Capitolo 1

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Lentamente faccio uscire dalla mia bocca una nuvola intensa di fumo, lasciando cadere il capo all'indietro, sul poggiatesta del sedile grigiastro dell'auto di Brayden.
Passo a quest'ultimo lo spinello da lui stesso creato «E' la roba più buona che mi hanno procurato nelle ultime settimane» commenta lentamente, con voce arroccata, prima di aspirare dolcemente dal filtro.
Abbasso le palpebre, facendomi catturare dal buio, godendomi quest'attimo di pace.
Non fumo spesso l'erba, per lo meno non spesso come i miei amici Brayden e Spencer, ma il modo in cui riesce a distendermi i nervi per qualche ora placa per quell'arco di tempo la mia districata quotidianità.
Apro di sottecchi un'occhio, quando sento qualcosa battere sul finestrino dell'auto. Ci metto poco ad identificare la folta chioma riccia di Devin, che ondula lentamente a comando del vento. L'espressione contrariata e severa che ha stampata in volto, mi fa intuire che si è ben accorto dell'alone di fumo chiaro che alleggia all'interno dell'abitacolo.
Devin è mio amico, ed infondo ci tengo, ma detesto quando tenta di farmi la paternale su ciò che posso o non posso fare. Oltretutto, quando il pulpito da cui parte è lo stesso della persona che ogni tanto usufruisce della roba che Brayden si procura.
Sospiro lievemente, voltandomi poi a sinistra, verso il mio migliore amico.
Bray ricambia lo sguardo -scocciato- per poi, con un tasto, abbassare il finestrino dalla mia parte, dov'è piazzato Devin.
«Cosa possiamo fare per lei, signor agente?» lo deride, Brayden, dopo aver sbuffato un ennesima nuvola opaca; questo senza nemmeno posare lo sguardo sulla slanciata figura del ragazzo.
Devin lo guarda severamente, prima di posare i suoi occhi marini su di me «Almeno non prima di entrare a scuola» mormora, sistemandosi meglio il suo zaino color carota su una spalla.
«Chi ha detto che entro?» lo guardo fievolmente, con gli occhi socchiusi infastiditi dai leggeri raggi del sole già spiccanti nel cielo -oggi particolarmente limpido e chiaro-; inoltre, non aiuta, il pizzicore che la leggera nebbia di fumo mi provoca agli occhi.
Faccio sprofondare le mani all'interno delle larghe maniche della felpa grigiastra che indosso, per poi strofinare il tessuto morbido della felpa all'altezza del polso, sul naso, presa da un improvviso prurito.
«Char, per lo meno il primo giorno» borbotta, Devin, abbassando lievemente il capo, così da far combaciare il suo metro e ottantasette con la nostra altezza.
Alzo un sopracciglio, lasciando che il mio sguardo scivoli con nonchalance lungo il suo corpo «Cosa cambia se salto il primo giorno o il terzo giorno?» gli domando, con tono basso e ruvido, questo a causa dell'interno gola graffiato dal fumo.
Noto il nascosto pomo d'Adamo di Devin, ballare all'interno della sua gola, quando si asciuga l'interno della sua bocca da -a quanto pare- un'ampia quantità di saliva ricreatasi tra le pareti.
«Smettila, Charlotte, sei fatta» mormora, distogliendo lo sguardo dai miei occhi insistenti ed arrosati. Non so se detesto di più il fatto che lui tenti di dettare regole sul mio comportamento o il fatto che lui tenga a me.
«E tu sei un coglione» continua borbottando, Devin, puntando un indice contro Brayden.
Quest'ultimo -come spesso fa nei suoi riguardi- lo ignora, con una mano smanetta sullo schermo del suo cellulare, nell'altra tiene la canna ormai terminata.
«Non mettermi in mezzo ai tuoi scleri, Holt» commenta, Bray, a voce bassa e rauca, costantemente graffiata dalla nicotina; mantiene lo sguardo fisso sul suo telefono «Char, io oggi non entro, vado al parchetto...tu che fai?» si volta a guardarmi Brayden, per poi passarsi una mano tra le fitte e mosse ciocche di capelli color cioccolato.
Per quanto mi attizzi l'idea di non entrare, mi sembrano ore di assenza sprecate, le conservo per quando ne varrà la pena.
«Entro» borbotto sotto voce, non ancora sicura al cento per cento.
Mi sporgo verso Bray, lasciandoli un lieve bacio sulla guancia, in risposta mi fa l'occhiolino accompagnato da un cenno del capo.
Apro lo sportello dell'auto, scendendo dal veicolo. Mi accorgo immediatamente del volto di Devin più rilassato.
«Non fiatare» guardo di sbieco il biondo, mentre ci avviamo all'entrata di scuola, sapendo già che avrebbe commentato ciò che è appena successo.
Lui, effettivamente, non dice nulla, mi porge semplicemente un pacchetto di mentine.
Non ci metto molto a prenderne un paio e mettermele sulla lingua. Non lo ringrazio, e so di sbagliare atteggiamento nei suoi confronti, o per lo meno di trattarlo spesso con acidità; però non mi risulta semplice accettare che qualcuno presti così tanta attenzione nei miei riguardi, Devin è sempre presente per me, lo apprezzo, solo non ho bisogno -e tanto meno voglio- così tanta premura nei miei riguardi.
«Brayden è anche amico mio, ma sappiamo entrambi quanto sia deficiente quel ragazzo» mormora, consapevole che non ho alcuna intenzione di parlare di questo.
«Devin, sono seria, non sono nelle condizioni di parlare di questo adesso, domani magari» mormoro lentamente mentre scuoto il capo, dandoli un'ennesima conferma che di questo argomento non voglio parlare; la vita è già una schifezza, almeno fatemela vivere come voglio io.
Mi sistemo meglio il mio zaino nero su una spalla, esso ricoperto da scritte e disegni che ho fatto con un indelebile bianco nel corso di quest'ultimi anni scolastici.
«Charlotte, anch'io sono serio, sei fatta e non sono nemmeno le otto del mattino» allarga le braccia, per enfatizzare la frase da lui appena dettata.
Accolgo un forte sospiro, entrando all'interno del grande edificio in mattoni rossi; imponendomi di non fulminarlo con lo sguardo.
Mi avvicino al mio armadietto, con il ragazzo dai capelli biondo scuro appresso.
«Lasciami in pace, Devin, sei mio amico, e lo sai, ma non superare quel limite dove credi di poterti prendere la libertà di giudicare le mie scelte di vita» mi volto verso di lui, sentendo la mia pazienza screpolarsi lentamente -nonostante ne possieda abbastanza-.
Appoggio una mano sul mio armadietto, cercando con i miei occhi i suoi, nel tentativo di assicurarmi che abbia capito ciò che intendo; lui si lascia scivolare con la schiena all'armadietto accanto al mio.
Devin, però, evita il mio sguardo, abbassa il capo con i lineamenti del viso particolarmente tesi.
Solitamente sono sincera, ma mai schietta, rifletto molto su come utilizzare le parole, di conseguenza su come e quanto espormi. Quell'erba mi ha mandato in pappa.
«Come preferisci, Char, sono solo preoccupato per te...non voglio vedere mentre ti autodistruggi» mormora.
Senza darmi occasione di controbattere, si immischia nella calca di persone che si trova nel corridoio principale.
Nell'ultimo periodo sono facilmente irritabile, e la cosa si riflette automaticamente sulle persone che mi stanno accanto.
Serro le palpebre abbandonandomi in un profondo sospiro; infilo la testa all'interno dell'armadietto, nella speranza che quest'improvviso mal di testa passi velocemente.
Di certo gli schiamazzi dei miei coetanei non aiutano.
Perchè non sono andata al parchetto con Brayden?
Il parchetto, è letteralmente un parco poco lontano casa mia. Quest'ultima si trova tra la periferia e il centro città di Manhattan, all'incirca ci metto una ventina di minuti a piedi per arrivare a scuola, quest'ultima si trova vicino il centro.
E' un parco tranquillo, non molto grande, con al centro un laghetto con le anatre e tartarughe d'acqua dolce.
«Giornataccia?» riconosco immediatamente la voce familiare della mia migliore amica.
Lentamente tiro fuori la testa dall'armadietto, alcune ciocche bionde dei miei capelli -sin troppo- mossi mi coprono parzialmente la vista, impedendomi di vedere nitidamente la figura slanciata di Willow.
«Giornataccia» conferma, osservando il mio aspetto indecente, ci mette poco a scoppiare in una melodica risata.
«Will, lascia perdere» mormoro, chiudendo bruscamente l'armadietto, dopo averci lasciato all'interno un paio di libri.
La ragazza, torna in sé, mi osserva qualche istante, scrutandomi «Hai fumato?» increspa il piccolo naso alla francese, simile al mio.
La guardo di sbieco, mentre ci avviamo alla classe di letteratura inglese, materia che abbiamo in comune e che frequentiamo insieme.
«Con Brayden...in macchina...prima di entrare» le spiego, sistemandomi la lunga chioma chiara oltre le spalle «Devin ci ha visti e ha tentato di farmi la solita ramanzina, sai com'è fatto, io mi sono comportata da solita stronza e lui c'è rimasto male, credo» sospiro appena, per poi posare gli occhi in quelli di Willow.
Quest'ultima scuote il capo, per poi ricambiare lo sguardo con i suoi profondi occhi castani.
«Perchè mi sembra di vivere un déjà-vu? Oh già, perchè è da quasi tre mesi che va avanti questa storia» se la suona e se la canta, Willow, per poi lasciarsi comparire un sorrisetto furbo sulle labbra tinte da un rossetto bordò.
Distolgo lo sguardo dalla sua figura, per entrare nell'aula 205, ossia la classe di letteratura.
«Quel povero Cristo stravede per te, ti sbava letteralmente dietro, e tu non fai altro che sbattergli in faccia una quantità impressionante di merda, come se non bastasse quest'estate si è dovuto subire tu che ti sbattevi quell'egocentrico di Liam davanti ai suoi occhi» ridacchia tra sé e sé, Will, prendendo posto in terza fila.
Sgrano gli occhi, buttando lo zaino per terra, per poi prendere posto nel banco accanto a quello di Willow.
«Io non sbatto niente davanti a nessuno, Willow, dovrebbe solo rendersi conto che certe questioni sono cazzi miei, che non può mettere il naso ovunqu-» le rispondo, con tono basso, che da queste parti anche i sordi imparano ad ascoltare. Lei m'interrompe.
«Lo so io dove vorrebbe infilare il naso» mormora ridacchiando, lanciandomi una veloce occhiata maliziosa, prima di riportare lo sguardo davanti a sé.
Non riesco a trattenere un'espressione divertita «Finiscila qui, Will...e poi, Liam me lo sbattevo, si, ma non davanti a Devin» mormoro, facendola scoppiare in una fragorosa risata, che attira inutili occhiate fugaci di altre ragazze.
Liam è stata quella che si considera "una fiamma estiva". E' un ragazzo che frequenta il nostro liceo; dall'aspetto molto attraente, ma, per quanto mi riguarda, non va oltre a quello. Anche se sono abbastanza convinta che lui la pensi esattamente come me.
«Pervertita» mi punzecchia giocosamente l'avambraccio, coperto dal tessuto cotonato della felpa.
Non le presto molta attenzione, notando che ad aver appena travalicato lo stipite in legno della porta, è Brenda Kruse, un metro e settanta di egocentrismo e falsità.
«La giornataccia sta per peggiorare ulteriormente» mormoro, in modo che mi senta solo Willow.
Quest'ultima, all'udire le mie parole, segue fugacemente la traiettoria del mio sguardo.
Mi ero dimenticata che anche Brenda frequentasse letteratura inglese.
A dire il vero, mi ero dimenticata dell'esistenza di Brenda.
I suoi occhi nero pece scrutano lentamente l'aula, nella sua mente starà scannerizzando e giudicando ogni singolo individuo presente in questi pochi metri quadri.
Quando i suoi occhi socchiusi puntano sulla mia figura, un'espressione di compiacimento e prepotenza le si dipinge tra i lineamenti del volto pallido, la ragazza si smuove dall'arco della porta, ancheggiando nella mia direzione.
Se cerca rogna, non c'è giornata più adatta di oggi.
«Buongiorno Char, ciao Will» posa le affusolate dita sul mio banco, battendo una curata unghia tinta di bianco sulla superficie in legno, rovinatosi negli anni.
«Cosa possiamo fare per te, tesoro?» risponde per entrambe, Willow, enfatizzando troppo il nomignolo finale.
Brenda sfoggia un evidente sorriso tirato «Oh niente, tesoro, volevo solo vedere come stavate, è da due mesi che non vi vedo...sapete com'è, ho viaggiato moltissimo quest'estate» gesticola con una mano, mentre con l'altra si attorciglia all'indice una liscissima ciocca bionda di capelli.
Sospiro silenziosamente, spostando annoiata lo sguardo dalla ragazza più falsa che abbia mai conosciuto per posarlo all'entrata dell'aula, quando con la coda dell'occhio noto che vagliano la porta tre dei ragazzi più ambiti della Manhattan Wallace High School, ossia la nostra scuola.
I ragazzi in questione sono: Sebastian Anderson, Jaxon Emilton e per concludere in bellezza Tyler Collins. Quest'ultimo piazzato in mezzo ai primi due ragazzi nominati.
Con la camminata sicura, sguardo fisso davanti a sé e la solita immensa giacca di pelle nera, attraversa l'aula, ignorando anche la sua cara amica Brenda, questo per andare a piazzarsi in un banco infondo.
Dei tre ragazzi, solo Sebastian rivolge un fugace sguardo a Brenda, facendole un lieve cenno del capo, ma anche lui ignora il resto della classe.
Le voci di corridoio mormorano che Tyler non abbia mai guardato negli occhi nessuno al di fuori della sua cerchia. Come se avesse lo sguardo di Medusa, come dice il mito, bella e dannata, che con un solo sguardo ti può pietrificare. Anche se, la storia di Medusa, va ben oltre lo sguardo pietrificante.
Ho una strana ossessione per i miti, non me lo so spiegare, ma è sin da bambina che mi informo a riguardo; tant'è che ho tatuata -su tutto il bicipite sinistro- proprio lei, Medusa.
Io sono in questo liceo solo da Gennaio di quest'anno, mi sono dovuta ritrasferire qui a Manhattan per un evento avvenuto fuori da ogni possibile controllo o previsione.
In ogni caso, non c'è mai stata volta che quel gruppo ed io, anche accidentalmente, ci siamo scambiati uno sguardo.
«Vi auguro una buona giornata» frettolosamente si allontana da noi, Brenda, dirigendosi nei banchi infondo. Non mi volto, ma è prevedibile a quale specifico banco si sia affrettata di raggiungere.
Mr. Ross, il professore di letteratura inglese, arriva qualche istante dopo.
Così mi sistemo meglio sulla sedia, iniziando ad ascoltare ogni singola parola del giovane professore.
Letteratura inglese, è l'unica materia scolastica di cui veramente mi interesso.

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