La quiete dopo la tempesta

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La quiete dopo la tempesta

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La quiete dopo la tempesta

Dopo quella sera, le giornate erano trascorse in modo lento ed estenuante.

La nostra partenza per la Grecia era stata rimandata di qualche giorno dato lo stato di emergenza proclamato da Airon a causa di ciò che era successo quel pomeriggio e che era costato caro a Cole.

Per quanto riguarda lui, se l'era vista brutta. Dopo la prima notte passata in coma farmacologico, avevano effettuato un altro intervento per ricostruire meglio i tessuti interni dilaniati dallo sparo e una volta risvegliatosi, Cole era distrutto. L'effetto della morfina non durava a lungo e le sue urla riempivano la villa ad ogni ora.

Avevo passato giorno e notte insieme a lui, lo avevo aiutato a mangiare, a cambiarsi, a lavarsi. Era devastante vedere una delle persone a cui volevo più bene lì dentro, ridotta in quel modo. Non riuscivo a non colpevolizzarmi per non essere stata presente.

In quei giorni, dopo essere stata con Cole, mi chiudevo in camera mia senza parlare con nessuno. Mi svegliavo, mi allenavo, andavo al poligono, prendevo da mangiare e andavo da Cole. Stavo con lui fino a quando non si addormentava e poi tornavo in camera.

Non avevo più scambiato parola con Zayn, che sembrava sparito da quella sera in cui ci eravamo abbracciati in silenzio.
Mi ero poi allontanata da lui, gli avevo lasciato un bacio sulla guancia, per poi girare i tacchi e andare in stanza.

Dopo di ciò, silenzio. Era come se fosse calata una sorta di ombra su tutti, ma sembrava che su di lui fosse più cupa e tetra. Era come se si fosse annullato. Non comprendevo bene il motivo del suo comportamento, per quanto fosse triste e brutto, certi "inconvenienti" non erano poi così rari nel nostro lavoro. C'era da aspettarsi qualunque cosa in qualunque momento e quello Zayn lo sapeva meglio di me. E poi non ho mai creduto che Cole gli stesse così a cuore, anzi il contrario.

Erano passati circa 12 giorni da quando avevano sparato a Cole e, precisamente la sera del dodicesimo giorno, ero in camera mia a fumare una sigaretta sul terrazzo mentre appuntavo alcune modifiche al piano per la missione in Grecia. Misi le gambe incrociate e poggiai il quaderno su di esse, mentre la penna scorreva veloce. La sigaretta pendeva tra le dita della mia mano sinistra e riuscivo a pensare solo alla temperatura mite della primavera che mi permetteva di essere meno infelice.

Sentii alcuni tocchi alla porta della camera, così mi alzai posando la sigaretta nel posacenere e il quaderno sul tavolino. Mi diressi poi verso la porta.

Dato il mio pigiama striminzito composto da pantaloncini e canottiera, allacciai meglio la vestaglia che era comunque leggermente trasparente, mentre la mia mano abbassò la maniglia.

Il volto di Zayn era a dir poco distrutto. Le occhiaie sul suo viso, le labbra gonfie e arrossate sicuramente dalle torture dei suoi denti, i capelli scompigliati.

«Ehi... che succede?» domandai, avvolgendomi meglio nella vestaglia.

«Ho finito le sigarette. Me ne offriresti una?» mi chiese con voce rauca, stanca. Come se non dormisse da giorni. Io annuii, aprendo meglio la porta per invitarlo ad entrare. Mi diressi poi verso la mia solita scrivania, afferrando il pacchetto per poi voltarmi verso di lui. Zayn, che era entrato dietro di me, si stava passando una mano sul viso, cercando di svegliarsi un po'.

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