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JACK

La vita è un flusso che noi cerchiamo di arrestare
in forme stabili e determinate...
dove la realtà ti disperde e disintegra
oppure ti vincola e ti incatena fino a soffocarti.

Tornare la sera al castello, dopo non aver fatto altro che camminare per la città, era sicuramente equivalente a un miraggio. Un'oasi nel deserto dopo giorni di sfiancante camminata. Si trascinò fino alla grande stanza della servitù, lasciò a terra la sacca di stoffa ormai vuota e si buttò sul letto a braccia larghe, solo che le mani gli ricadevano oltre i bordi e quindi dovette trovare una posizione più comoda.

Jack sentì dei movimenti provenire dal letto di fronte, sapeva che lo occupava Benjamin e anche che quel ragazzo, una volta crollato nel sonno, non potesse esser svegliato da nulla, ma per qualche strana ragione fu proprio la sua voce a raggiungerlo nel totale silenzio della notte.

«Hai fatto decisamente tardi»

Jack si mise seduto e si sporse oltre la sponda in fondo del letto. Riusciva a cogliere un baluginio di fronte, attribuibile al bagliore degli occhi del biondo, ma dovette attendere che le nuvole si spostassero da davanti alla luna per scorgerne il volto.

«Mi sono perso almeno tre volte»

«Succede le prime volte, ci farai l'abitudine» Benjamin si strinse nelle spalle e sorrise, mentre con le mani si aggrappava alla sponda del letto in legno. Era scheggiata e ripotava il suo nome inciso sopra, per quella bravata di lasciare la propria firma sul letto, Carl lo aveva rimproverato, obbligandolo a lavare i piatti per sei giorni di seguito.

«Mi abituerò a perdermi?»

«No, alle strade, alla città, imparerai ad orientarti guardando le insegne dei locali e memorizzerai il percorso più rapido per tornare a casa» un altro sorriso e un'altra fitta a livello dello stomaco di Jack che, volontariamente, aveva ignorato la fitta precedente.

«Io non ho una casa»

«Hai detto che una casa è dove si trova la propria famiglia e la propria famiglia è lì dove si è amati» Benjamin ricordava molto bene il discorso che aveva fatto con Jack qualche giorno prima, lo aveva impressionato con le sue parole, con l'indifferenza con cui parlava del passato e l'odio con cui pronunciava il nominativo padre. Solo una volta aveva colto della dolcezza in fondo alla sua voce, quando aveva raccontato il modo in cui la madre lo aveva avvicinato alla lettura, passione che poi lo aveva accomunato anche a qualcun altro.

«Sì, l'ho detto. Mi sorprende che lo ricordi»

«Io so ascoltare, comunque eccola» il biondo allargò un braccio e indicò l'intera stanza. I loro letti erano i due sul fondo, quelli vicini alla finestra dove Jack si sedeva a leggere quando non riusciva a prendere sonno, e così al nuovo arrivato bastò voltarsi verso la propria sinistra per scorgere nel buio le diverse figure dormienti.

«Cosa?»

«La tua famiglia. Non puoi stare senza una casa, né senza una famiglia. Siamo noi, sono io»

«Sei gentile, Benjamin, ma non c'è bisogno che ti immoli per...» non poté finire la frase, perché un verso strozzato lo fece voltare di nuovo in direzione del biondo. Gli era sembrato un grugnito o un verso schifato. Probabilmente a stupirlo non era stato il suono in sé, ma la persona da cui proveniva. Se lo sarebbe potuto aspettare da Adrien Moreau, che grugniva quando vedeva qualcosa che lo innervosiva o infastidiva, come un libro rovinato o uno spartito sbiadito dal tempo, ma di certo non si aspettava che potesse provenire da quel ragazzo fatto di sorrisi e gentilezze.

«Credo tu sia stupido» ecco qualcos'altro che non si sarebbe aspettato di udire da Benjamin, un'affermazione così diretta e con un impatto leggermente offensivo e aggressivo.

Segreti in mascheraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora