Pt. 11

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Con quella nuova vita nelle mani ritornó la felicità, anche perché ebbi sempre Susie affianco. Quando il giorno dopo ci svegliammo entrambe, lei si voltó verso di me e disse "Era da tantissimo tempo che volevo vederti così, sei stupenda."
Le diedi un bacio sulla fronte, non avevo più vergogna né paura di quell'amore, ma se avessi dovuto descrivere ogni singola cosa che le volevo dire sprecherei un'infinità di litri d'inchiostro.
"Anche tu, sei perfetta." le risposi.
Fu allora che cercai di concentrarmi su altro oltre che i suoi occhi, non avevo mai visto la sua stanza, era caotica quasi come la sua mente. C'erano vestiti in ogni dove, per terra, sui mobili e appesi ai muri, oltre che una ventina di tele mezze finite e tanti libri e quaderni.
Nei giorni successivi mi abituai pian piano al disordine, presi un umile lavoro come assistente meccanico e quando tornavo a casa, stanca ma soddisfatta, entravo subito in quella stanza, scansavo le pile di robe per terra e salutavo Susie stringendola a me.
Notai che a lei piaceva lavorare nell'ombra, quando entravo in camera ero sempre io quella che apriva le tapparelle, ma poi notavo meglio ogni suo connotato e mi innamoravo, se mai fosse stato possibile, sempre di più di ogni sua caratteristica.
E quello stato di perenne infatuazione, dato dalla gioventù, forse non è mai scemato negli anni, ma quel periodo, che ci era tutto così nuovo, passavano le sere a esplorarci il corpo a vicenda, lentamente come solo noi sapevamo fare.
Ero io quella che conosceva di più, mio malgrado, e provammo diverse cose.
Ma nulla era più bello di guardarci negli occhi durante l'attimo di massimo piacere, nulla era più bello di sentire i suoi battiti e i suoi gemiti, o il suo tocco così da vicino.
E quindi passavamo le giornate così, io andavo a lavorare, Susie andava all'accademia, la sera passavamo tutto il tempo insieme e nei fine settimana andavamo a ballare. Era una bella vita, fatta di party, cibo e amore, non avevamo niente per la testa che quello, non avevo niente per la testa che lei.
Eppure molte cose mi ruotavano attorno, fotografi, artisti, cantanti, vita mondana e una fioca 'fama', alla gente interessavo, ma a me nulla interessava che di lei.
Potrei essere chiamata una persona senza ambizione ma non avevo ancora raggiunto quella consapevolezza, potevo essere chiamata una persona dall'animo cieco, quello, invece, me lo disse una cara amica tempo dopo.
Notai, durante la convivenza, che Cerise e Susie avevano un rapporto molto più intimo di quello che inizialmente avevo pensato. Cerise conosceva certi aspetti di Susie che ignoravo, la sua famiglia, le sue amicizie che si era lasciata negli Stati Uniti, conosceva anche i suoi traumi, sapeva bene perché il suo occhio era sempre coperto.
un giorno Cerise entró in camera senza bussare né avvisare.
"È arrivato il giorno delle pulizie Susie." disse.
Susie cominciò a lamentarsi strattonandomi il braccio.
"Non fare la bambina! L'ho promesso a tua zia, non devi portare indietro più di un tot di cose."
Cerise si riferiva al brutto vizio di Susie di comprare, consumare e mai buttare, ecco perché la sua stanza era piena di oggetti inutili. Per quella volta mi schierai con Cerise, cercai di aiutare con la pulizia, anche perché Susie, effettivamente, aveva motivi sciocchi per tenere tutta quella roba, sopratutto i vestiti.
"Quello L'ho messo alla prima lezione di tecniche pittoriche...quello invece l'ho messo alla mia seconda serata in discoteca...no dai, non posso buttarlo, questo l'ho messo al funerale del mio decimo pesce rosso!"
"Decimo?" le chiesi cercando di carpire il concetto.
"Visto Sarah? Mi fa impazzire. Se sei arrivata al decimo é forse il caso di non comprarne più!"
Era un po' tardi per dirlo, Susie era arrivata già al quindicesimo.
Ma non sarebbe durato molto, col passare del tempo, infatti, si avvicinava il momento in cui Susie sarebbe dovuta tornare in America per le vacanze estive, gli era dovuto da tempo, considerando il fatto che, come disse Cerise, Susie "Non visita i suoi genitori da un anno ormai."
Una sera non appena mi sdraiai nel letto lei si voltó verso di me.
"Hey... Ti devo chiedere una cosa.." mi disse.
Annuì "Mi devo preoccupare?"
Susie mi prese la mano e l'avvicinó alla sua guancia.
"Vieni a Los Angeles con me." mi disse "Non so se ce la faccio senza di te, quindi... Vieni con me in America."
Stava tremando.
Mi avvicinai ancora di più per abbracciarla.
"Andrà tutto bene..." le dissi.
"io odio quel posto, mi fa tornare bruttissimi, orribili ricordi.."
"c'entra con il tuo occhio, vero?"
Susie si scostó e mi guardó stralunata. "Non ne voglio parlare." notai che stava sul punto di scoppiare in lacrime, prima che si rigirasse nelle coperte la presi per le guance e le diedi un bacio.
"Non ti preoccupare, se non ne vuoi parlare non lo voglio sapere."
Mi guardò ancora per poco prima di avvicinarsi al mio orecchio e sussurrare "Scopami fino a che non me ne dimentico."
Non mi tirai indietro, la presi e la baciai ancora con la lingua, usando tutta la mia passione, quando arrivó il momento giusto mi misi sopra di lei e mi leccai le dita strusciandole sui suoi capezzoli fino a farli inturgidire. Poi, piano piano, gliele affondai dentro cercando il suo punto G. Quando lo trovai cominciai a fare avanti e indietro con ritmo calzante.
"Ti piace?" le chiesi.
La sua risposta fu sussurrare il mio nome ripetutamente, quella era come musica per le mie orecchie.
E quando concluse non le feci domande, non le parlai,  mi bastava solo che non piangesse più, continuava ad'abbracciarmi come fossi la sua ancora di salvezza.
Quando si mise a dormire osservai il soffitto per diversi minuti e pensai ancora per un po'.
'andrò in America.' mi ripetevo nella mente, lo avrei fatto anche solo per starle accanto, darle tutto e annullare la mia fievole persona ancora di più. Anche se non avrei mai pensato di inserirmi in una storia così drammatica e che andava avanti da anni, in fondo, sto parlando di Susie e della sua storia, non più della mia.

SarahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora