Capitolo quattordici

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Il tempo, un essere astratto e al contempo reale. Esiste e scorre ma nessuno è in grado né di vederlo né di fermalo. Esso è ingannevole e forse anche spregevole, poiché non ha mai aspettato nessun uomo. Esso non si può riavvolgere, è come un fiume, scorre sempre e non si ferma mai. L'uomo può soltanto decidere come trascorrerlo e impiegarlo questo tempo ma esso, comunque è sempre meno di quel che l'uomo brama per sé.

È così che il tempo ha ingannato me e Alexandre. Per un attimo ci siamo illusi che esso si fosse fermato per concederci un istante d'amore, in realtà, lui continuava a scorrere e ci ha ingannato concedendoci, per un fugace attimo, un amore che non potrà mai consumarsi davvero.

Qui il tempo scorre veloce, non possiamo contarne le ore come facevamo nel ventunesimo secolo, ma so per certo che al calar della notte un altro giorno è trascorso e ciò per me significa che il mio tempo in quest'epoca volge sempre più al suo termine e, non posso negare, che mi atterrisce l'idea di non rivedere mai più Alexandre.

Vorrei chiedere al tempo di fermarsi, di riavvolgersi, così come ha fatto quando ha trascinato me ed il mio gemello in quest'epoca così antica, tuttavia, sono consapevole che tornerò nel ventunesimo secolo colma di ricordi di questo periodo trascorso qui. Vivere con il ricordo di Alexandre sarà un dolore costante poiché non vi sarà luogo nel quale io potrei incontrare il suo volto.

Mio fratello Ares al momento non mi rivolge parola, è seduto sopra un masso gigante di fianco la tenda, nella quale dovremmo dormire insieme.

Vorrei iniziare a parlare con lui, tuttavia, provo vergogna e imbarazzo, poiché so di aver sbagliato, infrangendo ogni promessa fatta.

Intanto, mentre penso a come potrei chiedere scusa al mio gemello, l'ombra di una figura maschile si accosta vicino la mia tenda.

«Posso?» Domanda con voce gentile Theodote, il quale rimane fermo senza entrare, aspettando il mio permesso.

«Entra pure» Gli concedo sospirando pesantemente, alquanto delusa che si tratti di lui e non di Alexandre o Ares, al quale vorrei poter porgere le mie scuse e anche offrire delle spiegazioni esaurienti.

«Ti porgo le mie scuse, comprendo che avresti preferito riposare, tuttavia, ho bisogno di parlarti» Dice con un'espressione seria e rugosa, la quale non mi lascia alcun dubbio sulla natura del discorso che sta per intraprendere.

«Non preoccuparti» Lo rassicuro, consapevole che questa notte non avrei chiuso occhio a causa dei miei pensieri aggrovigliati tra angoscia e paure.

«Alexandre è stato oggetto d'ira degli Dei sin da bambino, ha perso i suoi genitori durante un assalto della sua città natale e....»

«E poi ha perso la donna che amava tragicamente, lo so» Lo interrompo, consapevole di ciò che sta per dirmi.

«Io sarei soltanto un'ulteriore perdita, una sofferenza che non può permettersi, giusto?» Domando franca e impettita. Mi piacerebbe affermare che al momento io non senta nulla, ma dichiarerei il falso, poiché il mio petto è squarciato a metà al solo pensiero di essere l'ennesima fonte di dolore per Alexandre.

«Potresti sempre scegliere di rimanere qui per il resto della tua vita» Mi propone con decisione, dalla quale traspare la sua sincerità nel desiderare la mia permanenza qui.

«E i vostri Dei che direbbero di tale scelta?» Chiedo impettita con lo sguardo rivolto verso i suoi occhi insicuri.

«Non ho alcuna risposta a questa tua domanda. So soltanto che sarei disposto a sacrificare il mio posto nell'Elisio pur di far ritrovare pace qui, in questo mondo terreno, al mio amico» Dichiara tutto d'un fiato.

Black age- l'era degli Dei e degli eroiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora