Capitolo 16

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YOONGI'S POV:

Seduto sul sedile posteriore del taxi, fumavo di rabbia. Quell'"intermediaria" aveva il nome di mia sorella scritto in fronte. Da quando ero uscito come una furia dal ristorante, era la sesta volta che provavo a chiamare Jimin, ma di nuovo partì la segreteria telefonica.

Avevo un presentimento orribile: mia sorella non si sarebbe presa la briga di assumere un'attrice e ingannare Geum-jae solo per farsi due risate. Aveva promesso di rovinare la storia tra Jimin e me; non avevo dubbi che avrebbe fatto in modo che lui scoprisse della cena e si facesse l'idea sbagliata. Ripensai alla sfacciataggine con cui quella donna aveva mostrato il seno e l'ostentazione con cui si sforzava di essere seducente. Si sforzava tanto che l'avresti vista a un isolato di distanza.

Mi veniva voglia di rompere qualcosa al pensiero della facilità con cui avevo abboccato al piano di Mina. Ma come poteva assicurarsi che Jimin mi vedesse? Ero paranoico?

Cercai di chiamarlo di nuovo e non ottenendo risposta stritolai il cellulare fin quasi a romperlo. Per poco non dissi all'autista di fare dietrofront e portarmi al mio appartamento; Jimin avrebbe potuto essere a casa. L'istinto però mi diceva il contrario. Qualunque cosa avesse architettato Mina, Jimin non era sul divano a guardare la TV.

Mina, invece, mi stava di sicuro aspettando con un sorriso gongolante sulla faccia. Probabilmente davanti alla porta d'ingresso, in modo da potersi godere la mia espressione il prima possibile. Dovevo scoprire cosa aveva detto a Jimin, così avrei saputo da dove cominciare a sbrogliare le sue bugie, quando fosse arrivato il momento. E mi era venuta un'idea. Un'idea malata, tanto che fino a quel momento l'avevo lasciata da parte. Presi di nuovo il cellulare e decisi che ormai nessun casino era troppo grande, nessun limite invalicabile.

Chiamai il marito di Mina; il telefono squillava.

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Scesi dal taxi e raggiunsi la porta quasi di corsa. Bussai con forza. Non mi sorprese vedere il battente aprirsi dopo solo un paio di secondi, rivelando la mia sorellastra in un abito bianco troppo elaborato e gioielli decorati da pietre nere che si intonavano ai suoi capelli.

Sollevò gli occhi languidi, trionfanti, e sorrise. «Fratello».

«Fratellastro», la corressi. «Che cazzo hai fatto?»

«Intendi stasera? Sono andata dal parrucchiere e poi al...».

«Sai di che parlo. Che. Cosa. Hai. Fatto?».

Sbuffò aria dal naso e per una volta permise a una frazione della malvagità che aveva nel cuore di affiorare sul viso. «Proprio quello che ti avevo promesso. Quello che continuerò a fare se non mi darai ciò che voglio».

«Ciò che vuoi. Rinfrescami la memoria».

«Lo sai benissimo. Se sei un tale pervertito da volermelo sentir dire ad alta voce, sarò ben felice di accontentarti. Voglio scoparti. Non perché ti ami. Non perché voglia una storia con te. Voglio farlo perché mi hai detto di no e nessuno può rifiutarmi niente».

Strinsi le labbra e annuii. «Che succede quando tuo marito lo verrà a sapere?»

«Non importa, perché non lo scoprirà. Fin dall'inizio sono stata un passo avanti a te senza dovermi nemmeno sforzare, e tu hai capacità molto superiori al povero Jeno. Rimarrà all'oscuro di tutto finché lo vorrò io».

Sogghignai, un sussulto di trionfo nelle vene. Alzai la voce per farmi sentire dentro casa. «Hai sentito abbastanza, Jeno, o ti servono altre prove?».

Aspettai che Mina impallidisse, ma lei rimase a guardarmi senza perdere il sorriso soddisfatto.

«Jeno?»

«Hai commesso un errore, chiamandolo troppo presto. Mi è rimasto qualche minuto per convincerlo che il mio povero cuoricino delicato sarebbe andato in mille pezzi se avesse creduto davvero alle tue bugie».

Vide la mia espressione e rise. «Credi davvero che lo lasci rispondere al telefono senza ascoltare le sue chiamate? Comunque, non verrà a origliare. È ancora a letto ed è felice. Non vuole credere a nulla di brutto sul mio conto, capisci. Vuole che sia il suo angioletto immacolato e continuerà a fare orecchie da mercante a ogni accenno o pettegolezzo che affermi il contrario, perché preferisce vivere nella sua illusione. Quindi, tanto vale che lasci perdere il tentativo di smascherarmi».

Ci girammo tutti e due al suono di un'altra macchina che entrava nel vialetto. I fari mi nascondevano l'autista, ma quando la portiera si aprì non potei non riconoscere Jimin che scendeva lentamente dalla vettura.

«Oh». Mina cercò di rientrare in casa e chiudere la porta.

D'istinto, l'afferrai per un polso, abbastanza forte da farle capire che non le avrei permesso di svignarsela. Non sapevo perché, ma aveva cercato di darsi alla fuga appena visto Jimin; tanto bastava per tenerla lì.

«Jimin. Conosci la mia sorellastra?».

Si avvicinò. Camminava con lentezza e la macchina alle sue spalle aveva ancora il motore acceso. Si guardò intorno, cercava di abbracciare con lo sguardo tutto nello stesso momento. Riuscivo praticamente a sentire il ronzio del suo cervello che rimetteva insieme i pezzi.

«La tua sorellastra».

«Tipico dei suoi metodi», disse Mina, in un tono che chissà perché sembrava strano. Quasi come la voce di qualcun altro. Meno malvagia, perlomeno. «Quando lo beccano in flagrante, se ne esce con delle bugie folli. Non credere a una sola parola».

𝕌𝕟𝕒 𝔻𝕠𝕝𝕔𝕖 𝕊𝕠𝕣𝕡𝕣𝕖𝕤𝕒 {𝕐𝕠𝕠𝕞𝕚𝕟}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora