Capitolo 12

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YOONGI'S POV:

Dong-sun e Geum-jae mi stavano già aspettando fuori dall'ufficio. Cercai di assumere un'aria sveglia, ma avevo dormito a malapena un'oretta e persino quella era stata invasa da un sogno particolarmente gradevole che includeva Jimin.

Geum-jae, come sempre, aveva optato per uno stile professionale molto casual: camicia con le maniche rimboccate. Almeno sembrava che si fosse pettinato la zazzera ribelle, cosa che non potevi sempre dare per scontata. Chissà perché, le donne sembravano stravedere per il suo stile pigro e trasandato; anche se avrei preferito una maggiore professionalità in orario lavorativo, non potevo lamentarmi. Sapeva fare il suo lavoro e anche bene, alla sua maniera frustrante come nessun'altra.

Dong-sun indugiava nell'ombra vicino alla porta come una statua, quasi fosse stato messo lì per spaventare chiunque avesse avuto l'ardire di voler entrare.

«A che devo l'onore? Non è da voi presentarvi a domicilio».

«C'è un'opportunità a portata di mano». Geum-jae aprì la porta del mio ufficio e mi fece cenno di entrare.

Dong-sun, sbadato come al solito, mi precedette, come se Geum-jae avesse aperto per lui.

Mi accomodai dietro la scrivania e resistetti all'impulso di accendere subito il computer e controllare le e-mail. Il multitasking non era mai stato il mio forte. Quando avevo un obiettivo davanti, procedevo come con i paraocchi. Se avevo quattro cose da finire in un giorno, spesso mi concentravo sulla prima, ossessionato dalla perfezione, e mi accorgevo di non avere più tempo per le altre tre solo quand'era troppo tardi. Su scala più ampia, quando studiavo mi ero fissato sul perseguire la carriera che volevo, a discapito della vita sociale. Una volta messa in piedi l'azienda, avevo continuato a ignorare tutto ciò che non riguardava il lavoro. Se non avessi assunto l'identità di Min Dohyun per evitare la mia sorellastra, forse non avrei mai pensato di avere il tempo per uscire con qualcuno.

Mi chiedevo se Jimin si fosse reso conto del guaio in cui si era cacciato, diventando la mia più recente ossessione. Peggio: mi chiedevo se sarei riuscito a non far andare la mia vita a scatafascio, quando tutto ciò che volevo era vederlo ancora, assaggiarlo ancora.

Strinsi forte i braccioli della poltrona. Sapevo che Geum-jae stava parlando, ma io sentivo solo i sospiri bassi e concitati di Jimin mentre lo possedevo e lo mandavo in estasi. Era difficile anche solo immaginare di volere qualsiasi altra cosa o spostare altrove l'attenzione; era come se mi fossi fatto la mia prima dose di una droga che mi avrebbe consumato. A spaventarmi era il fatto che ero prontissimo a lasciarmi travolgere, anche se non sapevo ancora in che modo la mia vita avrebbe potuto crollarci addosso.

«Quindi?», mi chiese Geum-jae.

«Aveva la testa altrove», disse Dong-sun. «Parlo per esperienza. Non ha sentito una parola di quello che hai detto, te lo garantisco».

«Ma sì che ti ascoltavo», dissi.

«Allora fammi un bignamino da scuole superiori».

«Mi... mi stavi parlando di un'opportunità professionale».

Geum-jae sospirò. «No, coglione. Ti ho detto che mi sono dovuto fare l'endoscopia perché non ho cagato per tre giorni e cominciavo a preoccuparmi».

Inarcai un sopracciglio. «Eh?»

«Già. A quanto pare, è colpa di un frullato proteico che stavo sperimentando. Troppe poche verdure, qualcosa del genere. Fibre, quella roba lì».

Dong-sun annuì con aria compunta. «Le fibre sono importanti. Mantengono la regolarità. Anche lo yogurt fa bene, contiene batteri buoni per l'intestino; se hai problemi con il lattosio come me, puoi sempre optare per i probiotici».

«Mi avete sul serio aspettato fuori dall'ufficio per questo? Il mio intestino funziona a meraviglia, grazie tante».

«No», riprese Geum-jae. «Li chiamano convenevoli. Sai, quelli che la gente normale usa prima di mettersi a parlare di affari con gli amici».

«A dire il vero, non so quanto sia normale parlare di cose del genere», commentò Dong-sun. «Andiamo tutti in bagno, ma cerchiamo di nascondere la verità sotto il tappeto, come se i movimenti intestinali fossero una sorta di cospirazione». Ridacchiò e scosse la testa. «A volte ti viene voglia di urlarlo a pieni polmoni, così all'improvviso, sapete? "Ehi! Cago! E ne vado fiero!"».

Io e Geum-jae sospirammo all'unisono.

«Dong-sun, sei l'uomo più strano che abbia mai conosciuto», disse il mio fratellastro. «C'è un motivo se ti teniamo alla larga dai clienti e il commento che hai appena fatto ne è l'esempio lampante».

Dong-sun gli puntò un dito contro e mi guardò, un sopracciglio inarcato. «Vedi? Vuole nascondermi sotto il tappeto perché ne ho parlato».

«Come vuoi, Dong-sun. Il motivo per cui siamo venuti è che ha abboccato un pesce grosso. L'agente di una multinazionale; hanno un pacchetto d'azioni bello polposo che danno a tutti i loro pezzi grossi. Se incorporassero i nostri pacchetti nei loro programmi bonus, potremmo quasi raddoppiare i nostri guadagni in uno schiocco di dita. Pensaci. Un solo contratto e raddoppi tutto, come minimo. Chissà che potrebbe fare un'azienda importante come quella per la nostra reputazione».

«Mi stai dicendo che guadagneremo un sacco di soldi, con loro». Alzai le mani. «Ma non cercheresti di convincermi che è una buona idea, se non ci fosse un inghippo da qualche parte».

«Uno, piccolo», ammise. «So che preferisci che mi occupi io di contrattazioni e salamelecchi, ma questa signora vuole incontrarti di persona. Ha detto che non le interessa la tirata da imbonitore del venditore. Vuole guardare dritto nella mente responsabile dei pacchetti. Immagino che sia una maniaca del controllo».

«Capisco. Vedi di chiarire cosa vuole nei dettagli, poi ne riparliamo. Non la porto a una partita di baseball o stupidaggini del genere. Possiamo incontrarci in un ambiente professionale. Prendo con me il computer e le mostro il procedimento, ma niente di più. Non faccio la ruota né presentazioni con PowerPoint».

«Alla gente piacciono», disse Dong-sun. «Pensaci. A scuola le giornate migliori erano quando l'insegnante tirava fuori il PowerPoint. A pari merito con quando metteva su un film».

Io e Geum-jae lo guardammo come se fosse un'idiota; probabilmente, lo era davvero.

Geum-jae si girò di nuovo verso di me. «Nemmeno un pizzico di persuasione? I tuoi grugniti asociali non funzioneranno in questo caso. Parliamo di un incasso coi fiocchi. E non solo per te. Pensa ai nostri dipendenti. Il tizio alla reception, le segretarie, i galoppini che inseriscono i numeri. La mia squadra, che si fa il culo ogni giorno per trovare nuovi clienti. Pensaci, dai. Dipende tutto da quanto sarai bravo a tirare fuori quelle palle grosse che ti ritrovi e fingere di saper convincere la gente».

«Su, Geum-jae. Ti conosco abbastanza da sapere che te ne freghi dei dipendenti, quindi non fingere il contrario».

«A te però importano». Mi indicò con un fastidioso sorrisetto saccente. «C'è un motivo se sono bravo a vendere, Yoongi: riesco a leggere le persone in un attimo. So pizzicare le corde giuste. Cazzo, ti conosco da troppo tempo, non hai segreti, quindi arrenditi prima che tiri fuori l'artiglieria e cominci l'opera di persuasione seria».

Ridacchiai e scossi la testa. «E va bene. Ma se ti dico di sì non è perché penso che riusciresti a convincermi. So solo che sei talmente cocciuto che se cerco di resistere mi annoierai a morte».

Si allungò sulla scrivania e mi diede un colpetto sulla spalla. «Questo è lo spirito giusto».

𝕌𝕟𝕒 𝔻𝕠𝕝𝕔𝕖 𝕊𝕠𝕣𝕡𝕣𝕖𝕤𝕒 {𝕐𝕠𝕠𝕞𝕚𝕟}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora