Pt. 9

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Dopo quattro mesi di lavoro pensavo che sarei rimasta ancora per un po'.
Mi ero abituata agli sguardi e alle battute sul mio fisico, mi ero abituata alle toccate furtive sotto ai tavoli, mi ero abituata al peggio del peggio senza neanche accorgermene, e sebbene tremassi e piangessi ogni qual volta facevo pausa nel bagno, non davo segno di cedere. Forse era l'alcool e il fumo, che mi rendevano costantemente su di giri, oppure era la mia determinazione a farcela senza alcun aiuto. Ciò che mi rimase di quell'esperienza fu una larga somma di denaro, che tenevo in una scatola di scarpe, e imparai anche a farmi bella nelle situazioni più estreme.
Ricordo però che l'ultimo giorno finì tutto in maniera molto brusca.
Della sera prima sapevo poco e niente, mi ritrovai improvvisamente accasciata come un cadavere nel bagno del locale. Cercai di alzarmi ma le mie gambe tremavano, a stento riuscivo a stare in piedi o camminare. Allo specchio vidi che la mia acconciatura si era guastata, i fili di capelli arruffati e il mascara completamente colato. Quando vidi l'orario sospirai sollevata, il mio turno era finito già da un'ora.
Ero confusa, disorientata, inspiegabilmente la mia coscienza era mutata nell'ora prima, e fu tutto così improvviso.
Quando uscii dal bagno Alma mi stava cercando da tempo e quando mi vide spalancò gli occhi e mi strinse a sé. Sentivo tutto, ma in maniera ovattata, compresa la sua voce che mi diceva:
"Torniamo a casa, andrà tutto bene."
Ed'io che pensavo 'ovvio che andrà tutto bene, sta già andando tutto bene'
Quando mi accasciai sul letto di casa  ripresi lentamente la capacità di sentire bene, ma avevo un forte malditesta e maldistomaco, nonostante ciò avevo difficoltà ad'alzarmi e andare in bagno, oltre quello portavo con me un'inspiegabile paura.
Avevo come l'impressione che quella non era una semplice sbornia, se lo era l'avevo presa davvero male.
Ad'un certo punto, nonostante fosse estate, cominciai leggermente a tremare e Alma, notandolo, mi coprì con un lenzuolo. Prima di tutto si preoccupó, poi cominciò piano piano ad'impanicarsi ma non durò per molto.
Qualcuno, di fatto, suonó al campanello dell'appartamento.
Ella era un'angelo dai capelli d'argento, alto, pallido e gentile. Si sedette sul letto accanto a me e mi accarezzó la testa, stava parlando con Alma ma la conversazione non mi è mai trasparita, l'unica frase che però mi rimase impressa fu "Me la porto via va bene?"
Sentii quindi il mio corpo sollevarsi dal letto, quella persona mi stava trasportando tra le sua braccia come fossi una principessa. Aprii lentamente gli occhi ancora disorientata e vidi un volto che mi era famigliare.
"Javet..." sussurrai mentre continuava a trasportarmi fuori dalla porta.
Javet mi zittì rispondendo "Non parlare Ayu. Stai tranquilla." il suo tono di voce era dolce e protettivo.
"Come... Perché.."
"Ho hackerato la posizione del tuo cellulare, non potevo lasciarti morire così."
Morire? Ma io non stavo di certo morendo.
Fu così che per strada si fermó e mi guardò direttamente negli occhi. "Ti spiegherò meglio a casa."
Mentre Javet mi aveva tra le braccia, sentii il mio corpo rilassarsi e i miei occhi chiudersi ancora una volta, forse stavo veramente morendo, bastava sentire i battiti del mio cuore, sempre più fiochi.
Per un attimo vidi 'Lei' in sogno, camminava lungo un tunnel dandomi le spalle, e, nonostante stessi correndo con tutte le mie forze, non riuscivo mai a raggiungerla.
Quando il mio corpo fu posato su un letto quell'inseguimento nella mia testa si concluse, aprii gli occhi e mi ritrovai in una stanza di legno dai toni scuri.
Javet mi guardava dall'ingresso vestita in un elegante Tailleur nero, chiamó subito a sé un'altra persona, un ragazzo dalla pelle scura e gli occhi brillanti che portava tra le sue mani un bicchiere d'acqua grigia.
Javet si avvicinó
"Non parlare ancora Ayu, cerca peró di alzarti un pochino." disse mettendomi una mano dietro la schiena.
Il ragazzo mi sorrise e mi porse il bicchiere d'acqua.
"Bevi, con calma." disse.
Obbedii a tutto ciò che mi dissero.
Non parlai, anche perché avevo perso la capacità di farlo, bevvi il bicchiere d'acqua e mi misi a dormire subito dopo. Per un secondo sentii Javet coprirmi con una coperta, poi però ci fu solo vuoto, un sonno profondo, e probabilmente sognai ancora per un po, ma di quei sogni niente ricordai, oltre al profumo di caffè che avevano le lenzuola.
Quando mi sveglia nella stessa stanza era già sera inoltrata, mi accorsi che non ero morta e che il malditesta era passato ma non la mia debolezza.
Staccai la flebo che avevo attaccata al braccio destro e cominciai a camminare con lentezza, tastando i muri e i mobili di quella casa. Arrivai in un piccolo soggiorno, dove vidi Javet e il ragazzo di prima seduti sul divano e illuminati da una luce fioca. Sul tavolino c'era un vassoio con tre tazze di tè caldo. Javet mi invitó a sedermi accanto a lei e strinse il braccio sulla spalla.
"Come stai tesoro? Sei fortunata che sono arrivata in tempo."
La guardai negli occhi ancora leggermente confusa.
"io... Cosa é successo?"
Il ragazzo si avvicinó a me.
"Sei stata drogata." disse sorridente.
Improvvisamente sentii un colpo al cuore, come al solito era facile ansiarmi, ma forse quella era la prima volta che la mia ansia era legittima. "Naoki! La delicatezza..." esclamó Javet. "... Ascolta Ayumi, Naoki ti ha detto la verità, qualcuno ti ha drogato." disse poi sospirando "Ma non ti devi preoccupare sei fuori pericolo."
"Ma...come hai fatto a trovarmi?" le chiesi.
Javet fece la vaga. "abbiamo i nostri metodi."disse prendendomi la mano "So quasi tutto, e visto che ci tengo a te ti aiuterò in ogni modo possibile. Te lo prometto."
Volevo solo dimenticare, rimaneva solo quello da fare, Javet poi mi disse che con i soldi che mi ero guadagnata avrei potuto fare l'impossibile e che mi avrebbe tenuto tra le mura della sua casa ancora per un po', almeno fino a che non avessi ripreso le forze.
Passó qualche giorno, Javet e il suo fidanzato Naoki mi trattarono come fossi loro figlia, io invece li vedevo come due fratelli maggiori. Mi feci molte domande, posi molte questioni,
cos'era successo nei mesi precedenti, cos'era successo quell'ultimo giorno,
ma ero acerba e forse lo sono ancora, per questo, di fatto, non sono mai riuscita a rispondere a quelle domande. Il dolore rimaneva però, ed'era sia fisico che mentale, imparai col tempo a dipingerlo di diversi colori, ad'indossarlo come un bellissimo vestito, ma prima dovetti per forza fare i conti con la mia ricerca che non aveva portato a niente.
Visto che Javet era riuscita a trovarmi con i suoi potenti mezzi le chiesi un giorno di cercare 'Lei', gliela descrissi in ogni singolo dettaglio, cercai persino di ritrovare, nei miei ricordi, il nome dell'ospedale dove la vidi quella volta.
Inutile dire che ci avevo quasi perso le speranze ma alla fine Javet mi diede un foglietto con su scritto un'indirizzo.
"Questa persona... ti do il permesso di andare a trovarlo, è una brava persona." mi disse con un tono leggermente cupo.

SarahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora