4. Mùita di Mari - Il rumore del mare

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3.      Mùita di Mari – Il rumore del mare

"Del resto, tutti nella vita siamo così,in carcere, a scontare la colpa stessa di esser vivi

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"Del resto, tutti nella vita siamo così,
in carcere, a scontare la colpa stessa di esser vivi."

-          Come va figliolo? – Harry sogghignò nel percepire quella serafica disinvoltura scorrere nel tono studiato di suo padre. Diretto, preciso come la planata di un falco. La stessa che lui doveva aver ereditato dal genitore, ma quella di suo padre era più composta, cementata da anni di esperienze e delusioni.

-          Lo sai – sospirò lui inquieto. Sapeva che non si riferiva alla sua salute. Nonostante le somiglianze caratteriali, con suo padre riusciva sempre ad essere nervoso e irrequieto, maledicendo quello scampanare incessante che arrivava dalla piazza. Non erano note, era solo un suono frastagliato e appuntito di una campana stonata – Per quanto mi riguarda ho già preso la mia decisione – decretò risoluto – Quest'isola è decadente, può crollare a picco con i suoi ottusi abitanti e io tornare a casa già da domani – Harry strinse gli occhi non appena uno schizzo d'acqua gli arrivò dritto in faccia come la protesta della natura alle sue minacce.

Si era inerpicato lungo la scogliera che costeggiava la spiaggia sperando che nessuno lo trovasse. Che nemmeno lo sferragliare della campana lo raggiungesse. Invece quello riusciva a sentirlo nitidamente.

L'orizzonte era tinto di una fascia di grigio che andava inscurendosi in lontananza e il mare alimentava di potenza le sue onde sotto raffiche di vento sempre più frequenti. Lo scontro con le rocce si faceva prepotente, la marea si infrangeva in mille parti, il rumore si catapultava stridendo come quello di infinite schegge di vetro e il vento trascinava gli schizzi d'acqua sempre più lontano fino a sbattere contro i suoi resti devastati, ferendo quella scorza già abbattuta.

-          Non se ne parla – il tono ferreo e saldo del genitore lenì come una lama l'echeggiare della tempesta che avanzava e lui digrignò i denti come se ne fosse appena stato colpito.

-          Perché? – il suo fiato intonò una nota cupa e devastata, tanto infossato e profondo che sembrò emergere direttamente dall'oltretomba.

-          Abbiamo un contratto ed è giusto che tu svolga il tuo lavoro in maniera egregia –

-          Non c'è niente altro da sapere, avviare una struttura qui sarebbe inutile – Harry tentò ancora di scalfire la marmorea inflessibilità di suo padre. Doug Staiden era un uomo duro, incupito e corazzato dallo scorrere del tempo e dalla tenacia con cui aveva superato gli ostacoli a cui il destino l'aveva sottoposto.

-          Mi dispiace che pensi questo – eppure il suo tono non si piegò, rimase rigido e scostante - Speravo che ti sarebbe piaciuto magari essere a capo dell'organizzazione del nuovo aeroporto di Claramontis –

-          Tu mi vuoi fuori dai piedi – lo accusò di colpo, la voce saccheggiata di frustrazione - Ma confinarmi in questo scarto di mondo non risolverà il problema – Harry sentiva ogni imposizione come una gabbia, una catena che gli impediva di raggiungere ciò che aveva perso di se stesso.
Suo padre vedeva in quel cimitero di ruderi una salvezza, invece per lui quel posto era il fosso dal quale svettava la lapide con inciso il suo nome sopra.

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