Cari lettori, vi annuncio anticipatamente che questo capitolo contiene una scena di violenza, seppur soltanto narrata e non descritta. Ho preferito inserire l'annuncio prima del capitolo, di modo che voi siate preparati prima della lettura.
L'intento di descrivere questo atto non è finalizzato ad acchiappare like e consensi, ma a sensibilizzare ragazzi e ragazze rispetto ad un problema che magari non conoscono approfonditamente.
Detto questo, spero che il capitolo vi piaccia!
Si narra che un giorno, nel mese di giugno Proserpina, la bellissima figlia di Giove e della dea della Terra, mentre coglieva fiori in un prato di Sicilia fu rapita da Plutone, dio degli inferi, che volle farla sua sposa.Quando la madre Demetra venne a sapere che la figlia avrebbe trascorso il resto dell'esistenza nel mondo sotterraneo si disperò e corse a chiedere aiuto a Giove che però non fece nulla, cercando addirittura di incoraggiare l'unione della figlia che sarebbe diventata regina.Demetra in preda al dolore decise di non occuparsi più per la Terra. A quel punto Giove, preoccupato della morte delle creature, convinse Plutone a lasciar tornare Proserpina per almeno sei mesi ogni anno.Così fu e leggenda vuole che quando la regina ritorna sulla terra sbocciano i papaveri che con il loro colore rosso, ricordano alla dea la passione dello sposo che l'aspetta negli inferi. *
Emma stava stesa sul dondolo, concentrata su 'Orgoglio e Pregiudizio'. Indossava un prendisole di un rosa a dir poco sgargiante, i piedi scalzi, i capelli legati in una matassa disordinata in cima alla testa.
Federico ormai adorava riempirsi gli occhi dell'immagine di lei in diverse circostanze e situazioni, così non poté fare a meno di iniziare a scarabocchiare i tratti di lei sul suo blocco da disegno. Le linee astratte iniziarono presto a prendere la forma di una donna, di Emma, che di recente era diventata il suo soggetto preferito.
-E quindi tuo padre quanto si ferma? – mugugnò pensierosa lei, senza discostare la sua attenzione dal libro che stava leggendo.
Come facesse a stare attenta sia al libro sia ai discorsi, era un mistero.
-Non ne ho idea – fece lui, dopo attimi di silenzio: era troppo impegnato a concentrarsi sul disegno per essere celere nelle risposte. -Ha dormito in camera mia negli ultimi due giorni, però lo vedo chiacchierare con Simona... Probabilmente sta aspettando che lei si rilassi per parlarle più esplicitamente.
Quel pomeriggio, Albertina e i suoi erano usciti, convinti dalle feste della piccola. L'idea di poter trascorrere del tempo con entrambi i genitori per la sorellina era troppo allettante quindi aveva insistito molto affinchè la facessero svagare tra giostre e leccornie di vario genere. Giancarlo e Simona in qualche modo le dovevano questo e molto altro, quindi non avevano potuto rifiutare.
Emma sbuffò, sollevando gli occhi dal libro per poterlo guardare. -So che ho dormito con te, ti pare?
C'era della seccatura giocosa nella sua voce. Dopotutto, visto che Giancarlo aveva l'alloggio proprio nella camera del figlio, lei nelle ultime notti non aveva avuto occasione di intrufolarsi nel suo letto.
Federico rise. -Guardati, sei una bambina capricciosa! – la prese in giro per la sua espressione buffa. Anche lui aveva gli stessi desideri di lei, anche lui voleva dormire insieme a lei come ormai era abituato a fare, ma non poteva sfrattare il padre dalla sua camera.
-Preferisci abbracciare tuo padre nel sonno o me? – lo sfidò lei, facendogli una smorfia.
Finse di pensarci su. -Beh, mio padre scalda il letto in un batter d'occhio data la stazza.
Emma in risposta gli lanciò uno dei suoi sandali, senza però prendere correttamente la mira. -Guarda che non la dimentico questa cosa che hai detto.
-Tu che pro hai? – proseguì lui, senza smettere di disegnare. Aveva ormai reso nel dettaglio i tratti di lei e lo sfondo. -Prova a farmi cambiare idea, avanti.
Lei chiuse il libro ed incrociò le braccia al petto. -Come se avessi intenzione di svendermi per farti divertire – disse, fiera e spavalda. Le gambe a penzoloni erano più piene di lividi del solito, i ciuffi di capelli sfuggivano selvaggi dall'acconciatura buffissima, il vestito rosa la faceva apparire come una sorta di principessa delle fate.
-E poi mica ho bisogno di farti cambiare idea – proseguì, sempre più spavalda. – Lo vedo come mi guardi.
Federico rise, senza però sbilanciarsi. Un momento giocoso come quello non era certo l'occasione giusta per confermarle quanto fosse sinceramente rapito da lei e dal suo modo di fare. -E come ti guardo?
Emma gli fece un sorriso vivace e scese scalza sull'erba. -Incantato.
Lui non smentì quella che aveva tutta l'aria di essere una provocazione, ma non la confermò neanche. Federico era sempre più convinto che loro si capissero, anche senza parlare; quindi, non aveva bisogno di dirle null'altro per farle sapere quanto aveva profondamente ragione.
Lei si sedette sull'erba esattamente dietro di lui e mise la testa nell'incavo del collo di lui, così da potersi sporgere a guardare che cosa stesse disegnando con tanta concentrazione.
-Sono proprio la tua musa ispiratrice – fece, con tono sorpreso, senza premurarsi di nascondere l'ammirazione che sentiva per il talento di lui nel disegno. Anche lei era incantata da lui, in modo diverso e per cose diverse.
Federico rise e lei in risposta gli scoccò un bacio sul collo, risalendo lentamente lungo la sua mascella squadrata fino alla sua guancia.
-Barba spinosa – mugugnò, il naso premuto sulla fossetta di lui, le labbra bollenti.
-Però ti piaccio – rise lui, a sua volta.
-Stronzo, ci sei? – la voce di Marco Poletti risuonò prepotente, sguaiata e vicina. Udirlo fu più che sufficiente per rompere il loro pomeriggio perfetto, riportandoli bruscamente ad una realtà fatta di persone sgradevoli delle quali sembrava impossibile liberarsi.
Emma scattò in piedi come un soldato sull'attenti. Fu così brusca che il blocco da disegno cadde in avanti e i disegni all'interno si sparpagliarono sull'erba, uno dopo l'altro.
Federico prese a raccogliere i suoi disegni, i quali ritraevano per lo più fiori ed Emma, in diversi momenti ed in diversi scenari da lui immaginati.
-Non mi avevi sentito? – borbottò Marco, sprezzante, una volta che fu alle spalle di Federico.
Si voltò a guardarlo, biondissimo e impeccabile con la sua camicia azzurra, poi perlustrò con lo sguardo il resto del giardino alla ricerca di Emma: sembrava essersi volatilizzata in un istante, lasciando soltanto il libro a cui si stava dedicando come promemoria della sua presenza. Federico non era neanche riuscito a vedere da che parte era scappata per quanto era stata rapida, né l'aveva sentita.
Certamente fare in modo che Emma e Marco non si incontrassero era tra gli obiettivi principali che Federico si era prefissato, ma non vedeva ragione in una fuga da parte di lei; questa considerazione lo lasciò stizzito.
-Ciao Marco – salutò senza trasporto, proseguendo a raccogliere i disegni che si erano sparpagliati in giro con più rapidità di poco prima.
-Chi cazzo è questa gnocca?!- sbraitò Marco, compiaciuto, raccogliendo uno dei ritratti.
Nell'immagine, Emma era stesa sul suo letto, un braccio piegato a sostenere la testa, l'altro sul ventre scoperto, la maglia era leggermente stropicciata e così aderente sul corpo minuto da lasciar intravedere il profilo dei seni piccoli e sodi. Sulle labbra aveva un sorriso sghembo, dispettoso, di chi è allerta anche quando tiene gli occhi chiusi.
Federico, una volta recuperati tutti i suoi lavori, tolse dalle mani di Marco anche quello che stava ammirando con tanto trasporto.
-È la tua ragazza? – chiese il biondo, privato dell'oggetto che aveva attratto la sua attenzione.
Il suo tono era chiaro, incolore: -No.
-La conosco? – insisté l'altro. Evidentemente la bellezza del ritratto doveva averlo colpito più di quanto Federico si aspettasse: Emma non era il tipo di Marco, eppure quell'immagine era fedele a lei in tutto e per tutto.
-No.
-Me la fai conoscere? - insisté ancora.
Federico si tirò su, scocciato. –No.
Marco sollevò gli occhi al cielo. Si sedette sull'erba, incrociando le gambe. –Quindi questa ragazza esiste? - sorrise, eloquente. La sua intelligenza evidentemente si accendeva solo all'idea di avere a che fare con una bella ragazza, mentre per tutto il resto del tempo restava in uno stato di quiescenza.
-Che vuoi, Marco?
Il biondo fece spallucce, ma non si dispiacque per la freddezza dell'amico, che voleva palesemente non avere a che fare con lui, in quel momento. -Volevo sapere se hai il numero di Annamaria.
Federico rimase per qualche istante stupito dalla richiesta dell'amico, ma non lo diede a vedere.
-Il numero di Annamaria? – ripeté, come a volersi accertare di aver sentito la cosa giusta.
Non trovava, neanche sforzandosi di cercare nei meandri della sua testa, nessuna ragione valida perché Marco dovesse interloquire con Annamaria. Non aveva mai avuto il ben che minimo interesse per lei, il fatto che volesse improvvisamente contattarla aveva del sospetto.
-Lo so che ce l'hai – rise Marco, rifilandogli una sberla sul cozzo. -Andate a letto insieme, per forza ce l'hai.
Federico non si sarebbe mai sbilanciato a dargli ciò che richiedeva senza che lui gli chiarisse il motivo. - A cosa ti serve?
Il biondo fece spallucce. – Ho lasciato il Rolex di mio padre a casa sua, volevo chiederle di restituirmelo.
-A casa di Anna? – Federico, nonostante la confusione che sentiva abbattersi su di sé, riusciva comunque ad apparire calmo e misurato. -Com'è finito il tuo Rolex a casa di Annamaria?
-Credevo di avertelo detto! – disse il biondo, già pronto ad iniziare a pavoneggiarsi per una delle sue vittorie. Federico non tardò a collegare i fatti, ma non riusciva a capacitarsene; o, forse, non voleva farlo. Era assolutamente repellente per lui l'idea di Annamaria e Marco, soprattutto dopo quello che lei aveva realizzato su di lui.
Tutte le riflessioni e le considerazioni che lei aveva fatto negli ultimi tempi, arrivando a confermare che Marco era tutt'altro che il suo tipo, svanirono in un istante, quello prima di sentire la storia di come erano finiti a letto insieme dal suo biondo amico.
Federico si sentì un po' sdegnato, un po' deluso da Anna, un po' rassegnato all'idea che le persone non cambiavano mai, anche quando dicevano il contrario. Aveva avuto solo un ulteriore conferma di una verità a cui era arrivato da tempo.
-Quella sera in cui hai fatto la paladina della giustizia per difendermi mi ha attizzato un sacco! – iniziò a raccontare Marco, già vittorioso per l'ennesima conquista di cui poteva vantarsi. -Sapevo che lei mi voleva. Si portava a letto te perché non poteva avere me, lo sappiamo.
-Quindi? – lo incalzò, un po' incerto: non era del tutto sicuro di voler sentire tutta la storia.
Marco, prima che Federico potesse decidersi su che cosa volesse veramente, era nuovamente lanciato nel racconto: -Insomma, lei ha fatto un po' la difficile, te lo devo dire, però insistendo un pochino, ha ceduto. Mi sono dovuto un po' reinventare, rispetto al solito: le ho detto che era bella, che l'avevo sempre notata, che non l'avevo mai approcciata perché pensavo meritasse di più e blabla...
Frastornato dal racconto di Marco, Federico decise che avrebbe scagionato dalle accuse Annamaria: in fondo, Marco l'aveva presa in giro, e lei, dolce ed ingenua com'era, ci era cascata in pieno. Probabilmente, la sua unica colpa era non essere in grado di distinguere un bugiardo quando lo vedeva.
-Insomma, l'hai presa in giro – concluse Federico, severo ma pacato, come al suo solito.
-Amico – fece Marco, sollevando le mani come in segno di resa – mica ti arrabbi? Te la scopi mica l'hai sposata.
-Perché, in quel caso ti saresti forse fermato? – commentò, sarcastico. Sapeva che il biondo non conosceva amici davanti al sesso: non si sarebbe mai fatto davvero scrupoli a rubare la ragazza di un suo amico solo per divertirsi una notte; per fortuna, Federico ne era consapevole.
La stima che nutriva nei confronti di Marco era così infinitesimale che anche l'idea di avere davanti una persona che poteva tranquillamente pugnalarlo alle spalle in qualsiasi momento, non lo scalfì. Non doveva niente ad uno come lui e non si aspettava alcun tipo di lealtà.
Il biondo fece uno sbadiglio. -Insomma, me lo dai o no questo numero?
-Sì – annuì, pescando dalla tasca dei jeans il telefono. -Potevi anche andare direttamente a casa di lei, a questo punto.
-Già – ridacchiò l'altro. -Però preferisco scriverle un messaggio, così quando si riprende ed ha voglia di rispondermi, lo fa.
A quelle parole, fermò la ricerca tra i contatti della sua rubrica. -Che vuoi dire?
Marco rise, ma parve una risata nervosa. -Niente.
-Che vuoi dire? – ripeté Federico, questa volta con un po' di convinzione in più.
Dalla faccia che fece Marco, capì che era successo qualcosa con Annamaria, ma lui si stava astenendo da raccontarlo.
-Ma niente, sai come sono le donne – minimizzò.
-Perché dovrebbe avercela con te, allora? – lo incalzò Federico. -Che cosa le hai fatto?
Non c'era alcun tipo di accusa né insinuazione nella sua voce, voleva solo che Marco gli dicesse la verità. Del resto, lui si vantava sempre, di qualunque cosa; quindi, qualsiasi cosa gli stesse nascondendo aveva del marcio.
-C'è stata un incomprensione – spiegò imbarazzato, strofinandosi la nuca.
-Che genere?
Marco parve spazientirsi. -Ma da quando sei il suo avvocato difensore?
-C'è qualcosa da cui devo difenderla, quindi? – ribatté Federico, furbamente.
Il biondo iniziò a sudare visibilmente. -Non so neanche perché sto qua a raccontartelo, è una cazzata, lei si è solo scaldata eccessivamente – si spazientì. -A me piace farlo senza preservativo e lei proprio non ne voleva sapere di non usarlo. Ho cercato di spiegarle che indossandolo non sentivo nulla, ma voleva farmelo mettere a qualunque costo, così l'ho messo per farla stare zitta... E quando era distratta l'ho sfilato via.
-Tu cosa? – chiese, incolore.
-L'ho tolto – confermò Marco.
A quel punto, Federico sentì esplodersi qualcosa dentro, un vulcano di rabbia al di sotto della sua solita espressione cerea.
Pensò ad Annamaria, presa in giro dall'amico che voleva solo portarsela a letto una sera, troppo debole davanti alla sua cotta di una vita. Pensò a Marco che le diceva bugie, frasette da quattro soldi per sedurla, consapevole di quanto lei fosse sempre stata presa da lui. Fin lì, era tutto normale, una cosa da ragazzi. Quando, tuttavia, i suoi pensieri indugiarono sul racconto dell'accaduto, per un attimo sentì la sua razionalità disconnettersi, spazzata via da una sola e unica consapevolezza: Marco le aveva fatto una violenza.
La cosa peggiore di tutta quella storia era che lui, ignaro della gravità del gesto fatto, della portata che esso aveva, quasi la biasimava, la prendeva in giro.
-Capirai, neanche si era accorta che stavamo facendo senza, la campanellina le si è accesa quando sono venuto– aggiunse il biondo.
A quel punto Federico, perso ogni freno inibitorio, fece l'unica cosa che mai si sarebbe aspettato da sé stesso: scaricò con tutta la sua forza un pugno dritto sulla faccia di Marco.
Il biondo cadde per terra, intontito, senza neanche il tempo di metabolizzare il fatto che un suo amico lo avesse appena colpito. Federico gli si scaraventò addosso ancora prima che lui potesse realizzare ciò che stava accadendo e gli diede un altro pugno, dritto sul naso.
Marco era sempre stato ripugnante, viscido, meschino, doppiogiochista, ma nel marasma dei difetti che aveva Federico non aveva mai considerato che la sua stupidità potesse spingersi fino a ferire in quel modo.
-Che cazzo fai? – urlò, dopo aver incassato altri cazzotti. Un rivolo di sangue gli colava giù dal naso e da una piccola ferita che gli si era aperta al di sotto del sopracciglio.
Federico lo afferrò per il colletto della camicia e lo scosse con violenza. -Pezzo di merda, che cazzo le hai fatto?! – urlò, come non faceva ormai da troppo tempo, nero di rabbia. Gli mollò un altro pugno sul viso.
A quel punto il biondo, che aveva fino a quel momento soltanto incassato i colpi, decise di reagire: anche lui privo di qualsiasi freno inibitorio, si scaraventò su Federico con la sua forza, rifilandogli un paio di pugni sul viso.
La vita gli scorreva sempre davanti come un treno in corsa su cui non voleva salire, ma, in quel momento, era saltato dentro il vagone di prepotenza. Non poteva restare impassibile, non poteva infischiarsene, non poteva lasciare le cose come stavano. Così, fece l'unica cosa che gli sembrava giusta: colpire Marco.
-Federico! – tuonò la voce di Giancarlo, in affanno.
L'uomo corse rumorosamente verso i due ragazzi e afferrò il figlio per il colletto della maglia, allontanandolo bruscamente dall'ormai pesto Marco Poletti.
Il biondo, accovacciato per terra in posizione fetale, si lamentava pietosamente. -È impazzito!
-Sei un pezzo di merda, Marco! – ringhiò Federico, il volto rosso di rabbia, agitandosi in direzione di Marco per assestargli un bel calcio.
La presa salda del padre, tuttavia, gli impedì di inferire ulteriormente su Marco. -Che cazzo vi prende a tutti e due? – scosse il figlio violentemente. – Che cosa cazzo prende a te? – sibilò in modo che solo Federico potesse sentirlo.
Giancarlo, che non aveva mai visto il figlio così fumante di rabbia, sembrava sconvolto e preoccupato.
Il padre lo conosceva, sapeva che non sarebbe mai andato in escandescenza per una cosa da nulla. Consapevole di questo, Federico non si premurò di spiegarsi o di placarsi, perché la sua rabbia era lecita e lui aveva tutto il diritto di voler pestare Marco.
-Mi hai rotto il naso! – sbraitò il ragazzo per terra, toccandosi il viso tumefatto e sanguinante.
-Sparisci o sarà l'ultimo dei tuoi problemi! – abbaiò Federico, alzando ancor più la voce. Il suo tono era così forte da raschiargli la gola.
-Basta! – sbraitò il padre, continuando a scuoterlo.
Marco a quel punto si alzò e con il briciolo di dignità che gli era rimasta corse via, senza voltarsi indietro. Federico era pronto a liberarsi dalla presa di Giancarlo per terminare la sua discussione, ma il padre lo scosse ancora, voltandolo nella direzione opposta.
Simona, occhi e bocca spalancati per lo stupore, teneva in braccio Alberta, che nascondeva il viso sulla spalla della madre. Probabilmente non aveva visto nulla, ma sentirlo gridare in quel modo doveva essere stato sufficiente a farla spaventare. Del resto, non lo sentiva mai alzare la voce.
-Ora ti calmi? – bisbigliò sempre severamente il padre, lasciandolo finalmente andare. Sperava che la visione della sorellina terrorizzata fosse sufficiente a riportarlo alla realtà.
Tuttavia, quando il cervello di Federico parve riaccendere nuovamente la razionalità, un solo pensiero lo assillava, martellante: Annamaria.
Conscio che i genitori lo avrebbero strigliato, punito, accusato, e consapevole di tutte le potenziali conseguenze di quello che aveva fatto, se ne infischiò ed iniziò a correre.
La signora Mariella Saccone, madre di Annamaria, aprì la porta dopo il primo squillo di campanello. Apparve sorridente, anche se i suoi occhi cerchiati nascondevano stanchezza. Aveva gli stessi capelli biondo della figlia e lo stesso corpo esile ma sviluppato.
-Federico – lo salutò gentilmente, poiché ormai erano anni che lo vedeva fare avanti e indietro da casa sua. -Che hai fatto alla faccia? – aggiunse poi la donna, alludendo all'aspetto del suo viso.
Federico bypassò poco educatamente tutti i convenevoli dei saluti, ignorando anche la richiesta di spiegazioni per il suo volto tumefatto: -Anna?
L'urgenza di vederla gli attanagliava il cuore e le membra, la preoccupazione gli soffocava il raziocinio. Non si era mai sentito così sinceramente preso da una situazione, così intimamente coinvolto e premuroso per la persona coinvolta.
La signora fece un sorriso mesto, preoccupato, indicandogli il piano di sopra. -Sta in camera sua. Mi pare seccata, da giorni. – gli rivelò in confidenza. -È successo qualcosa?
Federico decise di calmare quanto meno la madre, mostrandosi sicuro e fiducioso. -Non si preoccupi, ci parlo io – disse, con l'intento che la situazione fosse minimizzata, almeno agli occhi della signora Mariella. Voleva che la signora liquidasse la faccenda come "una cosa da ragazzi" così che, in caso, Annamaria potesse arrogarsi la possibilità di decidere se raccontarlo ai suoi genitori o meno.
Fede le scale a due a due e percorse il corridoio con passo veloce e deciso.
Quando si trovò davanti alla camera di Anna, bussò con decisione un paio di volte, senza però ricevere alcun tipo di risposta. Al quarto colpo, una voce si levò timidamente dal silenzio: -Mamma, lasciami stare.
Federico aprì la porta, trovandosi davanti una stanza completamente immersa nell'oscurità, le tapparelle totalmente abbassate.
-Non credevo che mi considerassi una figura materna – esordì, chiudendosi la porta alle spalle. La frase non gli uscì con il solito tono strafottente che usava di solito, ma si sentì comunque di essere sé stesso, per non aggravare sull'umore già nero di Anna.
La luce dell'abat-jour illuminò fiocamente la stanza. Le lenzuola con grandi papaveri rossi stampati iniziarono a muoversi, finché non fece capolino la testa di Anna. -Che ci fai qui? – chiese sorpresa, il volto stanco, gli occhi arrossati e lucidi.
Federico percorse la stanza fino a raggiungere il letto di lei: non si sedette, così da lasciarle il suo spazio. -Sono qui per te.
Un bagliore di stupore colse gli occhi lucidi di Annamaria, mentre le lacrime iniziavano a rigarle il viso. In quel silente gioco di sguardi, lui le rivelò che sapeva tutto, che era preoccupato e che voleva esserci per lei; Anna, dal canto suo, gli disse che era sinceramente grata che lui ci fosse, che non si sentiva molto bene con sé stessa, triste.
-Mi vergogno a morte di dirlo a qualcuno – singhiozzò lei. -E poi non ho fatto altro che pensare a quanto mi avresti giudicata per essere stata così stupida.
Lui si sedette sul letto dopo aver percepito una muta richiesta di calore e affetto. -Non devi dirlo a nessuno se non vuoi... Ma voglio che tu sappia che non sei stupida, che non ti giudico e che mi dispiace che tu stia così, non te lo meriti.
Annamaria singhiozzò di nuovo, mettendosi seduta. Si torturava le mani tra una lacrima e l'altra, indugiando anche sulle coperte che la avvolgevano: tirava lembi di tessuto deformando l'immagine degli enormi fiori rossi stampati. -Mi sento un po' sporca...
-Ma che vai dicendo – la rimproverò lui bonariamente, usando un tono di voce che dedicava solo a sua sorella minore. -Se mai è lui che è un porco schifoso.
Come una bambina, Anna si stropicciò entrambi gli occhi arrossati, il viso ancora umido. Non tutto quello che pensava veramente lo stava buttando fuori, ma vedere Federico l'aveva palesemente rassicurata, tirata su: sapere che lui non la giudicava e la voleva aiutare era di conforto.
Quelle supposizioni furono ulteriormente confermate quando Annamaria sollevò lo sguardo per sostenere il suo, cosa che fino a quel momento non aveva osato fare probabilmente per la vergogna.
Le uscì una timida risata. -Ma che hai fatto alla faccia? – Poi si ammutolì, una volta compreso il motivo per cui i lividi troneggiavano sul viso dell'amico.
Con l'adrenalina in corpo, Federico non aveva neanche sentito dolore a causa dei colpi di Marco, quindi non si era preoccupato di mettere ghiaccio o di valutare l'entità del danno; era semplicemente corso a casa di Anna, senza curarsi di che razza di aspetto avesse.
-Ma che questo? – borbottò, per sdrammatizzare. -Sto facendo un corso da truccatore horror, così ad Halloween sarò attrezzato.
-Attrezzato per cosa? – ridacchiò lei, grata che lui avesse sdrammatizzato di nuovo con una battuta. -Per spaventare i bambini?
Un velo di leggerezza calò nella stanza, a rincuorare non solo la tristezza di Annamaria ma anche la rabbia che aveva imperversato in Federico, durante quell'ultima ora.
Non era sua abitudine essere così coinvolto in fatti che non lo riguardavano. Piuttosto, cercava di mantenere il disinteresse anche per le cose che riguardavano sé stesso, ma di recente si sentiva pregno di un nuovo ardore nei confronti della vita. Forse non sarebbe stato più soltanto spettatore di ciò che gli accadeva attorno, forse avrebbe fatto qualcosa per cambiare ciò che non gli andava bene.
Il Papavero è un fiore abbastanza semplice ed è stato da sempre oggetto di leggende e credenze popolari. Nella mitologia si narra che il Papavero fosse il fiore della consolazione. Questo significato deriva da un episodio legato alla figura di Demetra, la Dea dei campi e dei raccolti. Si racconta, infatti, che la dea abbia riacquistato la sua serenità, dopo la scomparsa della figlia, solo dopo aver sorseggiato infusi prodotti con i fiori di Papavero. Durante la Prima guerra mondiale, in Gran Bretagna, si producevano ghirlande di papaveri che venivano usate per celebrare e ricordare i soldati caduti per la patria. Oltre al significato di consolazione al Papavero viene attribuito anche quello di semplicità. In altri casi e in altri luoghi il Papavero assume altri significati minori, tra cui lentezza, dubbiosità, sorpresa, storditezza, sonno eterno, oblio e immaginazione.
*Fonte: www.greenme.it
Buongiorno nuovamente! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, spendo poche parole perchè ho già parlato all'inizio... Ci vediamo giovedì per il successivo aggiornamento. Buona giornata!
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La ragazza dei gelsomini
RomanceFederico, ragazzo introverso e apatico, subisce la sua vita con passività, insoddisfatto della famiglia e delle sue amicizie. Sarà l'incontro con Emma, vivace quanto misteriosa, a spronarlo a cambiare e ad accendere in lui la curiosità di guardare i...