XI Ortensia

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In lingua cinese le ortensie sono chiamate "Fiori degli otto immortali" ed erano coltivate già in epoca Ming, nei giardini della regione di Jangnan, ad Ovest di Shangai. Quanto all'origine del nome "ortensia", le notizie non sono certe, poiché esistono diverse versioni. La più accreditata riferisce che l'esploratore e naturalista francese Philibert Commerson, nel Settecento, chiamò questo fiore ortensia ispirandosi alla sua amante, Hortense Barrè, che l'aveva accompagnato, vestita da uomo, nella spedizione guidata da Bouganville.*


Quando quella sera era rientrato in casa, Federico si aspettava che i suoi genitori si fiondassero su di lui, tempestandolo di domanda sul perché aveva fatto ciò che aveva fatto. Non era mai stato un ragazzo violento, loro lo sapevano, e averlo visto fuori controllo in quel modo doveva senza alcun'ombra di dubbio scioccati.
Certamente, il fatto che Giancarlo fosse in circolazione aveva consentito a Simona di sentire meno forte il peso dell'anomalo comportamento del figlio grande: di solito era costretta a scontrarsi da sola con lui, cercando di scavare in un ragazzo che sembrava essere blindato dietro un muro di cemento armato. Il padre era sempre stato più bravo a cavargli le cose di bocca - forse perché non si era mai chiuso nei suoi confronti – e Simona, consapevole di questo, probabilmente si sarebbe fatta forte e avrebbe aizzato Giancarlo contro di lui, per farlo aprire davanti a quel fatto.
In realtà, una volta aperta la porta di casa, Federico si rese conto che i genitori già dormivano e che certamente non stavano aspettando che lui rincasasse per assalirlo di domande. Giancarlo, a differenza delle altre notti, aveva trovato ristoro sul divano: dormiva placidamente, il respiro che gli sollevava la pancia ritmicamente. Di Alberta e Simona, invece, non c'era traccia in giro; probabilmente entrambe erano nelle rispettive stanze.
Rifugiatosi in camera sua, Federico fu grato di potersi godere un momento di solitudine: non dormiva da solo da troppo tempo e quella notte ne aveva proprio bisogno.
Mentre scivolava tra le braccia di Morfeo, Federico si ritrovò ad indugiare con i pensieri ad Emma. Quel pomeriggio era sparita improvvisamente, senza dargli il tempo di salutarla... Come un fantasma, come una specie di miraggio, riusciva sempre a sgattaiolare via dalle situazioni in un attimo, e a piombare nuovamente nei momenti più inaspettati, quelli in cui lui aveva – senza saperlo – bisogno di lei.
Si chiese che cosa avrebbe pensato di quello che era successo con Marco: Federico sapeva di aver fatto quello che era giusto, punire un ragazzo che aveva sbagliato, ma non era certo che quel modo di farsi giustizia fosse gradito ad una come Emma, così pacifica ed eterea.
Dell'opinione di lei a lui importava molto più di qualunque altra cosa.


Federico aprì gli occhi di botto, come colto da una scossa elettrica improvvisa.
Era già mattina e non ricordava neanche quando si fosse addormentato, l'unica cosa che sapeva era che quel sonno non era stato affatto riposante, per nulla.
Una volta aperta la porta della sua camera si rese conto dell'armonia che avvolgeva la sua casa: c'era profumo di caffè, risate provenienti dalla cucina, una deliziosa sensazione di casa come non l'aveva mai sentita.
-Amore, quindi la mamma non te li cucina mai? – disse la voce di Giancarlo, dalla cucina, rivolgendosi certamente alla piccola Alberta.
-No no- disse la piccola, con un tono di voce risentito, probabilmente dispiaciuta di rivelare una delle carenze di Simona. -Però puoi farmele tu da ora!
Quell'ultima frase, invece, aveva un tono speranzoso, infantile ma sicuro, la richiesta di una bambina che non aveva mai la possibilità di godersi il padre.
Alberta era sempre stata un passo avanti rispetto agli altri bambini, era cresciuta troppo in fretta a causa di tutte le cose successe tra i suoi genitori. Nonostante avesse le fattezze e i modi di una bambina, i ragionamenti che riusciva a propinare al suo interlocutore sembravano tutt'altro che infantili; come in quel caso.
A differenza di quello che Federico si aspettava, Giancarlo non fu titubante nel risponderle. -Ma certo, ora ci penso io, amore! – disse con entusiasmo e sicurezza.
Sicuramente il padre aveva fatto delle riflessioni per arrivare a quella consapevolezza, altrimenti non si sarebbe mai sbilanciato nel dire ad Albertina una cosa che non era vera. Non era mai stato un bugiardo e non aveva mai illuso i suoi figli, aveva sempre e solo detto le cose come stavano.
-Che bello papà, stiamo sempre insieme! – si augurò con entusiasmo la bambina, già festosa. La immaginò danzare nel centro della cucina.
Fu a quel punto che Federico fece il suo ingresso nella stanza. Nessuno parve sorprendersi di vederlo entrare, come se tutti sapessero che era lì ad ascoltare la conversazione.
Come aveva immaginato, Alberta era al c'entro della cucina, presa da una delle sue solite danze di gioia, mentre il padre era intento a smanettare con una padella di crepes dalla quale saliva un odore delizioso.
La cosa sorprendente era anche la presenza di Simona, che fino a quel momento non aveva detto nulla sulla conversazione tra il padre e la figlia, intenta a mangiare il suo dolce con soddisfazione. Probabilmente non era più abituata ad avere in giro per casa qualcuno che si prendesse cura di lei, anche solo cucinandole qualcosa da mangiare di sfizioso; sembrava felice.
A quel punto Federico realizzò che la sicurezza con cui Giancarlo aveva affermato che ci sarebbe stato per la figlia piccola era dovuta a qualche discussione avuta con l'ex-moglie, che non sembrava affatto turbata dal pensiero che Giancarlo restasse con loro. Anzi, era tranquilla al pensiero, serena.
Probabilmente i due coniugi avevano intrapreso un percorso di riconciliazione.
-Buongiorno raggio di sole! – scherzò Giancarlo, indicandogli con il mento un piatto a tavola. -Le ho fatte anche per te, mica sei escluso.
-Fede sono buonissime! – urlò entusiasta la sorella piccola, tirandolo per una mano fino al tavolo.
Si sedette già consapevole del sapore della sua colazione: erano anni che non mangiava le crepes del padre, ma la bontà non l'aveva dimenticata.
-Sono sicuro di sì, piccola – sorrise alla sorellina.
Alberta gli fece un enorme sorriso e fu proprio quella dolcezza a ricordargli quanto aveva pianto il giorno prima, mentre litigava con Marco. Sembrava sconvolta dall'aver visto un gesto violento da parte del fratello maggiore.
Federico realizzò che la bambina era più che serena, come se avesse dimenticato l'accaduto, e anche i suoi genitori dal canto loro sembravano perfettamente a loro agio in quella situazione, senza neanche un accenno di voglia di indagare maggiormente. Eppure, conoscendo Simona, era certo che lei volesse sapere che cosa fosse successo.
-Allora? – domandò spazientito, spostando lo sguardo prima su Giancarlo e poi su Simona.
-Allora cosa? – fece suo padre, stranito. Scoccò un'occhiata a Simona, ancora intenta a mangiare la sua colazione, e anche lei sollevò le spalle, come se non avesse la minima idea di che cosa il figlio volesse sapere.
Sembrava una scena surreale: i suoi genitori complici davanti ad una faccenda che lo riguardava; per giunta, Simona non sembrava affatto colpita da alcun tipo di febbrile curiosità.
-Non mi chiedete nulla? – li punzecchiò Federico, imperterrito. -Non volete sapere cosa è successo ieri con Marco?
Giancarlo, impassibile, studiò il volto del figlio senza lasciar trasparire alcun tipo di emozione. -Tu ce lo vuoi dire? – fece, quasi con tono annoiato, come se in fondo non gli importasse.
Mentre sosteneva lo sguardo del padre, Federico si sentiva addosso lo sguardo di Simona, mentre in sottofondo la vocina di Alberta si allontanava canticchiando su per le scale, verso il piano superiore.
-Pare che non ve ne freghi nulla – borbottò in direzione dei genitori, incrociando le braccia al petto. Si sentiva un po' incoerente, in fondo: non aveva mai sopportato le domande incessanti della madre, ma non riceverle su quella situazione, su quello che era successo, gli aveva creato così tanto disagio da volergli vomitare tutta la verità addosso. Dopotutto, Federico aveva agito nel giusto, aveva difeso Annamaria da un gesto brutto, villano, scorretto, gravemente sbagliato da parte di una persona che, se non rimessa a posto, magari avrebbe sbagliato con qualche altra ragazza.
-Marco ha fatto stealthing ad Annamaria – spiegò, con la bocca un po' amara e la voce un po' roca e vibrante, covava ancora rabbia.
Giancarlo rimase imperturbabile davanti a questa rivelazione. -Sarebbe? – lo interrogò, senza vergognarsi di ignorare di cosa si trattasse. Non era mai stato un genitore presuntuoso, sapeva di poter imparare qualcosa di nuovo dai figli e dalla modernità.
Prima ancora che Federico potesse lanciarsi in ulteriori spiegazioni, Simona lo interruppe: -Si dice così quando viene rimosso il profilattico senza il consenso del partner – spiegò, un po' titubante, ma consapevole. -Annamaria non lo sapeva?
Scosse la testa e Simona annuì, realizzando finalmente quello che era successo tra il figlio e l'amico.
-Volevi difenderla, per questo lo hai colpito – disse con stupore, parlando più a sé stessa che ai presenti.
-Anche se la ragione è giusta – si intromise di nuovo il padre. -Non dovresti farti giustizia da solo, in queste situazioni.
-Ma va – fece Federico, ironico. -E come avrei dovuto fare, di grazia? Dirlo ai suoi, così al massimo lo ammonivano con qualche vuoto rimprovero per poi lasciargli fare il cazzo che gli pareva? Oppure magari dirlo a voi, che al massimo potevate prenderne atto e realizzare quanto fosse stronzo il mio amico per poi infischiarvene di una ragazza fragile, ferita nel modo più vile e schifoso possibile. Ieri l'ho vista, sai? Per ricostruire l'autostima di quella ragazza ce ne vorrà, di tempo, e quel coglione neanche era consapevole del danno che aveva fatto! Io, in queste situazioni, non conosco altra giustizia se non quella che posso farmi da solo – ringhiò rabbioso, senza prender fiato. Sentiva il cuore battergli fortissimo, accorato dal discorso e dalla situazione.
Giancarlo, che conosceva il figlio e aveva sempre comunicato con lui apertamente, non rimase affatto sorpreso che Federico avesse delle idee, una posizione riguardo a quello che era successo. Al contrario, Simona era sempre stata tagliata fuori da qualsiasi cosa che lo riguardasse per cui, in quel momento, vederlo così emotivamente coinvolto da qualcosa la colpì: nascose dignitosamente gli occhi lucidi, stropicciandosi le palpebre come se fossero i postumi di una brutta dormita.
Federico era sempre stato un muro con le emozioni, ma non significava che non le possedeva: semplicemente, si sentiva più aperto nel tirarle fuori, usarle per affrontare il mondo e le persone, di recente. E quelle stesse emozioni lo avevano guidato in quella situazione.
-Gli hai rotto il naso – proseguì il padre, senza però celare alcun tipo di accusa in quelle parole. Era solo una constatazione della realtà dei fatti.
-Come ho detto, se lo meritava – insisté Federico, riacquisendo la pacatezza che lo aveva sempre contraddistinto. Si sentì stranamente più leggero dopo aver condiviso quello che pensava con i genitori, come se avesse trasportato un macigno per tutto quel tempo. In quel momento, Giancarlo e Simona lo stavano aiutando a trasportare il peso di quella storia, di conseguenza il suo cuore era più libero.
Con quel nuovo stato d'animo, si sentì in vena di avventarsi sulla colazione che gli era stata preparata.
-Direi anche io che se lo meritava – annuì Simona, guardando l'ex-marito, l'unico che sembrava non essere ancora convinto della piega che quella situazione aveva preso.
Giancarlo, fece spallucce, alzando poi le braccia al cielo. -Ho cresciuto un barbaro – scherzò, probabilmente al fine di alleggerire la situazione. Indicò Simona, che aveva preso a ridere: -E tu lo sostieni, per giunta!
Anche Federico, con il boccone in bocca, prese a ridere. Non gli capitava spesso di lasciarsi andare in quei contesti familiari, ma il clima che si era creato con i genitori era così piacevole da non riuscire a resistere all'idea di lasciarsi andare ad una risata.
Guardò entrambi i suoi genitori e colse in loro una leggerezza piacevole, a presagire che avessero parlato privatamente durante gli ultimi giorni: se avessero chiarito Federico non sapeva dirlo – di certo non erano affari suoi – ma era bello vederli felici. Non aveva più l'età di Alberta, non confidava nell'idea che tornassero insieme a fare la coppia di genitori, ma senza dubbio vederli andare d'accordo lo lasciava contento.
In qualche modo, Federico si convinse che si fossero addirittura messi d'accordo nell'approcciarlo, quella mattina.
La conferma di quella ipotesi arrivò presto: Simona guardò Giancarlo soddisfatta, gli occhi leggermente lucidi. -Avevi ragione, non serviva chiedergli nulla! – bisbigliò con stupore, forse parlando più con sé stessa, come se si fosse resa conto solo in quel momento di aver sempre sbagliato nei confronti del figlio. Al posto di tirarlo fuori dal guscio, faceva sì che lui vi si rifugiasse ancora di più con la sua curiosità spasmodica e le sue domande insistenti.
Giancarlo fece una risata vittoriosa. -Ma non lo vedi che è un pollo? – disse, rifilando un buffetto sul viso del figlio. -A questo non gli devi chiedere niente, devi lasciarlo sbagliare, e alla fine quando si sente ignorato viene a chiedere aiuto.
Simona a quel punto fece una carezza sul viso di Federico.
Lui, per una volta, non si ritrasse, abbassando un paio dei muri che le aveva eretto contro.


Emma era in mezzo ai cespugli di ortensie bianche, il viso sui fiori candidi e gli occhi chiusi mentre si inebriava del loro odore. Indossava un vestito anch'esso bianco, svolazzante per la leggera brezza.
-Cavolo, ma quanto sei bravo? – bisbigliò Annamaria, curiosando in direzione di Federico.
Era seduto in camera di lei, proprio di fianco al suo letto, intento a dilettarsi in uno dei suoi disegni. Occasionalmente, aveva portato con sé anche i colori a matita, per far vivere meglio i disegni in cui Emma ormai era protagonista fissa.
Annamaria, dopo due giorni, ancora non si era motivata abbastanza da sfuggire alla sicurezza del suo letto: indossava ancora il pigiama e i capelli biondi erano disordinatamente legati in cima alla sua testa, in una scialba coda di cavallo. Se non altro, quel pomeriggio aveva deciso di prendere in mano un libro e dedicarsi alla lettura, come timido passo avanti.
Non avevano più parlato dell'accaduto, ma Federico sapeva che le pesava ancora molto tutto quello che era successo con Marco.
Non era mai stato un bravo motivatore o una spalla eccellente nei momenti di sconforto, ma voleva esserci, ecco perché aveva deciso di trascorrere i pomeriggi insieme a lei, tenendole compagnia. Sapeva che se Anna fosse rimasta sola sarebbe sprofondata in uno strano sconforto, e voleva evitare in qualsiasi modo che questa cosa accadesse.
Fare conversazione non era di certo il forte di Federico, ecco perché quel pomeriggio aveva deciso di portare il blocco da disegno, certo che Annamaria avrebbe apprezzato la sua compagnia anche senza che lui le dicesse un bel nulla.
-Ma lei è davvero come la disegni? – chiese Anna, allungando ancora il collo per scorgere meglio gli altri particolari del ritratto. Evidentemente quel pomeriggio, a differenza degli altri, si sentiva più pronta a chiacchierare in maniera frivola.
Sentì un po' di nostalgia, ma non sapeva a cosa fosse dovuta. -Anche più bella – rispose, pensando a quanto Emma fosse bella e spontanea in ogni cosa che faceva e diceva.
Non l'aveva vista da quando aveva litigato con Marco, né aveva avuto occasione di sentirla, ma i suoi pensieri indugiavano su di lei sempre, in ogni momento della giornata.
-Cavolo – borbottò Annamaria, mettendosi seduta e scostando le coperte candide. -Ti piace proprio tantissimo!
Federico le sorrise un po' imbarazzato, ma non rispose. Ammettere quanto fosse sinceramente coinvolto in quella storia con Emma avrebbe fatto vacillare il suo orgoglio di ferro.
Certamente, non avrebbe mai negato l'evidenza ormai sotto gli occhi di tutti: stravedeva per lei, ne era ammaliato, rapito, conquistato, stregato.
-Diventi pure rosso! – lo rimbeccò la bionda, con fare giocoso.
-Non è vero, che ti inventi? – borbottò lui, continuando a dedicarsi al ritratto.
-Vorrei tanto che qualcuno fosse preso da me tanto quanto tu lo sei da lei.
Anna sorrideva, ma nel dire quella frase rivelò quanto fosse sinceramente triste. Come Federico si era aspettato, la sua autostima era sinceramente vacillata per ciò che era successo. Quell'aspetto, unito al fatto che non avesse voglia di parlarne con altri all'infuori di lui, era ciò che lo preoccupava di più; non voleva che lei si allontanasse dal mondo.
-Tu ti meriti tutto quello che desideri – le disse lui, nel tentativo di tirarla un po' su di morale. -Non dubitare mai di questa cosa.
Trattare con una persona in un momento di fragilità così acuto era difficile, complesso: non voleva dire la cosa sbagliata, perché farlo avrebbe significato peggiorare la situazione. Federico non era mai stato bravo nelle situazioni di carattere sociale, ma in quella circostanza stava prendendo Annamaria nel modo giusto; non le metteva pressione, non la forzava a tirarsi su anche se non era pronta, semplicemente la assecondava nella sua fragilità nell'attesa che lei fosse pronta a tirarsi su, con le sue sole forze.
Gli occhi di lei si fecero lucidi per le lacrime, che poco dopo le rigarono il viso pallido. Fece un sorriso all'amico, ma non si sporse a cercare alcun tipo di contatto fisico.
-Che bello che ti importa di me – disse lei, con un tono di voce che suonò estremamente infantile.
Federico le sorrise dolcemente e lei singhiozzò, stropicciandosi gli occhi umidi. Sembrava avere molti meno anni di quelli che aveva in realtà, in quel momento.
-Non potrebbe essere altrimenti.
Annamaria cercò di ricomporsi, soffiandosi il naso e asciugandosi gli occhi con un fazzoletto. Fece un sorriso un po' più composto, cercando di raccattare i cocci di sé stessa.
-Sei diverso, ultimamente – concluse poi, studiando il volto di Federico in maniera quasi chirurgica, come a voler cogliere qualche dettaglio nuovo che prima le era sfuggito.
-Un po' di cose sono cambiate – ribatté lui, consapevole che ci fosse qualcosa di diverso attorno a lui e nella sua quotidianità, non poteva negalo.
-Io non credo che siano cambiate le cose – borbottò la bionda. – Penso piuttosto che sei tu ad essere diverso: è come se avessi trovato un modo nuovo di leggere il mondo intorno a te, e questo ti ha reso migliore, più aperto.
Federico tentò, come al suo solito, di sdrammatizzare: -Ah, quindi prima ero un impiastro.
Anna rimase imperturbabile anche di fronte a quella battuta. -Qualsiasi cosa vedo in te ora, c'è sempre stata, semplicemente non sapevi come tirarla fuori. Ora, forse, lo hai capito... Sei la versione migliore di te stesso.
Non si sentì nella posizione di contraddirla perché in fondo sapeva che aveva ragione. Era difficile da ammettere - a sé stessi prima ancora che agli altri – che si sentiva bloccato, in qualche modo prigioniero. Da quando conosceva Emma, qualcosa si era smosso in Federico, e aveva iniziato ad affacciarli al mondo in maniera differente. Si sentiva più aperto, più empatico, più pronto ad affrontare le cose che prima preferiva ignorare o bistrattare.
Non era come diceva Annamaria, non era ancora la versione migliore di sé stesso, ma lo sarebbe diventato. Per troppo tempo si era segregato in una prigione fittizia credendo di poter stare meglio, quando solo l'approccio agli altri poteva essere la chiave per crescere e cambiare.
Poiché aveva finalmente realizzato quella verità, le cose sarebbero migliorate, ne era certo.


Quando rientrò in camera sua, esausto più mentalmente che fisicamente, fu grato di vedere Emma. Era seduta sul suo letto, con le gambe incrociate, la gonna bianca si apriva attorno a lei facendola sembrare un fiore. Aveva i capelli corti legati in una delle sue buffe acconciature confuse.
Le labbra sottili, come al solito rosso fragola, si piegarono in una smorfia una volta esaminato il volto di Federico. Smise di legger il suo libro e lo abbandonò sul letto.
Percorse a grandi passi la stanza e gli prese il viso tra le mani.
-Che è successo? – borbottò rivelando un'inaspettata preoccupazione mentre esaminava i lividi ancora violacei sul volto di lui.
Federico le sorrise, sentendosi il cuore un tamburo. Mise le mani sopra quelle di lei, nel tentativo di rassicurarla. -Guardati, sei preoccupata per me? – la prese in giro.
Emma sorrise, ma senza allegria. -Beh, se ti sfigurano la faccia mi preoccupo di non aver più nulla di gradevole da guardare.
Gli ravvivò i capelli con un gesto della mano, indugiando poi nuovamente sul suo viso.
-Ah, ma quindi mi trovi bello – ghignò, abbracciandola. Le stampò un bacio sulla tempia.
Lei respirò a pieni polmoni l'odore di lui, chiudendo gli occhi mentre si accovacciava sul suo petto. -Sta zitto, va'.
Federico rise, stringendola un po' a sé. Voleva condividere tutto con lei, non gli piaceva l'idea di escluderla da qualcosa che lo riguardava, sebbene lei mantenesse un misterioso distacco riguardo a ciò che la riguardava. - Ho litigato con Marco.
A quella rivelazione, lei si scostò quel poco che le serviva per poter studiare il viso di lui. -E lui ti ha fatto un occhio nero? – domandò, di nuovo con l'aria preoccupata che aveva sfoggiato prima.
-Beh, io gli ho rotto il naso – fece lui, senza vergognarsi di nulla.
Emma si limitò a osservarlo, senza proferire alcun tipo di giudizio su quella rivelazione. A differenza dei suoi genitori, lei aveva fiducia in lui e nella sua capacità di giudizio, Federico ne era consapevole: non gli avrebbe chiesto perché lo avesse fatto perché sapeva che era stata la cosa giusta, dal canto suo.
In quello scambio silente di sguardi, Emma gli dimostrò sostegno, comprensione, e Federico gliene fu grato.
La abbracciò di nuovo, con maggiore trasporto rispetto a poco prima, e lei si lasciò stringere. Fu in quel momento che ripensò alle parole di Annamaria di quel pomeriggio, a come lui avesse tirato fuori qualcosa da sé stesso, senza neanche sapere di averla. Pensò che lo stimolo a progredire che aveva sentito così prepotente provenisse da lei, dall'averla conosciuta: fin dal primo momento in cui si erano parlati, lei gli aveva acceso qualcosa dentro, un fuoco, una luce.
Emma, così vivace e allo stesso tempo così misteriosa, lo leggeva e comprendeva come nessun altro, anche se lo conosceva da poco.
La scostò leggermente, per poterle osservare il viso punteggiato di lentiggini e gli occhi verdi.
-Che c'è? – sorrise lei, mentre lui le accarezzava una guancia.
-Emma, io ti amo.

L'Ortensia viene regalata per rivelare l'amore o un ritorno di fiamma, ma il suo significato varia in base al suo colore: l'Ortensia bianca indica la nascita dell'amore e sta a significare che tutti i pensieri sono rivolti alla persona amata. Nel linguaggio dei fiori ogni fiore invia un messaggio preciso rivolto a chi viene omaggiato. In linea generale l'ortensia viene regalata per rivelare la nascita di un primo amore o comunque di un amore che sta nascendo o anche il ritorno di un amore passato.[www.giardinaggio.it]

*Fonte: www.giardinaggio.it

Buonasera a tutt*! Vi annuncio ufficialmente che da questo capitolo in poi la frequenza di pubblicazione cambierà: potrete trovare il capitolo ogni giovedì.La scelta è dettata da molte ragioni, sia relative alla resa qualitativa del capitolo, sia per voi lettori, così che possiate immergervi maggiormente nel clima della storia e assaporare la suspense in attesa del finale.Vi ringrazio moltissimo per il sostegno che mi state dimostrando in queste settimane, con i commenti o con un voto. Per me ciascuno di questi piccoli gesti conta moltissimo.Vi abbraccio forte, a giovedì! 

La ragazza dei gelsominiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora