Il bambino rimase fermo dov'era, come gli aveva detto sua mamma.
Era un venerdì sera qualunque e, come ogni venerdì sera, era andato al cinema con i suoi genitori. Era il suo giorno preferito, e lo aspettava già dal sabato mattina. Al ritorno dal cinema il loro rituale prevedeva sempre una sosta da Gusti & Co. per un gelato. Lui prendeva sempre il cono alla fragola, il suo gusto preferito, e tutti e tre mangiavano i loro gelati camminando sulla via di casa.
Al bambino piaceva solo una cosa della sua città: la stradina che lui e i suoi genitori facevano sempre al ritorno dalla gelateria. Gli piaceva perché era un marciapiede rialzato in riva al mare e le onde ne bagnavano sempre la superficie, così che ogni volta che qualcuno camminava lì sopra si creasse un rumore buffo che lui adorava. Quella sera, le uniche luci provenivano dalla luna e dai lampioni, che a piccole zone illuminavano di un colore giallo intenso il marciapiede e la strada. Sulle onde il riflesso della luna creava a sua volte luccicanti increspature bianche, come mille stelle cadenti sulla superficie marina. Non c'era nessuno e il bambino poteva godersi il suo gelato con i genitori e urlare e giocare con l'acqua sul pavimento senza che nessuno disturbasse, o venisse disturbato.
<< Devo cominciare a portarmi dietro una borsa solo per le salviette, un pacchetto non basta mai con tutto il gelato che ti finisce sulla faccia!>> disse la mamma al bambino mentre si rovistava nelle tasche. Ma lui non la stava ascoltando, troppo felice di saltare da una pozzanghera all'altra. Ormai aveva le scarpe bagnate fradice, e la mamma sbuffò desolata alla loro vista.
<< Tesoro lascialo giocare in pace, è un bambino. E poi il gelato gli dona >> il padre guardò la donna con un lampo divertito negli occhi << proprio come a me >>. Lei gli tirò uno schiaffo sul braccio, ma non riuscì a nascondere un sorriso.
<< Su, vieni qui... o devo prenderti io?>>
Il bambino si fermò. Si voltò lentamente mentre un sorriso furbo gli nasceva sulle labbra.
Un'altra cosa che gli piaceva era nascondino. Lo emozionava il pensiero di non essere trovato e preso dai grandi, per questo ovunque si trovasse si guardava sempre intorno alla ricerca di un possibile nascondiglio dove andare in caso di necessità. Per "necessità" intendeva quei momenti in cui sua mamma vuoleva pulirgli la faccia da un buonissimo gelato alla fragola con delle salviette al limone, fredde e appiccicaticce.
Fu svelto a correre via. Ogni volta che facevano quella strada, guardava sempre nel vicoletto a destra se c'erano i soliti bidoni verdi della spazzatura rasentati al muro. Nello spazio che si creava tra quei bidoni e la parete dietro, lui ci si infilava benissimo; non si poteva dire lo stesso dei suoi genitori, o di qualsiasi altro adulto.
Con urletti divertiti strisciò veloce attaccato al muro, andando a rannicchiarsi nello spazio angusto e fatiscente, mentre le urla della madre gli intimavano di fermarsi. Il padre rimase fermo dov'era, a godersi lo spettacolo mentre mangiava l'ultimo pezzo del suo cono gelato.
<< Se non esci subito, niente gelato per un mese! Ce lo mangeremo solo io e papà, per te solo broccoli e carciofi>>. Il bambino rideva, rideva come il padre, e nonostante tutto anche la mamma non riuscì a trattenersi.
Era un bel quadretto, con tutte le pennellate più colorate: dal giallo dei lampioni al bianco dei sorrisi, dal rosa del gelato al blu scuro del mare. Ma come tutti i quadri, c'era anche una pennellata diversa, diversa e paurosa.
<< Ehi voi>>, disse una voce minacciosa in fondo al marciapiede.
La testa bionda della donna si girò di scatto, dimenticandosi del gelato da eliminare. Per un istante non videro nessuno nel buio, poi comparirono due figure nel cono di luce del lampione. Sempre accucciato nella sua postazione, il bambino riuscì a vedere due uomini avvicinarsi al padre. Indossavano entrambi due lunghi cappotti neri, sbiaditi e rovinati dall'uso. Uno aveva dei fini riccioli neri, ingarbugliati e unti, mentre un'irregolare barba brizzolata gli ricopriva metà del viso; l'altro, invece, aveva due folte sopracciglia scure che sormontavano due occhi neri, piccoli e vispi. Indossava un berretto scuro, ma il bambino riuscì comunque a capire che era calvo. Suo padre li guardò con curiosità e una certa diffidenza.
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The Genes
Science FictionTaryn è una ragazza di sedici anni che è cresciuta da sola, diventando molto indipendente. Nonostante creda di essere una qualunque monotona persona del mondo, viene a scoprire, dopo un'aggressione, che il suo sangue serve proprio al nostro pianeta...