Combattere.

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"Il gioco è un corpo a corpo con il destino."
~Anatole France
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Perdere due mesi di vita era stato un duro colpo per Simone. Si era svegliato senza sapere che giorno fosse, cosa fosse accaduto, perché Manuel lo stesse fissando con gli occhi spalancati. Di tutto, si ricordava solo il buio, il dolore.

E poi la luce che aveva visto, una volta aperti gli occhi.

Il giorno dell'equinozio di primavera era stato difficile da affrontare. Confuso com'era, aveva comunque dovuto parlare con almeno dieci medici, e si era anche dovuto sorbire le decine di domande di suo padre. Per fortuna, almeno Manuel gli aveva dato tregua: per quel poco tempo che avevano passato insieme, si era limitato soltanto a chiedergli come stava e a fargli compagnia. 

Non avevano parlato molto, non ancora. Simone era esausto e debole, e non era chiaramente nelle condizioni di conversare riguardo temi così delicati; perciò, si erano tacitamente accordati, decidendo di lasciarsi il tempo necessario per riprendersi da tutte quelle botte che la vita aveva dato loro.

Lo avevano rilasciato dopo una settimana spesa a fare accertamenti. Gli avevano messo un tutore al braccio destro, non ancora totalmente guarito, e gli avevano tolto le fasciature dalla testa, scoprendo le cicatrici di ferite ormai guarite sulla fronte.

Guarite, si, perché era passato troppo tempo.

Era tornato a Villa Balestra, costringendo Manuel , che fino a quel momento avevo dormito in camera sua, a spostarsi silenziosamente nella stanza degli ospiti; ovviamente, questo particolare gli era stato nascosto da tutti, sotto costrizione del diretto interessato.

Scoprire che Manuel si era trasferito lì, comunque, era stato un grande shock.

Ancora più sconvolgente per Simone, poi, era il motivo per cui lo aveva fatto. Si sentiva ancora in colpa per tutto: per aver mentito, per aver inconsapevolmente fatto male a Manuel, per averlo diviso dal suo migliore amico, per aver agito in quel modo. E, anche se si rendeva conto che le azioni di Domenico non lo riguardavano, non poteva fare a meno di mangiarsi le unghie lo stesso per quel motivo.

Un po', si disgustava. Aveva preso il dolore di Manuel e lo aveva celato, concentrando la propria attenzione soltanto su se stesso. Aveva sofferto solo il suo, aveva agito egoisticamente, aveva preteso risposte che non si meritava e aveva causato altra sofferenza facendosi travolgere da quelle emozioni.

Era stato tremendamente scorretto, ingiusto come quando Manuel aveva avuto bisogno di lui e lui non c'era stato. Era riuscito a scappare, a non esserci, persino in queste circostanze. Lo aveva fatto una seconda volta, inconsapevolmente, distrattamente, dormendo di nuovo.

Come mai, quando a Manuel serviva di più, non riusciva a rimanere mai?

Quella mattina, mentre scendeva le scale per andare a fare colazione, rifletteva proprio su questo. Sapeva già che Anita e Dante non sarebbero stati in casa, entrambi impegnati in un'uscita a Bracciano che organizzavano da un po': perciò, per la prima volta da quando era uscito dall'ospedale, si sarebbe trovato da solo con Manuel.

Camminava lento, picchiando piano con le pantofole sul pavimento. Erano quasi le undici del mattino, il sole primaverile era clemente, e filtrava sereno attraverso i vetri delle finestre. La casa era silenziosa, sembrava persino svuotata. Eppure, che Manuel dormisse a quell'ora era un'opzione da escludere. Da come aveva riferito a Simone, con il carico di studio che si ritrovava ormai si svegliava presto anche di domenica; dunque, se davvero non c'era nessuno, probabilmente il ragazzo era solo uscito.

Scacchi | Simone e ManuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora