22. Cantones - poesie

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22.     Cantones – poesie


«Mi passi quella cassa per favore?»

Alluene impazziva per la festa di inizio inverno.

Quell'anno era stata ridotta ad un solo concentratissimo misero giorno ma, per lei, era un momento unico e non si sarebbe persa neanche un minuto, una bancarella, un gioco, o una gara.

Per questo aveva abbandonato il Mirage per restare in piazza e aiutare con i preparativi.

Anche se era solo metà mattina era già stanca. Forse perché in piena notte era stata svegliata di soprassalto dalle urla del newyorkese che aveva deciso di liberare la sua bellissima voce di punto in bianco.

Pensando fosse successo qualcosa, si era precipitata verso la camera che lo ospitava per poi bloccarsi dietro la porta chiusa, come se avesse perso di colpo la facoltà di movimento.

«Elene?»

Era rimasta impietrita ad ascoltare lamenti disperati che le rimbombavano tra le ossa con la forza della loro disperazione.

A parte il primo urlo straziante, gli altri erano diventati sommessi di chi, anche nell'inconscio, non voleva farsi sentire, di chi viveva il suo tormento in un vortice che cresceva dentro, dove nessuno poteva vederlo.

«Elene mi senti?»

Lei aveva appoggiato la schiena contro la porta e si era lasciata scivolare a terra, restando lì in disparte, senza che la potesse vedere, senza che potesse intromettersi. Senza invadere il suo tormento ma, quell'inquietudine era arrivata anche dentro di lei come se le fosse in qualche modo appartenuta.

«Alluene!»

«Cosa!!» balzò colta alla sprovvista, un pungo contro il costato per frenare il battito spaventato. «Daisy» esalò senza fiato, con una mano sul petto per contenere lo spavento «Non chiamarmi con il nome intero!»

«Non mi sentivi!» si giustificò la cugina, sistemandosi i capelli rossi in una coda alta. «Sembravi in trance. Pensieri?»

«I soliti» Alluene rispose sbrigativa con una scrollata di spalle. Sua cugina la conosceva talmente bene che capiva quando non era il caso di addentrarsi oltre nei meandri della sua passeggera e solitaria malinconia.

In paese, solo Odin era a conoscenza del suo passato, di ciò che l'aveva portata a rifugiarsi lì. Ma a loro sembrava non importare, come se ciò che era stata un tempo non pregiudicasse la persona che era diventata.

Daisy le si avvicinò poggiandole una mano sulla spalla. Dall'espressione furba che le rivolse, capì che aveva qualcosa in mente.

«Finiamo di sistemare in magazzino questi» propose indicando i cartoni pieni di oggetti e lattine di bevande. «E poi pranziamo con thè e biscotti?» come rifiutare!

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