XVII Gardenia

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I cinesi la chiamavano zhi-zi e la coltivavano da secoli. Con viaggi complicati, che comprendono una tappa nella colonia del Capo in Sud Africa, nel 1754 la varietà a fiori doppi arrivò in Inghilterra e nel 1758 fiorì per la prima volta nella serra del botanico Richard Warner (ca. 1711-1775). Con le lussureggianti foglie verde scuro e i candidi fiori stradoppi dal pervasivo profumo, divenne l'idolo del momento e attorno alla sua classificazione e denominazione scoppiò una disputa botanica.
Philip Miller, il cocciuto capo giardiniere del Chelsea Physic Garden, pensò si trattasse di un gelsomino, e la battezzò Jasminum capense, ovvero "gelsomino del Capo di Buona Speranza". *


-Dovresti dormire di più – disse Simona, continuando a dedicare la sua attenzione al ricamo che aveva iniziato.
Lo aveva pensato fin dal primo momento in cui gli aveva osservato il viso, indugiando sui cerchi scuri sotto i suoi occhi, ma aveva atteso prima di dirglielo. Federico aveva sbadigliato vistosamente per tre volte prima di innescare la raccomandazione tipicamente materna.
-Di solito lo faccio – rispose lui con un sorriso, continuando a dedicarsi al suo disegno. Non si sentì per nulla infastidito dall'opinione della madre, ormai aveva adottato tutt'altro atteggiamento rispetto alla donna: aveva deciso di essere più aperto, accomodante.
Era un pomeriggio tranquillo, con un clima fresco e il sole a illuminare il cielo limpido; l'ideale da passare in giardino, sul dondolo.
Quella notte Federico non era riuscito a chiudere occhio neanche per un istante. Una volta rincasato dopo la litigata con Emma, aveva svegliato il padre per potergli porre domande circa la zia megera di Emma, guadagnandosi come risposta che la donna si chiamasse Patrizia Vitale.
Giancarlo conosceva la famiglia: sapeva dell'anziano nonno morto, aveva conosciuto Patrizia da ragazza, ma di Emma non sapeva niente.
-Patrizia da piccola era molto timida, la prendevano tutti in giro per quanto fosse riservata, credo che con gli anni si sia incattivita proprio per questo – aveva detto Giancarlo in proposito, intontito ancora dal sonno. -Aveva un fratello, ma credo sia morto in un incidente stradale, almeno quindici anni fa. La vita a volte è parecchio ingiusta.
Federico captò quella manciata di informazioni senza però riuscire a darsi un quadro preciso della situazione, senza riuscirsi a spiegare per quale motivo Emma fosse così vaga, o perché la zia la considerasse morta quando invece lei era viva e vegeta.
-Ma perché ti interessa tanto? – aveva borbottato Giancarlo con uno sbadiglio all'ennesima carrellata di domande del figlio. Il padre era stato abbastanza collaborativo da non sbottargli contro, quando lo aveva svegliato, ma quando aveva visto che l'interrogatorio pareva essere senza fine, si era indispettito.
Non volendo sbilanciarsi a fare il nome di Emma, Federico aveva desistito, bollando la sua indagine come infruttuosa. Non c'era modo di sapere le cose senza interpellare la diretta interessata, a quanto pareva.
Aveva passato le prime ore della notte ad arrovellarsi su dove fosse lei, su dove dormisse, se fosse al sicuro, sul perché non volesse aprirsi con lui, sul perché fosse tutto così complicato per una volta che si era innamorato.
Non trovava pace né risposta a nessuna delle sue domande.
-È reale? – chiese Simona, strappandolo da quei pensieri.
Si era sporta in direzione del suo blocco da disegno, nel quale c'era l'ennesima rappresentazione realistica di Emma su uno sfondo di fiori pallidi, gardenie.
Federico sorrise, sicuro per una volta sulla risposta: -Sì.
-È la tua ragazza? – proseguì Simona, studiando sempre il disegno con curiosità.
A quella domanda Federico non sapeva rispondere con esattezza, ma avrebbe tanto voluto poter dire di sì, si rese conto. -Più o meno sì.
-Più o meno?
-Le donne sono complicate – borbottò.
Non aveva mai parlato di nulla di così intimo con Simona, era la prima volta. Era come se le stesse fornendo una chance per comportarsi da madre.
Lei, dal canto suo, sembrava felice di poter intrattenere una conversazione un po' più profonda e personale con il figlio. Si dimostrò all'altezza della situazione come Federico non pensava potesse essere.
-Cosa è successo? – gli domandò, carezzandogli la nuca con fare materno e affettuoso, come a volerlo incoraggiare ad aprirsi.
Federico, tuttavia, aveva già stabilito di volerlo fare, a prescindere da tutto: -Non credo che lei sia disposta a raccontarmi tutto.
-Nel senso che ti mente? – Simona pareva presa dalla conversazione.
-Nel senso che omette delle cose della sua vita – spiegò lui con un'alzata di spalle rassegnata.
Simona, meditabonda, prese a battersi l'indice sul labbro inferiore, ormai del tutto disinteressata al ricamo su cui prima stava lavorando. Evidentemente, aspettava di poter intavolare una conversazione con il figlio come si aspetta l'occasione di una vita.
-E ti sei chiesto perché? – fece la madre, dopo averci pensato su.
Federico in effetti non si era mai domandato veramente il motivo di tanto mistero. Scosse la testa, un po' a disagio per la sua disattenzione.
-Magari non ci tiene abbastanza a me – ipotizzò, svilito.
Simona proseguì, come se stesse ragionando ad alta voce: - O magari lei è davvero in difficoltà a dirti certe cose, non puoi saperlo...
La madre si era messa totalmente nei panni di Emma, evidentemente, come se ci fosse uno strano sostegno femminile di cui lui era all'oscuro.
Federico aveva effettivamente trascurato le ragioni per le quali Emma si comportasse in quel modo, ma lui era sempre stato accomodante nei suoi confronti e avrebbe accettato qualunque verità lei gli avesse proposto.
-La amo, non la giudicherei mai – rispose nuovamente con un'alzata di spalle. Non c'era alcuna titubanza in lui.
Simona rise, facendogli un'altra carezza materna. -Che tesoro che sei – gli disse dolcemente. -Ed io che credevo fossi preso da Annamaria!
-Lei è soltanto un'ottima amica – spiegò, lasciandosi coccolare dalla carezza di Simona.
-Però siete usciti insieme, non è vero? – insisté Simona, sfoggiando la sua solita curiosità.
Federico si rese conto, per una volta, di non essere affatto infastidito dalle domande della madre, e rispose senza esitazioni: -Non nel modo in cui pensi tu.
Simona divenne dubbiosa di fronte la risata del figlio. -Oddio, ed in che modo?
A quel punto un terzo interlocutore si introdusse nello scambio.
-Fidati, Simona, non vuoi saperlo! – intervenne Giancarlo, dalla porta di casa. Se lui aveva sentito l'intero scambio, probabilmente stavano parlando a voce fin troppo alta. -Alberta vuol prendere un gelato, venite?
-Sì, un gelato! – strillò allegra la bambina, alle spalle del padre, intavolando una delle sue solite danze.
-Falla cambiare prima di uscire! – ribatté Simona immediatamente, dopo aver intravisto la capigliatura scarmigliata e le ciabattine ai piedi della figlia. -Vengo anche io!
Padre e figlia sparirono subito, accompagnati dall'allegra risata della piccola.
-Tu vieni? – fece Simona, quasi in un bisbiglio. Aveva abbassato il tono di voce per non farsi più sentire, come se volesse mantenere un certo livello di intimità nella conversazione con il figlio.
Federico scosse la testa. -Non credo – disse, studiando per un attimo il viso della madre e la sua espressione distesa. -Va tutto bene tra di voi?
Simona si irrigidì per un'istante. -Intendi tra me e tuo padre?
In passato aveva giudicato duramente la madre e quello che era successo con Giancarlo, motivo per il quale era più che comprensibile che lei fosse tesa a quella domanda.
Nell'intento di Federico, tuttavia, non c'era alcun rimprovero né giudizio: voleva solo informarsi. Simona si rilassò dopo aver scorto nel figlio un sincero interesse. -Vorrei tornare con lui – ammise.
-Ma? – la incalzò, intuendo dell'esitazione.
-Lui è così buono, mi ha perdonata, è stato sincero – rispose la madre. -Non voglio deluderlo di nuovo.
Federico sorrise incoraggiante. -Allora non farlo.
L'approvazione del figlio parve essere l'ultimo trofeo che serviva a Simona per lasciarsi andare. Gli occhi le divennero lucidi e lo abbracciò con immenso trasporto, stringendolo fino a fargli quasi male. Federico non protestò, convinto che per una volta avesse fatto la cosa giusta nei confronti della donna.
-Vado a prepararmi anche io – disse Simona, ricomponendosi. Aveva in viso di nuovo una certa compostezza, come se essersi lasciata andata andare ad un momento di debolezza come quello non avesse scalfito l'autorevolezza della sua figura genitoriale: voleva mostrarsi di ferro davanti a Federico.
Lui annuì e la osservò allontanarsi verso l'interno della porta, mentre tornava a dedicarsi al suo disegno.
Emma era sulla carta a fissarlo, in un silente invito a baciarla.


Poco dopo, Giancarlo, Simona e Alberta erano pronti ad uscire.
-Fede vieni anche tu! – canticchiò la bambina, entusiasta.
-Sì, dai, così ti svaghi – rincarò la dose anche Simona, vedendolo riporre blocco da disegno e matite nella sua valigetta.
Federico era quasi tentato di acconsentire a quell'idea, dopotutto non aveva niente di meglio da fare per quel pomeriggio, ma Giancarlo intervenne, scombinando le carte in tavola.
-Credo che abbia di meglio da fare – borbottò il padre, strizzandogli l'occhio.
L'aria complice del suo sguardo, tuttavia, colse Federico impreparato. Non comprese affatto a che cosa stesse alludendo.
Simona annuì. -Va bene, a più tardi! – liquidò alla fine la situazione, prendendo per mano la figlia piccola e incamminandosi verso l'esterno.
-Ma di che parli? – bisbigliò Federico confuso in direzione del padre quando Simona e Alberta furono fuori la portata d'orecchio.
Giancarlo ridacchiò, ispezionando con fare annoiato i contanti all'interno del portafogli. -Avrei giurato di aver visto una signorina arrampicarsi dentro la tua stanza – sorrise, raccattando le chiavi della macchina.
Federico si sentì come se gli avessero dato un pugno sul cuore per l'emozione. -Sì? – chiese, quasi senza fiato.
-Sì – annuì il padre. -Credo anche che abbia distrutto tutto quello che avevi sulla scrivania per il botto che c'è stato, ma sono convinto che la perdonerai.
Detto questo, Giancarlo si chiuse la porta di casa alle spalle, la risata possente iniziò a farsi sempre più lontana.
Si sentì preso in giro ma allo stesso tempo compreso dal padre, che aveva fatto in modo di lasciarlo da solo in casa con la ragazza tanto coraggiosa da non usare la porta di casa per entrare.
Federico percorse le scale a due a due e, quando aprì la porta della sua camera, trovò Emma effettivamente intenta a raccattare la sua roba per terra, caduta dalla scrivania.
Si sentì immediatamente un tuffo al cuore nel vederla così serena: la solita acconciatura buffa, le guance rosse, uno dei suoi ampi vestiti a celare il corpo minuto e pallido.
Gli occhi verdi di lei si tinsero di colpevolezza, mentre si affrettava a raccattare altri fogli sparsi sul pavimento, per poi riporli al loro posto.
-Sono stata sbadata questa volta- si giustificò.
Ma lui non si sentiva per nulla arrabbiato per quel disastro, al contrario era felice di vederla. Era come se si fosse aspettato che la lite della sera precedente avesse sancito un altro periodo in cui lei sarebbe sparita, condannandolo ad attenderla. Invece, lei non aveva aspettato neanche ventiquattro ore e, certamente, pareva tutto fuorché arrabbiata con lui.
Si guardarono per qualche istante silenziosamente, attendendo forse che uno dei due prendesse la parola. Al posto di parlare, tuttavia, Emma balzò in piedi con uno scatto quasi felino, mentre lui percorse la stanza con passi lunghi e svelti per poterla abbracciare.
Quando la strinse a sé, Federico lo fece così forte da sollevarla dal pavimento, zampettando qualche passo all'indietro nel tentativo di ritrovare l'equilibrio. Premette le labbra contro quelle di lei, ubriacandosi del suo odore delizioso di fiori, di natura.
Intrappolata in quell'abbraccio, Emma ricambiò con entusiasmo le attenzioni di lui, lasciandosi stringere fino a quando non si sentì mancare il respiro.
-Dovremmo salutarci sempre così! – disse lei entusiasta, quando finalmente lui la rimise giù.
Federico era d'accordo: si sentiva accaldato ed eccitato, ma voleva essere razionale in quella situazione; dopotutto, c'era una lite in sospeso tra di loro, per quanto quel saluto rappresentasse il loro desiderio reciproco di voler stare insieme.
Fu Emma a rompere il silenzio.
-Sei ancora arrabbiato? – chiese con un sorriso timoroso.
Lui dovette pensarci su prima di stabilire che no, non lo era, ma forse lei gli doveva qualche spiegazione in più sull'accaduto.
-Sì – mentì in un sussurro, così che lei cogliesse la sua presunta rabbia come incoraggiamento per poter risolvere la discussione in cui si erano imbarcati.
-Mamma mia, che bugiardo – ridacchiò lei, carezzandogli il viso spinoso. -Non mi puoi nascondere niente.
Federico si sentì un po' punzecchiato da quell'affermazione: -Sei tu che nascondi le cose a me, no?
Emma non si sentì affatto offesa dal sarcasmo che lui le aveva utilizzato contro. Per nulla destabilizzata, proseguì: -Mi hai fatta arrabbiare anche tu.
-Ficcanasando?
-Dovevi aspettare che fossi io a venire da te.
-Io ti aspetto sempre, Emma – le bisbigliò lui, carezzandole il viso. -Anche quando tu sparisci, sono qui ad aspettarti come uno scemo, speranzoso che tu ti faccia viva il più presto possibile. Ti penso tutto il giorno, ogni cosa che faccio. Quando ho creduto che fossi uno scherzo della mia testa sono stato da cani, perché per una volta che saggio il sapore dell'amore la persona di cui mi ero innamorato non poteva essere una specie di spettro! Ho provato a darmi pace, senza riuscirci. Ho provato a non pensarti, ma eri sempre lì nella mia testa. Ho provato a darti un senso nei miei pensieri, ma quando ti penso la mia razionalità si spegne perché sono così perdutamente innamorato di te e di quello che sei che neanche volendo potrei accantonare il tutto. Perciò, non dirmi che devo aspettarti, perché ti giuro che io ti stavo già aspettando, forse da una vita, e resterò ad aspettare anche dopo perché se anche tu volessi finirla io starei ancora qui a sperare che torni, ad aspettarti, perché non so più fare altro.
Emma aveva quasi il fiatone nell'udire quelle parole, le guance rigate di lacrime, il viso arrossato dall'emozione. C'era quasi una colpevolezza nei suoi occhi, un certo grado di sopraffazione.
-Come hai fatto a convincerti che fossi morta? – bisbigliò parecchi istanti dopo, distanziando ogni parola con un respiro affannoso. Scossa ed emozionata, non si prese la briga neanche di asciugarsi il viso bagnato.
-Tua zia mi ha detto che lo eri – spiegò Federico, cingendole i fianchi in un timido abbraccio. Si sentiva stupido ad essersene convinto, ma gli era sembrata una spiegazione plausibile, giorni prima.
Emma scosse la testa, tirando su con il naso. -Lei mi considera morta.
-Perché?
-Io non volevo affezionarmi a te – sentenziò lei, schivando la domanda.
Federico colse un'ammissione in quelle parole, il suo modo di dirgli che tutto quello che lui le aveva detto era corrisposto al cento per cento.
-Non importa – le disse, carezzandole il viso ancora umido. -Non è così male alla fine, no?
-È tutto così complicato per me – proseguì lei, esibendo la sua fragilità senza vergogna.
Federico se la strinse al petto. -Non importa – le ripeté -Ti aiuto io.
A quel punto Emma gli sorrise, lasciandosi sfuggire un singhiozzo infantile. Quella gioia mista alla tristezza delle lacrime, spinse Federico a darle un altro bacio, a fior di labbra, come una carezza al suo cuore.
-È solo questione di tempo, risolverò tutto – bisbigliò lei, più a sé stessa che a lui, come a volersi dare coraggio.
-Non devi risolvere niente da sola – la riprese lui, dandole un altro bacio, questa volta sulla fronte.
Emma chiuse gli occhi a quel contatto, desiderosa delle attenzioni che lui le stava riservando. In quel momento, lei gli parve come un randagio, abbandonato a sé stesso e solo, restio a fidarsi degli altri ma bisognoso di amore, di cure.
La baciò ancora, sempre delicatamente, asciugandole con un dito le lacrime sulle guance.
Lei aveva fatto la stessa cosa con lui, la sera precedente, cullandolo con le sue attenzioni mentre lo riportava alla realtà, ma non era la volontà di sdebitarsi a muovere le sue azioni: Federico sapeva e vedeva che lei aveva bisogno di qualcosa, di qualcuno, a cui aggrapparsi, e voleva essere lui.
Federico non l'amava perché aveva bisogno di lei, ma aveva bisogno di lei proprio perché l'amava, e voleva – sperava – che per lei potesse essere lo stesso.
-Vuoi parlarne? – le chiese, carezzandole i capelli, il collo, le tempie, baciandole ancora la fronte.
Emma tirò di nuovo su con il naso, ma annuì.

Il fiore della Gardenia assume il significato di sincerità e viene regalato in special modo a chi non crede che il donatore abbia questo nobile modo d'essere.
*Fonte: www.inomidellepiante.org

Buongiorno a tutt*! Anche oggi ecco a voi il capitolo, puntuale... Ci avviciniamo sempre di più alla conclusione della storia e spero che vi siate affezionati come me ai personaggi. Credo che in questi ultimi capitoli più che mai emerga il mio animo profondamente romantico e malinconico, rispecchiato tanto da Federico quanto dalla stessa Emma, la cui identità verrà presto chiarita.
Ho iniziato a scrivere questa storia quando avevo 17 anni, ora che ne ho 24 ho avuto modo di concluderla come desideravo che si concludesse... Grazie a sempre per avermi dato modo di raccontarvi di Federico ed Emma.
Alla prossima settimana! 

La ragazza dei gelsominiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora