti i fluidi possibili, mi sembra.
-Non me ne fare pentire, ti prego – gli fece una smorfia, mettendo la mano su quella di lui e intrecciando le dita.
-Se vuoi fingo di non averti vista e ti lascio alla tua fuga – le fece l'occhiolino, alzandosi dal letto. -Dispererò per la tua assenza.
Federico raccattò i suoi vestiti dal pavimento: indossò la tuta grigia e la maglietta bianca a maniche corte, sotto lo sguardo curioso della ragazza ancora avvolta tra le lenzuola del suo letto.
-Come in un film sdolcinato- sorrise Emma, sollevandosi sui gomiti.
Aveva una sicurezza di solito inaspettata nelle ragazze: non si vergognava di essere seminuda con un ragazzo che conosceva da poco. Come era accaduto altre volte, Federico aveva la sensazione che lei fosse nel posto giusto al momento giusto.
Emma si alzò, stiracchiando la schiena. – Inizi a piacermi, sai?

Lui rise: -Era ora!
La guardò raccattare il vestito bianco che indossava la sera prima dal pavimento ed indossarlo. Era più corto di quanto ricordasse, lasciava totalmente esposte le gambe corte di lei, segnate da graffi e lividi violacei – probabilmente i segni delle sue frequenti arrampicate.
Quando si accorse che lui la stava osservando, gli fece la linguaccia.
–Ci vediamo più tardi? – lo spiazzò, mettendosi a cavalcioni sulla finestra. Proprio non ne voleva sapere di passare dalle porte e lui segretamente gliene era grato: se non altro non avrebbe incontrato sua madre. Simona curiosa com'era l'avrebbe tempestato di domande.
Desiderava avere un appuntamento con lei da quando l'aveva incontrata per la prima volta, se non altro il loro incontro non sarebbe stato più qualcosa di fortuito ma una cosa concordata.
-Alle nove- annuì lui. Credette per un attimo che lei gli avrebbe lasciato un modo per contattarla, un numero di telefono, ma non lo fece.
Emma si arrampicò sull'albero accanto alla sua finestra e scese in un attimo fino a giù.
A differenza delle altre volte, Federico non si preoccupò di seguirla con lo sguardo mentre si avviava verso casa. Era in gamba, non aveva bisogno che il principe azzurro la tenesse d'occhio.
Dopo essersi tastato il mento pungente, Federico decise che per quella sera si sarebbe rasato.
In quel momento invece, aveva qualcosa di più importante da fare: si mise alla scrivania e aprì il blocco. Il carboncino gli sporcò subito le dita di nero, mentre con movimenti abili e sicuri tracciava il profilo sottile di Emma, che avanzava nel buio verso di lui, esattamente come la sera precedente.

Quando scese le scale, alle dieci passate, sentì la madre giocare con Alberta.
-E il volo delle colombe quando? - chiedeva la piccola, evidentemente entusiasta della messa in scena che avevano imbastito.
Simona rise, accarezzando la testa della piccola. –Le colombe le lasciano volare dopo il 'Sì, lo voglio'.
Alberta pareva confusa dalla risposta della madre. -Ma sì cosa?
-Gli sposi dicono sì al matrimonio, e così stanno insieme per sempre- le spiegò la madre, paziente.
-Ma non è vero, è una bugia!
Federico capì subito a cosa si riferisse la sorellina. Il fatto che una bambina così piccola riuscisse a processare quel genere di ragionamenti era notevole, anche se in cuor suo avrebbe preferito che per l'età che aveva continuasse a credere nell'idilliaca bugia del "per sempre felici e contenti".
Era colpa di Simona se Alberta non poteva avere la famiglia unita che si meritava, l'amore anche del padre nella sua quotidianità.
-Perché una bugia?
La severità che aveva sempre riservato a questo genere di discussioni fu per un attimo spazzata via dal tono di voce che Simona aveva assunto nel rispondere alla bimba: sembrava triste, affranta dai sensi di colpa.
Certamente Federico sapeva che la madre non prendeva a cuor leggero tutta la loro situazione familiare, ma non aveva mai colto in lei tanto dispiacere come in quel momento. Era come se per la prima volta la vedesse sotto una luce diversa e non riusciva a capire se quei dettagli fossero sempre stati sotto i suoi occhi e lui troppo cieco per accorgersene, troppo preso da sé stesso.
La scarsa empatia che aveva riservato a quella donna – così come a tutte le persone che orbitavano attorno a lui – lo colpì nello stomaco, come un pugno. Si sentì in colpa, anche se solo per qualche istante. Dopotutto Simona era responsabile dei suoi mali, era giusto piangesse sé stessa.
-Perché anche tu e papà vi siete sposati, ho visto le foto dove avevi il grande vestito bianco! - spiegò la bambina, indicando un oggetto che anni prima troneggiava nel tavolino al centro del salotto. –Ma papà non è qua.
Un silenzio imbarazzato regnò nella stanza per diversi secondi. Era impossibile dare ad Alberta una spiegazione valida senza ferirla. Aveva solo sei anni, era intelligente, ma non poteva sopportare ciò che il mondo degli adulti celava. Era troppo piccola e troppo ingenua.
-Hai ragione tesoro, non è qua- gliela diede vinta Simona, delusa.
Ma la piccola non mollava, saltellava attorno alla madre, pressante e curiosa. -E allora dov'è?
Fu in quel momento che si sentì in dovere di intervenire, sia per togliere di impiccio la madre sia per evitare che Alberta ricevesse delle risposte che non era pronta a sentire, ancora.
Dopo quello che era successo il giorno precedente, doveva qualcosa a Simona. Un gesto, per farle capire che si scusava senza scusarsi veramente. Era il massimo che il suo orgoglio gli consentiva di fare.
-Albertina! - intervenne Federico, facendo il suo ingresso in cucina. –Fuori c'è una bella giornata, andiamo a giocare a palla?
La bambina scattò in piedi come un soldatino ubbidiente, distratta dall'idea di poter giocare con il fratello maggiore. –Certo! - E corse via, per recuperare la sua palla rosa brillante.
Federico guardò la madre, ma entrambi non dissero niente. Negli occhi scuri della donna c'era una silenziosa gratitudine per ciò che il figlio aveva fatto, il rimorso e il rimpianto per qualcosa che a Federico non interessava indagare oltre.
Mentre raggiungeva la bambina in giardino, si accorse di non avere il cellulare.
Salì le scale a due a due, trovando poi il telefonino spento sul comodino della sua camera. Lo accese, scorgendo dalla finestra che dava sul giardino Alberta pronta per la loro sessione di gioco: tirava già la palla in aria, più in alto che poteva, per poi scappare per evitare di farsi colpire.
Era buffissima, si disse Federico.
Si ritrovò perplesso davanti a dieci chiamate perse da parte del suo amico Marco, che nella sua vita non aveva mai neanche provato ad imbastire una conversazione telefonica con lui. Abitualmente, si limitava a messaggi diretti del tipo "Ci vediamo?" e pretendeva che la risposta fosse altrettanto monosillabica.
Avrebbe potuto pensare che si fosse trattato di un errore del biondo, ma le telefonate erano distribuite ad intervalli orari così precisi che non si poteva trattare di uno sbaglio: mezz'ora tra una chiamata e l'altra, tutte la sera precedente. Doveva essere successo qualcosa.
Federico, sempre più stranito, si disse che non aveva voglia di parlare con Marco e stabilì che non lo avrebbe richiamato. Sebbene un po' di curiosità aleggiasse in lui, non era sufficiente da spingerlo nella direzione del suo rozzo amico.
Stava per infilare il cellulare nella tasca dei pantaloni quando lo udì suonare, la foto di Annamaria a lampeggiare sullo schermo.
-Ehi – borbottò, mogio, incamminandosi verso il piano di sopra.
-Ehi!
La voce di Anna suonava come quella di una mamma apprensiva. In quel saluto sembrava esserci una strana cautela, come se si stesse avvicinando ad un animale selvaggio da addomesticare e non volesse spaventarlo.
-Come stai? – gli domandò, sempre la stessa inflessione della voce.
Federico pensò che potesse esserci una correlazione tra le chiamate combinate di Anna e Marco, ma si serbò il diritto di non saltare a conclusioni prima di sentire che cosa la ragazza avesse da dirgli.
-Come dovrei stare? – borbottò con una risatina. -Come al solito.
Annamaria rimase in silenzio per alcuni istanti prima di riprovarci. -Ieri sera ti ho visto seccato.
Sapeva che seccato era un eufemismo per dire imbestialito, furibondo. Lei, probabilmente nel timore di incutere in lui di nuovo gli stessi sentimenti, stava pesando con cautela le cose; la delicatezza di Annamaria gli era sempre piaciuta.
-Puoi dire tranquillamente che ero incazzato nero – rise senza allegria, nel tentativo di alleggerire il tutto.
-Ecco sì! – C'era del sollievo nella voce dell'amica. -Eri incazzatissimo!
Federico aveva raggiunto il giardino. Alberta continuava a giocare felice, ignorando il fatto che il fratello non fosse partecipe: il fatto che lui fosse uscito all'aperto con lei significava che aveva mantenuto la promessa di passare del tempo insieme, e questo le bastava.
-Già – confermò, incastrando la cornetta tra spalla e orecchio, mentre si stravaccava sul dondolo in giardino.
Di nuovo cautela da parte di Anna: -Hai litigato con Marco?
-Ma va – rise, questa volta di gusto. -Pensi davvero che possa farmi imbestialire così tanto?
-Ma se ti ho visto urlargli contro! – insistette la ragazza.
Federico in quel momento pensò a quanto gli venisse naturale parlare con lei. L'idea di raccontarle delle cose, di Emma, non gli pesava. Anzi, al contrario, era convinto che avere qualcuno con cui confrontarsi gli avrebbe solo giovato.
Per una volta nella vita, non voleva più stare solo con sé stesso, ma dialogare, raccontare, condividere. Sentiva la voglia di aprirsi al mondo, alle persone; non la sentiva da anni.
Era come se Emma avesse avuto la chiave per aprire la serratura della prigione in cui aveva imprigionato sé stesso.
-Non ce l'avevo con lui, almeno non precisamente – spiegò, tranquillo. – Mi ha fatto incazzare, sì, però ero già arrabbiato, con lui sono solo esploso.
-E perché eri arrabbiato? Tua madre?
Mugugnò in segno di dissenso. -No Emma.
-Chi?! – cinguettò in maniera stridula.
-Emma, la ragazza di cui ti parlavo – rise Federico.
-Oddio che è successo? – borbottò curiosa la ragazza dall'altra parte del telefono. Sentì distintamente il suo materasso cigolare, segno che si era anche lei messa comoda per prepararsi al racconto. -Ma ti sento tranquillo, avete già risolto?
Federico ripensò alla notte precedente. -Sì, abbiamo risolto.

La casa era buia, esattamente come il giardino circostante. Federico era più che certo che non ci fosse nessuno, anche se il cancello in ferro arrugginito poneva una significativa distanza tra lui e la proprietà. Non era certo di trovare Emma quando aveva deciso di andare a casa sua, ma dava per scontato di vedere il nonno, che magari poteva reindirizzarlo. Quello che si trovava davanti, invece, era il vuoto più totale, come se non ci fosse stato mai nessuno.
Era la seconda volta che si azzardava ad avvicinarsi da solo a quella proprietà e si sentì nuovamente la medesima sensazione addosso: non sapeva determinare se si trattasse di sospetto, confusione o curiosità. Probabilmente un mix delle tre cose.
Quello che era chiaro per Federico era che Emma non aveva motivo di mentire su dove abitava. Inoltre, era certo che, durante il loro primo incontro, lei fosse entrata con un mazzo di chiavi all'interno della malandata proprietà.
-Ragazzo, non stare lì a curiosare, non troverai nulla- disse un uomo sulla cinquantina.
Aveva i capelli sale e pepe e stringeva tra le mani un grosso mazzo di fiori rossi. Il portabagagli della sua Audi ne conteneva altrettanti, pronti ad essere scaricati.
-Cercavo una persona – spiegò lui, sollevando le mani in segno di resa, come a discolparsi da qualcosa che non aveva in realtà commesso.
L'uomo, che inizialmente lo guardava con sospetto, si convinse di aver davanti un bravo ragazzo.
-E cerchi a vuoto: io non ho mai visto nessuno in quella casa- rispose, la voce strozzata per lo sforzo. Abbandonò il mazzo di fiori accanto la porta di casa e iniziò a cercare le chiavi nei pantaloni kaki, asciugandosi il sudore sulla camicia a quadri rossi. Una volta ristoratosi, l'uomo trasportò il primo dei mazzi di fiori verso l'interno di casa.
Federico si sentiva confuso davanti a quella risposta. Provò ad ipotizzare che l'abitudine di Emma di entrare dalle finestre piuttosto che dalle porte l'avesse resa invisibile anche agli occhi dei vicini.
-È disabitata? – insistette a chiedere, dopo che l'uomo affaccendato venne fuori per caricarsi i restanti mazzi di fiori. Era decisamente fuori forma per quell'operazione.
-Sto qui da due settimane, non ne ho idea- borbottò, stanco. –Comunque, non ci ho mai visto nessuno.
Federico sedò i dubbi che gli erano sorti: probabilmente quell'estraneo stava lì da troppo poco tempo per aver scorto la sua Emma.
Provò a convincersi che quella spiegazione fosse più che sufficiente, anche se una piccola parte di sé non era del tutto convinta e scalpitava per sapere di più.
-Vuole che le dia una mano? - si offrì alla fine, impietosito dalla fatica di quell'uomo.
Il cinquantenne si illuminò e gli indicò il carico: -Mi faresti un grande favore! Sono per mia moglie: oggi è il suo compleanno.
Federico, che di gesti romantici proprio non ne sapeva niente, si sentì comunque intenerito da quella spiegazione. - Tanti mazzi di fiori quanti sono gli anni?
-Quarantacinque mazzi di tulipani, esatto. Sono una sorpresa per quando arriva, e se mi aiuti te ne sarò eternamente grato – annuì l'uomo.
Federico scrollò le spalle. –Volentieri- disse, afferrando il primo carico di fiori.

Mezz'ora dopo, Federico si avviava verso casa con un tulipano rosso in mano: la sua ricompensa per aver aiutato il signor Pietro ad organizzare la sorpresa per la moglie Roberta.
Gli venne in mente quando, circa quattro anni prima, il padre voleva organizzare una cosa del genere per Simona.
-Credevo che non fossi il tipo da questo genere di gesto romantico.
Emma era di fronte casa sua, appoggiata al muro, in un paio di pantaloncini neri e una camicetta rossa. Aveva i capelli dietro le orecchie, le guance spruzzate di lentiggini di un bel rosa pesca.
Il sorriso che le animava il viso era ampissimo, gli occhi furbi e giocosi mentre lo prendeva in giro.
-Dici questo? - chiese Federico, agitando il tulipano rosso mentre si avvicinava a lei. –Ma che, non è per te.
Si fermò esattamente di fronte a lei.
-Oh- commentò Emma, facendo una smorfia. –Prima mi sentivo in imbarazzo, adesso quasi delusa che non sia per me.
Federico sbuffò divertito. –Chi vi capisce è bravo.
Le allungò il fiore ed Emma parve felice di prenderlo. Se lo portò vicino al viso, affondando il naso tra i petali non per annusarlo, come avrebbe fatto chiunque altro, ma per saggiarne la morbidezza.
Si limitò ad osservarla, per poi farle una carezza sul viso che lei parve gradire.
-Se non era per me, allora perché lo avevi in mano? – lo sfidò, sollevando le sopracciglia folte.
Emma fece scivolare la mano in quella di lui e le loro dita si intrecciarono; quelle di lei erano come al solito freddissime, si disse Federico. Si incamminò, trascinandolo con sé.
-Ho aiutato un uomo ad organizzare una sorpresa per la moglie- spiegò lui, così preso da lei da non chiedersi neanche dove lo stesse portando. –Ti cercavo – aggiunse poi, con un velo di sospetto che avrebbe preferito nasconderle e che sperava lei non avesse percepito.
-Mi cercavi? – borbottò lei, confusa. Scosse la testa, facendo ondeggiare i capelli corti a destra e a sinistra.
-Sì, pensavo di trovarti in casa – spiegò lui, anche se il suo tono suonava più come una domanda a cui lui desiderava che lei rispondesse.
Emma rise, per nulla a disagio. –Ero davanti casa tua, ad aspettare te.
-Non c'era nessuno in casa? - indagò ancora.
-Sì, ma probabilmente il nonno dormiva- fu sbrigativa lei, di nuovo disinvolta.
Sebbene il mistero non fosse totalmente svelato, Federico si sentì più sicuro di sé stesso: lei era troppo a suo agio, non stava mentendo.
Non era mai stato bravo a capire le persone, ma Emma non era una persona qualunque. Si sentiva così in profonda sintonia con lei da captare ogni singolo dettaglio nell'inflessione della sua voce, nel suo sguardo, nelle sue espressioni. Registrare tutti quei piccoli dettagli che la riguardavano gli consentivano di tenerla vivida nella sua mente, sentiva di aver bisogno dell'immagine di lei nei suoi pensieri.
-Cosa c'entra l'uomo dei tulipani con questo? – saltellò curiosa, pizzicandogli delicatamente un braccio per attirare nuovamente l'attenzione di lui.
Arrivarono sulle soglie della spiaggia. Federico la aiutò a scendere l'alto scalino che conduceva verso la sabbia fresca.
Emma non protestò davanti quella gentilezza di lui, anzi parve accettarla volentieri. Una volta raggiunta la riva si tolse le scarpe, senza però lasciare che l'acqua del mare le bagnasse i piedi.
-Mentre ti cercavo l'ho incontrato e vederlo tanto affaccendato mi ha impietosito, così gli ho offerto il mio aiuto.
-Che cuore nobile- rise lei, continuando a punzecchiarlo giocosamente. –Vedere qualcuno che si dà tanto da fare per la moglie non dovrebbe impietosirti, anzi. Se riesce ad essere romantico con la moglie dopo anni di matrimonio vuol dire che la ama davvero – lo riprese bonariamente.
Federico si sedette sulla sabbia ghiacciata, ed Emma lo seguì a ruota, incrociando le gambe lasciate scoperte dal pantaloncino corto.
–Sono stufo di sentir parlare di matrimonio e di amore, oggi – brontolò.
Emma si stese sulla sabbia, i capelli aperti a ventaglio e ormai invasi da piccoli granelli. Pareva non importarle se si sporcava. – E chi te ne parla oltre me?
Federico la guardò, mentre lei gli faceva una carezza sull'avambraccio con il fiore che teneva tra le mani. Sembrava non riuscire a smettere di toccarlo.
-Alberta, mia madre... Oggi le ho sorprese a fare un discorso sull'eternità del matrimonio e Alberta si è messa a protestare che non era vero, perché i miei sono divorziati.
Emma a quel punto rise. –Perspicace la pupa.
-Come darle torto? - fece spallucce. Si stese anche lui e la sabbia gelida gli invase ogni centimetro di pelle lasciata scoperta.
-A tua madre sarà dispiaciuto sentirle dire una cosa del genere – gli disse. Si sporse verso di lui, per stargli più vicino. Allungò la mano piccola e delicata verso il suo viso e gli fece una carezza.
Annuì. - Forse più di quanto mi aspettassi – realizzò, lasciandosi andare alla coccola di lei.
–Che intendi dire?
Federico la osservò con un sorriso. Aveva la sabbia ovunque: tra i capelli, sulle sopracciglia chiare, a tratti i granelli si confondevano con le lentiggini sulle sue guance.
Si scosse. –Che di solito glissa e il discorso si chiude in un imbarazzante silenzio, questa volta sembrava dispiacerle invece.
Emma mugugnò. –Hai mai pensato che a tua madre potrebbe mancare? Tuo padre intendo.
-Ma dai- rise Federico, forse più ilare del dovuto.
-No, sul serio- insisté lei. –Magari è per questo che era dispiaciuta: sotto sotto le manca e non può ammetterlo davanti una bambina di sei anni.
E in un attimo l'ipotesi non gli sembrò più così aliena: era possibile che Simona sentisse la mancanza di qualcuno, di Giancarlo nello specifico. Dopotutto non aveva mai smesso di chiamarlo, di cercarlo, e non aveva tolto le foto del matrimonio o della famiglia.
Il padre era quasi uno spettro in quella casa in cui mancava da tempo, solo che lui non se n'era mai accorto prima.
Ad Emma non la diede vinta: -Possiamo non parlare dei miei?
-Va bene- borbottò lei, ma non sembrava troppo delusa dal cambio di argomento. –Posso baciarti? – chiese buffamente, continuando ad accarezzargli il viso.
Federico rise. –Ti ha impietosito la mia situazione familiare?
Emma si sollevò su un gomito così da poter accostare il viso a quello di lui. Probabilmente era convinta che lui avrebbe ceduto alla sua richiesta e avrebbe fatto quello che desiderava. - Affatto. Volevo baciarti quando ti ho visto arrivare, ma mi sembrava fuori luogo- spiegò lei, sfiorando con il naso quello di lui. –Volevo baciarti anche quando ci siamo seduti, al posto di ciarlare.
-Potevi fermarmi – le bisbigliò lui sulle labbra, con un sorriso.
-Voglio baciarti anche adesso- insisté lei. -Non te lo ha fatto intuire il mio tendere verso di te?
Federico la guardò e poi scoppiò a ridere, cosa che costrinse Emma ad allontanarsi bruscamente. –Non le guardo queste cose, non sperare di mandarmi messaggi criptati in futuro.
Emma sbuffò esasperata. –Mi baci o no?
Federico la osservò: aveva le guance tinte di rosso, anche se la cosa poteva passare inosservata dato il buio. La trovò irresistibile, quell'insistenza quasi infantile che aveva nel volerlo baciare era deliziosa e inaspettata. - No.
-E perché? - domandò indispettita, sfoggiando la sua migliore espressione contrariata: le labbra arricciate, gli occhi verdi taglienti.
-Perché il tuo chiederlo mi ha fatto passare la voglia – la prese in giro.
Non voleva correre con lei e sperava che giocando le avrebbe fatto capire che non era sua intenzione bruciare le tappe. Non voleva consumare da subito tutte le prime volte che poteva avere con lei perché si augurava di poter condividere più tempo possibile insieme.
-Ah, quindi volevi anche tu- brontolò lei, tirandosi su. Incrociò le braccia al petto. –Cosa stavi aspettando?
-Il momento giusto.
-Che stronzate. Non possiamo farlo e basta?
Federico rise ancora. –Avremmo potuto, ma tu me lo hai chiesto.
Emma gli tirò della sabbia sui capelli. –Coglione.
-Quante storie, possiamo sempre baciarci domani.

-Dimmi tutto- rispose il padre, dopo il secondo squillo.
Federico si stese a testa in giù sul letto. Erano le undici passate, ma non era stanco. Avrebbe trascorso con Emma almeno un'altra ora, ma aveva deciso di rientrare prima appositamente per quella telefonata. Doveva sentire il padre.
-Quanto tempo hai a disposizione?
Giancarlo rise. –Quanto ne vuoi, ma se è per una stronzata ti attacco il telefono in faccia.
-Definisci stronzata.
-Problemi sentimentali, quelle sì che sono stronzate di dimensioni elefantiache – berciò il padre. Lo udì mentre si stravaccava sul letto, il cigolio del materasso era inconfondibile.
-Ma quando mai- borbottò Federico, fintamente offeso. –Ti ho parlato di donne un migliaio di volte.
-Di donne, non di problemi sentimentali- lo corresse il padre. –I tuoi dubbi sul fatto che lei ti ami o no non mi interessano, esattamente come non mi interessa sapere che cosa le regalerai a San Valentino. Per queste cose, chiedi a tua madre.
-Sei un falso - ridacchiò lui di rimando, perfettamente consapevole che in realtà qualsiasi problema lui avesse era esaminabile dal padre. Lui c'era sempre stato, anche per i presunti problemi sentimentali che ora negava di volergli risolvere: giorni prima, quando Emma lo teneva sulle spine, non aveva esitato a dargli uno dei suoi buoni consigli. Federico, come sempre, gli aveva dato retta, senza pentirsene. Giancarlo sapeva il fatto suo.
-Anche tu che mi dici 'Fanculo' e mi chiudi il telefono mi stai dando una risposta più soddisfacente di quelle che potrebbe darmi la mamma- ironizzò, restando sulla falsa riga dello scherzo che il padre aveva imbastito. –Se mai ti parlerò di problemi sentimentali, vieni qui e sparami.
-Sarà una delizia- mugugnò dall'altra parte della cornetta, soddisfatto nel vedere quanto lui e il figlio s'intendessero, per certe cose. –Allora, che vuoi?
-Hai anticipato il discorso: la mamma.
Federico attese un qualsiasi tipo di reazione dell'altra parte. Provò ad immaginare il volto del padre in quel momento, era di sicuro corrucciato e confuso, ma non infastidito. Non si infastidiva per nulla, lui.
Dopo quella giornata a rimuginarci sopra, Federico aveva deciso di essere diretto e chiederglielo. Dopotutto, il modo in cui la madre aveva reagito quella mattina lasciava intendere del malessere... Voleva scoprire se anche suo padre la sentiva, quella tristezza.
Ci fu un silenzio imbarazzato dall'altra parte. –Simona? - chiese Giancarlo interrogativo. –Ce l'ha ancora con te? Dove sta la novità? È sempre incazzata con te.
Il padre sembrò sciorinare parole a raffica a casaccio, forse per togliersi di mano la patata bollente.
Federico si sentì comprensivo nei suoi confronti: lui non si era mai immischiato nei loro discorsi, si era sempre fatto gli affari suoi. Non sapeva che cosa fosse cambiato, ma la curiosità la sentiva in corpo come un bisogno così impellente da non potersi tirare indietro in nessun caso.
Lo pungolò: –Voglio sapere che pensi della mamma.
Giancarlo fece nuovamente silenzio, segno che la domanda destava il suo imbarazzo, ma non si tirò più indietro. -Una bella donna forse troppo chiacchierona e petulante, ma lo è sempre stata del resto. All'infuori di questo ha altri lati positivi: è gentile, comprensiva... Ma perché ne stiamo parlando?
Federico arrivò al dunque, i giri di parole non facevano né per lui né per il padre, che senz'altro aveva intuito che c'era qualcosa sotto le sue domande. -Ti manca?
-Federico- lo riprese con un tono severo che non gli si addiceva. –Perché me lo stai chiedendo.
-Perché non ne abbiamo mai parlato – Ed era vero, non avevano mai affrontato quel discorso. Federico aveva emesso giudizi, aveva covato rabbia, aveva eretto muri, ma non si era mai confrontato con nessuno dei due genitori, sull'argomento.
-Ma certo che mi manca: se ti ricordi è stata lei a lasciarmi, non io- borbottò. –E, diciamocelo, non avere qualcuno che ti lava le mutande è un gran disagio, no? – ironizzò per alleggerire la tensione, ma Federico non rise.
In quel momento, si rese conto che fino a quel momento aveva dato per scontato che il padre fosse felice, e forse lo era, ma non totalmente. La mancanza di Simona lo aveva sempre toccato, ma per Federico pensare che l'avesse superata era più facile che chiederglielo.
-Certo, se non le lavasse a me entrerei nel panico- disse in risposta, per evitare di prendere altre cantonate.
La conversazione scivolò nell'ironico, ma Federico non smise di pensare a quello che gli aveva detto il padre.
E, la mattina seguente, quando trovò la madre in camera da letto intenta a pulire e sistemare il comodino di Giancarlo come se lui fosse ancora in casa, si disse che Emma aveva ragione, ma che lui non aveva intenzione di fare nulla, non erano questioni che doveva affrontare lui.

Forse pochi sanno che in realtà il fiore che rappresenta il vero amore è proprio il Tulipano; è il fiore perfetto per esprimere un'autentica dichiarazione d'amore. Una leggenda popolare, infatti, racconta che questo fiore sia nato dal sangue di un giovane che si suicidò per una delusione d'amore. Ai nostri giorni il suo significato fa riferimento a relazioni sfortunate perfette ed equilibrate. Anche nella celebre raccolta di fiabe "Le mille e una notte" il tulipano viene associato all'amore: secondo i racconti infatti il sultano lasciava cadere un tulipano rosso ai piedi di una delle donne dell'harem per indicare loro quale fosse la prescelta.

[www.giardinaggio.it]

*Fonte: www.eticamente.net

Buongiorno a tutt*! Come al solito, ecco il capitolo della storia, puntuale.
Ho poche parole da spendere oggi, se non semplicemente dei ringraziamenti per l'interesse che state dimostrando per la storia: è una cosa per nulla scontata e che mi dà molta soddisfazione. Ogni volta che leggo una nuova recensione inizio a scrivere con rinnovato ardore e con una passione che credevo di aver perso negli anni. Invece, eccola ancora qui la mia passione, che riesce ancora a sfornare capitoli in poco tempo preservando lo spirito originario della storia.
Per questo, vi ringrazio moltissimo.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, ci sentiamo lunedì per il proseguimento! 

La ragazza dei gelsominiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora