Capitolo diciotto

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Voci immortali sovrastano la mia mente di pensieri, si aggrovigliano come fili sottili e impossibili da snodare, creano il caos dentro di me e non mi lasciano dormire in pace. Sono da sola, nella mia stanza e, nonostante siano trascorse delle ore, tremo ancora a causa della paura che, quella voce, sottile e leggiadra, mi ha trasmesso con quella sua solennità.

Se fosse stata la voce di una Dea?

Mi domando, mentre i miei occhi spalancanti osservano il soffitto dinanzi a me. Il mio corpo, giacente sul lettino di paglia e piume, è fremente e irrequieto, continua ad agitarsi, perché la testa, che gli fa da padrone, continua a sussurragli che deve raccontare tutto ad Ares.

Ma l'orgoglio, mio grande caposaldo e al contempo nemico dei rapporti umani, mi tiene legata avidamente al mio lettino.

E mi agito, fremente e irrequieta, è il mio corpo che mi sta parlando, suggerendomi di mettere da parte ogni disaccordo con il mio gemello e di correre da lui, perché solo insieme possiamo superare momenti come questo.

Tremante e colta dall'ansia, mi sollevo in piedi e, con indosso soltanto una lunga veste azzurrina leggera e quasi trasparente, corro senza guardarmi intorno verso la stanza dove Ares è ospite.

Busso alla sua porta palpitante e sempre più nervosa, poiché ormai non riesco più a vivere senza la perenne sensazione di essere osservata da qualcuno o qualcosa di cui non conosco la natura né la potenza.

Ares spalanca la porta di colpo, di fronte a me ho il suo viso assonnato e irritato, troneggia a petto nudo ad un passo da me, quasi con fare minaccioso.

«Che vuoi?» Domanda, spingendomi fuori la soglia della sua porta.

«Ti devo parlare» Affermo adirata, spintonandolo a mia volta, ma a differenza mia, non si scompone, egli rimane immobile e chiude la porta della sua stanza, come a volermi celare qualcosa.

«In piena notte?» Tuona, digrignando i denti.

Aggrotto le sopracciglia e, contro il mio volere, il mio labbro inizia a tremare e i miei occhi si oscurano di lacrime che, con orgoglio, tento di trattenere.

«Ti prego ascoltami» La mia voce suona supplicante, malgrado io provi con tutta me stessa ad essere austera e impettita dinanzi al mio gemello alquanto ostile.

«Bussa alla porta del tuo amante» Inveisce ruggente, scrutandomi con un rancore che mai avrei pensato potesse riservarmi.

«Ares» Mormoro sottilmente.

Incredula e con il cuore a pezzi, lascio che il mio viso si ricopra di quelle lacrime che con vigore tentavo di trattenere.

«No. Sono stanco, Diana» Sbraita contro di me con ira.

«Mentre io cerco come un dannato un modo per tornare a casa, tu fai di tutto per rimanere infognata qui»

«Non è vero!» Urlo a mia volta, travolta tuttavia, dalla mia coscienza sincera che mi sussurra quanto io desideri trovare un modo per avere una vita qui al fianco di Alexandre ma senza dover rinunciare ad Ares.

«Non posso sostenerti, Diana. Non questa volta» Dichiara avvilito e, in pieno tormento, si passa una mano sul viso.

«Va' a dormire» Mi suggerisce cupo, aprendo a malapena la porta della sua stanza per chiudersi lì dentro, lasciando così la nostra discussione, senza una fine o un chiarimento.

Rimango a fissare quella dannata porta di legno per un minuto che mi è apparso eterno, pensando a quanto siamo cambiati io e Ares da quando siamo qui. Lo sento, è come se qualcosa dentro di noi si stesse sgretolando, scalfendo il nostro legame, non siamo più i due ragazzi del New Jersey, spensierati e ricchi di vitalità.

Black age- l'era degli Dei e degli eroiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora