Susie avrebbe voluto visitare la capitale almeno per una giornata, così verso la fine dell'estate prendemmo il treno diretto da Sakai a Tokyo. Arrivammo la mattina presto, come il suo solito la città era già strapiena di gente di ogni tipo. Ci concentrammo in Shibuya, Harajuku e nelle vie circostanti. Non avevamo una vera e propria meta ma la città era piena di distrazioni, in ogni punto c'era una vetrina nuova da cui sbirciare e sognare, e Susie era parecchio attratta dalle forme e dai materiali dei vestiti nelle vetrine del quartiere della moda. Verso mezzogiorno andammo ad'un ristorante di carne Wagyu e mi misi a scherzare sul modo goffo che Susie aveva di tenere le bacchette. E per il resto della giornata lei fece decine e decine di Polaroid, tra templi, arte e viste che la incuriosivano.
Mi sentii spesso obsoleta, per il modo naturale che aveva Susie di interagire con il mondo che la circondava, capii quel giorno che avrebbe potuto conquistarlo se solo avesse voluto, ma le chiesi all'inizio della giornata semplicemente di tenermi sempre per mano, di non perderci tra quella folla che mi dava tante ansie.
Era pomeriggio inoltrato, stavo cominciando ad'andare in blackout, mentre Susie aveva ancora tutto il suo entusiasmo con sé, come se fosse stata in un eterno parco giochi.
Ad'un certo punto la sua mano si distaccó dalla mia, forse è stata la distrazione o la stanchezza ma tra quel mare di folla non riuscii più a vederla.
Mi misi una mano al petto il mio cuore stava andando a mille, mi sentii soffocare, avevo paura di morire. E avrei preferito affogare nell'oceano più remoto che tra tutto quel mare di persone, di occhi, di nasi e di bocche. Presto le orecchie cominciarono a ronzare e non capii se avrei dovuto continuare a camminare o stare semplicemente ferma.
Tirai fuori il cellulare e aprii la chiamata con 'Susie', ma nessuno rispose.
La prima volta, la seconda volta, la quinta, la decima. Il mio cuore cominciò ad'andare a ritmo dello squillo del cellulare, per un secondo la mia vita si fermó, ero sola.
Una persona normale avrebbe pensato razionalmente, ma ero sola, odiavo la solitudine, odiavo essere lasciata indietro.
Delle lacrime di tristezza cominciarono ad'appannarmi la vista, poi si trasformarono in rabbia quando riuscii a rimettermi in contatto con Susie un'ora dopo.
Gli dissi tante, fin troppe cattivere, che la mia mente le rimosse, ma mai dimenticherò la sua espressione pronta a combattere e replicare, e lei mi disse tante, troppe cattivere.
Finimmo col urlarci 'Ti odio' a vicenda anche se non era vero affatto.
E in treno guardavamo entrambe lati opposti. La verità era che, dopo essermi calmata, avrei voluto un'abbraccio ed'uno 'scusa', ma non lo ricevetti,
Invece Susie mi disse "Meglio che sia finita, ai miei genitori non piaceresti."
Abbassai lo sguardo e mi trattenni per un secondo, ma quando stavamo per scendere dal treno le risposi
"Tu non sei i tuoi genitori."
Scappai, corsi fino a raggiungere il letto di casa mia per piangermi addosso ancora una volta. Non avevo un attacco di panico così forte da anni e sapevo che non me lo sarei mai dimenticato, perché oltre ad'aver perso anni di vita, avevo perso anche la persona più importante in quel momento.
Non dormii, la mattina presto mi alzai dal letto e uscii furtivamente di casa, cercavo conforto così bussai alla finestra del mio migliore amico. Aoi, ancora intontito da quella sveglia non programmata, aprii la finestra e mi diede fece cadere tra le sue braccia.
Singhiozzando riuscii a dirgli tutto, ma lui forse era l'ultima persona a cui potevo chiedere consigli sui miei problemi sentimentali, però per tutto il tempo mi stette accanto, mi strinse, mi ascoltó, e quello bastava. E riuscii a lasciare casa sua con il cuore più leggero ma sempre pieno di preoccupazioni.
L'ultima settimana di Agosto ogni anno la passavo in una cittadina chiamata Hashimoto, lì di solito mia madre si concedeva sette giorni di relax mentre io invece mi annoiavo mentre cercavo di finire i compiti estivi.
Ogni anno però in quella stessa città mi ricongiungevo con una mia vecchia amica d'infanzia, Javet. Quell'estate lei aveva appena compiuto diciannove anni, ma nonostante il gap di età tra noi due lei mi aveva sempre parlato alla pari.
Ogni anno presa dalla vanità cambiava aspetto in qualche modo, quell'anno ad'esempio si presentò con delle ciocche tinte di nero. Era alta, snella e pallidissima, aveva dei capelli che somigliavano ad'agento fatto a fili. Un po' la invidiai in passato, sua madre era la persona più sobria e aperta di mente della vecchia generazione, faceva inoltre dei cocktail conosciuti in tutta la zona.
Appena ci incontrammo mi offrì una coca in lattina e ci sedemmo ad'un parchetto sotto al gazebo.
"Hai percaso cominciato a fumare?" mi chiese sospettosa.
"Si, so di tabacco per caso?"
"Tantissimo. Tua madre non ti ha ancora beccato?"
"Nah, è troppo occupata a sentire le voci."
Javet si mise a ridere ma cercó di smettere subito "Dai, smettila di prenderla in giro, mi fa tenerezza. Però davvero, smettila col fumo, se ti scoprono succederebbe un casino."
"lasciamo stare... Ti va di sentire com'è andato l'anno?"
"perché? É successo qualcosa?" mi chiese "effettivamente ti ho visto più triste del solito."
Stappai la coca e cominciai a raccontare tutto ciò che era successo, senza tralasciare alcun dettaglio, a mente lucida fu molto facile anche perché sapevo di potermi fidare della persona che avevo davanti.
"Aspetta.. Non ho capito, quindi tu, a questa ragazza di cui mi hai raccontato, piacevi?"
"Cosa, in che senso?"
"tesoro, si è spogliata davanti a te. Sei stupida?" mi disse facendomi scuotere la testa. "e anche a te piace, svegliati Ayu."
"Ma che dici!"
"Se non mi vuoi credere non farlo." disse prendendo un sorso del suo the freddo.
E da quel momento sorsero i dubbi e i ripensamenti, pensai subito che forse era troppo tardi per ammettere il mio amore per Susie, che forse sono semplicemente le amicizie femminili ad'essere davvero sempre così intense, non che ne avessi avute tante nella mia vita.
"Ah un'altra cosa." Javet cominciò a dire. "Te la butto lì eh. Secondo me piaci anche ad'Aoi."
Quello fu il colpo di grazia. Ma perché diamine piacevo ai miei due migliori amici? non sarebbe stato più facile se non avessi avuto sentimenti in generale?
"Eh? No. Non è possibile, ma tu da dove le tiri fuori ste cose?"
Cominciai a sudare, effettivamente forse l'avevo notato anch'io. Posai la lattina e mi misi le mani sulla fronte.
"Andrà tutto bene." Disse Javet dandomi qualche pacca sulla spalla, mi chiusi ancora di più su me stessa come se fossi una tartaruga.
"... Lei mi manca." le sussurrai pensando a Susie. Javet mi strinse in un'abbraccio famigliare, come fosse la mia sorella più grande di sangue e ossa.
"Non è mai troppo tardi Ayu. Puoi sempre parlare."
Forse Javet aveva ragione ma io non sapevo quando Susie se ne sarebbe andata dal Giappone e avrei preferito temporeggiare per sempre la mia decisione.
Si stava facendo sera, il cielo si tinse delle sfumature del tramonto.
Javet prima di rincasare mi disse. "Hey, vedi che mi trasferisco a Tokyo per lavoro, semmai avrai bisogno di me sei la benvenuta."
Mi abbracciò un'ultima volta e mi salutò con la mano.
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Sarah
RomanceSarah scappa di casa ma poi succedono cose orribili e va bene così. Temi sensibili: menzioni di abuso di sostanze, assalto sessuale e malattie mentali Scene di sesso tra donne (non è un tema sensibile però se sei stronzo e non ti piace non leggere e...