Broken Glass

290 69 92
                                    

Capitolo 1

P.O.V Yuna
16 luglio 2018

Song: Umbrella- RM ft Yuiko
https://youtu.be/9IgFHBPH-xU
~~~~~

La cena era stata tranquilla, di quella tranquillità apparente a cui cerchi di non dar peso, ma più la ignori, più la falsità dell'atmosfera serena si ti schiaccia addosso e ti fa capire sempre di più che non c'è niente di sereno, in quella stanza.

Avevo preparato due ciotole di riso con le verdure, niente di chissà quanto complicato, perché non avevo voglia né di cucinare, né tanto meno di mangiare, ma mi ripetevo in mente 'va tutto bene, non hai motivo di toccare cibo'.
Che poi non avevo davvero motivo di digiunare, eppure lo stomaco mi si era chiuso e mi ero sforzata a finire il mio pasto.

Colpa dei miei pensieri.
La mia malattia più grave sono loro.

Mi ero alzata per cominciare a sparecchiare.
Le tende lilla si sollevavano leggermente per la brezza estiva che penetrava dalla finestra, insieme al fragore proveniente dalla strada.
Quella casa mi piaceva e non mi piaceva. Era fatta bene, non troppo grande e non troppo piccola, lo spazio delle stanze ritagliato nel modo giusto e nemmeno la posizione nella quale era collocata mi dispiaceva, ma era anonima.
Si trattava di uno di quegli appartamenti già immobiliati che non ti vien voglia nemmeno di personalizzare, non sanno di casa tua.
Ma comunque, a prescindere, non era casa mia, nonostante le tende lilla le avesse scelte lui, per me, sapendo fosse il mio colore preferito.

'Ti aiuto' mi dice, io mi distraggo dai miei pensieri, nati dal fatto che avevo gettato uno sguardo alla TV del salotto, accesa senza che nessuno la guardasse per davvero.
Mi ero intristita per il fatto che quel salotto, così come tutte le altre stanze, poteva appartenere benissimo a chiunque, non ci stava niente che facesse capire che si trattasse delle sue stanze.
Il largo giubbino beige, lasciato appeso sull'attaccapanni dell'ingresso, sarebbe potuto appartenere anche ad un ospite, arrivato in questa casa sotto invito, non doveva per forza essere del padrone.
Non bastava, dunque, un indumento appeso a far capire chi fosse il proprietario.
Anche le cose sue non riuscivano a far in modo che questa casa sapesse di lui. Ma non mi ero mai lamentata, mi era sempre andata bene così.

'Lascia stare, sei stanco, avrai avuto una giornataccia' gli rispondo, spostando le ciotole dal tavolo al lavello.
La mia voce priva di qualsiasi tono non sembra nemmeno uscire dalla mia gola.

Dentro me covavo qualcosa da tempo, me ne rendevo conto, erano pensieri che cercavo di ignorare, ma io non sono mai stata brava a sopprimere i miei istinti poco pacati e quando cercavo di tenerli a freno, perché mi rendevo conto che esagerare fosse sbagliato e non dovevo farlo, non mi sentivo nemmeno me stessa.
Era come fingere di avere altri pensieri, mantenersi buona, con degli atteggiamenti che non mi appartenevano.
Lo facevo perché urlare, del resto, non mi sembrava giusto e perché arrabbiarsi sempre con tutti, per qualsiasi cosa, mi faceva poi sentire in colpa, nonostante potessi avere ragione.
Perché dalla ragione, non appena alzo i toni e dico qualcosa di troppo, passo dalla parte del torto, perché mi ci metto d'impegno a lasciare le ferite.
E non va bene.
Starmi zitta e non esprimermi, soffoca me stessa e mi sento nulla, parlare senza un freno, però, rende nulli gli altri, per come li attacco. Li svuoto completamente.
Non riesco a trovare una via di mezzo.

Stavo formulando proprio questo genere di pensieri, per riuscire a decidermi, una buona volta, se continuare a fingere che andasse tutto bene o liberare quello che tenevo dentro.
'Avere una giornataccia o meno non importa', risponde lui dopo un po', mentre la tavola è già quasi tutta sparecchiata.
Gli rivolgo un'occhiata, tiene lo sguardo verso l'alto, come ogni volta che parla più a sé stesso che a me, come ogni volta che si immerge nei suoi stessi pensieri; 'vorrei solo che queste giornate pesanti servissero a qualcosa' e sospira.
Distolgo immediatamente lo sguardo, abbassando il capo.
L'acqua scorre dal rubinetto del lavello, dovrei iniziare a sciacquare quelle due ciotole sporche e le posate appena utilizzate, invece l'acqua continua a scorrere come una striscia continua, senza che le mie mani la tocchino.
Col capo chino, le ciocche rosse dei miei capelli si spostano in avanti, quasi fossero le tende tirate come a chiudere la finestra; se lui si voltasse, non riuscirebbe a scorgere il mio viso.
Un nodo mi stringe lo stomaco, le mani ferme a pugni stretti sul bordo del lavello, aspetto che dica qualcos'altro, so che non ha finito di parlare, ma non lo fa, rimane immobile in piedi poco distante da me, si porta le mani alla testa, incrociate dietro la nuca, distendendo petto e torace.
Deve essere stanco.

°lights in the darkness°Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora