16. Aêdes - focolare domestico

229 32 7
                                    

16.     Aêdes – focolare domestico

-       La smetti con questa litania – Harry aprì la porta di colpo e lei sussultò colta alla sprovvista, liberando un breve urlo acuto

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.




-       La smetti con questa litania – Harry aprì la porta di colpo e lei sussultò colta alla sprovvista, liberando un breve urlo acuto. Guardò sottecchi come lei spinse entrambi i palmi a tenere chiuse le ante dell'armadio.

Incredibile. Quella ragazzina era incredibile, e non in senso positivo. Anzi, ogni secondo passato con lei era estenuante. Lei si attaccava alla sua scarsa forza vitale e la prosciugava trasformandola in energia che poi gli tirava addosso pretendendo anche di contagiarlo, di contaminarlo.

Lo punzecchiava continuamente senza garbo per la sua condizione, e poi quando parlava, neanche lo ascoltava, lo trattava come un mentecatto.

Rientrati dall'ultima gita, se così poteva definirla, lei l'aveva lasciato apparentemente in pace, occupata ad andare in giro per il paese e fare chissà cosa. Come se in quel posto dimenticato dal genere umano ci fossero chissà quali attività da svolgere. Ma lei riusciva a mantenersi impegnata e per fortuna, abbastanza distante da lui.

Eppure c'era una contraddizione che cominciava a farsi largo in quelle stampe stracciate che componevano la sua mente. Stava diventando un pensiero fisso, un chiodo che, nel bene e nel male, soprattutto, gli si stava conficcando tra i pensieri, come una crepa nella volta cupa fatta di immagini distorte e cancellate della sua mente. 

-       Spiacente, no – lei si schiarì la voce per ricomporsi, prima di rispondere e la sua espressione si fece accigliata.

C'era qualcosa in lei che sembrava attrarlo, assorbirlo quasi, come c'era qualcosa in quell'isola che graffiava le ragnatele dei suoi istinti, inabissandosi nella sua oscurità senza sparire.
Era qualcosa che non riusciva a comprendere, qualcosa che non era in grado di riconoscere.

Era un profumo, una sensazione nella consistenza dell'aria, dell'atmosfera che gli era entrata dentro e viaggiava, cresceva, si irradiava.

Era insopportabile, invasivo, opprimente e al contempo subdolo quanto la droga, perché iniziava a circolargli nel sangue tanto da sentire lo scoppiettio delle scintille che tentavano di accendersi. Il fumo che arrivava alle narici era deciso, era afrodisiaco.

Era il fascino della curiosità.

La stessa corrente che, quella sera, l'aveva fatto alzare dal letto per andare a spiare da uno spiraglio tra la porta semichiusa e la parete, lei che, canticchiando in una lingua incomprensibile, spingeva con una spalla contro le ante dell'armadio dell'andito, facendo forza affinché si chiudessero.

-       Ma che lingua è? – chiese di colpo, stupendo persino se stesso, riferendosi alla litania.

-       Giapponese –

-       Lo parli? – alzò un sopracciglio scettico, incredulo da una possibile risposta affermativa.

-       No, vado a orecchio – lei scosse la testa prima di dare un'ultima spinta alle alte in legno dell'armadio bianco e con un po' di forza riuscì ad incastrare la chiave nella serratura.

𝐑𝐔𝐈𝐍𝐒 | HS |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora