Pelle.

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"Ogni amore mira alla tragedia."
~Lou Andreas Salomè
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L'ospedale era asettico, fin troppo bianco. Profumava di pulito e aveva le sedie scomode. Era un luogo silenzioso, di terrore, di morte. Una riunione di corpi feriti, mutilati, in bilico sul filo di una vita troppo stretta, accompagnati da anime turbate dal timore che cadessero.

Il luogo più buio che esisteva al mondo, forse, seppur parzialmente illuminato dalla fioca luce di un lampadario.

Erano le 3:04 di notte. Il silenzio regnava sovrano nella sala d'attesa, complice del gelo, in quella stanza riscaldata da termosifoni ma non da calore umano.

Non c'era nessun calore, nella paura di perdere qualcuno.

La luna in cielo era oscurata.

Era la prima cosa che Manuel era riuscito a notare, una volta tornato nel mondo reale.

Neanche se lo ricordava come era arrivato in ospedale. Era tutto confuso, sfocato dal batticuore, dal panico. La voce di sua madre al telefono, che tremante lo supplicava di correre in ospedale perché Simone aveva fatto un incidente ed era grave. Il cellulare che gli cascava dalle mani, quell'urlo animalesco, Domenico che gli scuoteva le spalle e gli chiedeva cosa fosse successo. Poi ancora lui che riusciva a balbettare qualcosa, veniva trascinato in macchina, in qualche modo camminava senza che le gambe cedessero.

La voce nella sua testa che continuava a strillare, è colpa tua, è colpa tua, è solo colpa tua.

Perché lo aveva visto a pezzi, e gli aveva chiuso la porta in faccia. Aveva finito di distruggerlo, per evitare di fare proprio quello.

Simone non lo avrebbe mai fatto.

Simone avrebbe distrutto la sua stessa vita per lui.

Era lui che non glielo aveva permesso, l'ultima volta.

É colpa tua, tua, tua.

Le dita tra i capelli, le grida contro i medici, le mani di Dante che si aggrappavano al suo busto per calmarlo, per fermarlo. E ancora i singhiozzi sommessi, le lacrime sul petto di sua madre, la sua mano confortante che gli accarezzava la schiena.

Tre ore infinite che passavano, le notizie che non arrivavano. Quattro mura troppo strette per tutto quello sgomento, tutto quel freddo.

Che tanto, se il calore smetteva di vivere nel petto di Simone, avrebbe smesso di vivere in tutto l'universo.

Il piede di Manuel picchiettava sul pavimento, ansioso.

L'intervento stava durando troppo, i medici erano chiusi lì dentro da ore.

Non gli serviva un caffè per tenersi sveglio, a quello già ci pensavano gli echi nella sua testa.

È colpa tua.

Colpa tua, colpa tua, colpa tua.

Sua madre e Domenico, a differenza sua, erano riusciti ad addormentarsi. La prima aveva preso coraggio e si era stesa su quelle sedie dure, incompatibili col corpo umano, ed era riuscita a prender sonno. Il secondo, con la mente un po' più leggera, era rimasto seduto, ed appoggiando  la testa al muro, in qualche modo si era assopito.

Scacchi | Simone e ManuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora