Prologo

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Si dice che nella vita, prima o poi, la tua anima gemella la trovi. Eppure io non ne sono mai stata così convinta. Mi sono sempre sentita completa. Come se non avessi bisogno di nessuno. Ed è così.

Ma quando esco di casa ed osservo coppie mano nella mano, sedute ad una panchina, a mangiare un gelato o parlare della vita, ecco, io sono un po' gelosa. Un pochino, sì, perché non ho mai provato quell'emozione di avere qualcuno accanto. Non ho mai provato il brivido di una carezza, o l'intesa di uno sguardo. Non ho mai provato l'amore, quello vero e senza timore. Non ho mai vissuto davvero, forse, e va bene così.

Mi sono sempre chiesta se fossi davvero io, il problema, ma non sono mai giunta ad una risposta. Certe cose sono così e basta, e non puoi far altro che accettarle. Quindi, io l'accetto. Accetto di rimanere in compagnia di me stessa. È così da vent'anni. Sarà così per sempre. È okay.

Sono le ventuno di un sabato sera. Esco per fare la spesa al mini market davanti casa, quello con le lucine colorate all'ingresso ed un cartello con su scritto "orario continuato". Entro: un'ondata di spezie, tra le quali cannella e zenzero, m'invade le narici. Il proprietario è un amabile signore indiano, Jamir, che è sempre dietro la cassa pronto a servirti. Anche questa sera mi sorride, con le mani giunte al petto e facendo un inchino.

"Benvenuta, cara. Ti si è fatto tardi, non è vero?"

"Mi conosci bene, Jamir! Sono appena uscita dall'uni ed ho una fame... Il frigo è vuoto, perciò!"

"Certo, certo. Fai pure."

Mi faccio spazio tra cassette di verdure e frutta, tra drink energetici e surgelati. Non so cosa acquistare, perciò lancio alla rinfusa tutto ciò che mi sembra gustoso nel carrello. Ad un tratto, mentre sto per girare l'angolo, dall'ingresso spunta un ragazzo. Jamir lo saluta, sempre col sorriso, e lui bofonchia qualche parola sottovoce. Riprendo la mia spesa concentrandomi sugli alimenti, afferrando un barattolo di sottaceti e posandolo nel carrello. Anche il ragazzo inizia la sua spesa, girando lentamente tra gli scaffali del locale. Dopo venti minuti, abbiamo entrambi i carrelli pieni e ci dirigiamo verso la cassa. Qui iniziano i guai.

Mi avvicino per prima, pronta a posare le mie cose sul nastro, quando lui dà una spinta al mio carrello, prepotente.

"Guarda che c'ero prima io."

"Pardon?"

Chiedo, facendo finta di non capire. Jamir ride sotto i baffi.

"C'ero prima io. Stavo arrivando, ero dietro di te. Toccava a me passare."

"Suvvia, non vorrai fare una storia perché sono passata per prima? Siamo solo in due a fare la spesa, qui. Era inevitabile che qualcuno dovesse attendere."

"Ma io non posso. Devo tornare subito in macchina, ho una ragazza che mi aspetta."

Alzo gli occhi al cielo. Playboy. Così, per dispetto, inizio a svuotare il carrello sul nastro della cassa, mentre Jamir inizia a passarla sul monitor. Il ragazzo, dal canto suo, sbuffa.

"Ne hai ancora per molto?"

"Tu che dici?"

Rispondo, sarcastica, passando a Jamir ogni singolo pezzo della mia spesa lentamente. Lo faccio di proposito, ed un po' mi viene da ridere. Al mio interlocutore, invece, non fa molto piacere.

"Se non ti muovi, giuro che..."

"Tu e la tua amichetta potete aspettare. Se non mangiate carboidrati prima di fare sesso non muore nessuno."

Commento, adocchiando il suo carrello: due pizze surgelate, due pacchi di pasta e due bottigliette di birra. Jamir ridacchia, finendo di conteggiare la mia spesa. Il ragazzo scuote la testa.

"Sta' un po' zitta e sbrigati."

"Hey! Bada a come parli!"

Lo rimprovero, fulminandolo con lo sguardo. Ha occhi azzurri, limpidi come il mare, ma glaciali. È freddezza ciò che denoto. Antipatia a pelle. Un altro motivo per metterci ancora più tempo.

"Fanno venti e settanta. Hai bisogno di una busta?"

"Sì, Jamir. Grazie."

Il cassiere imbusta la mia spesa, mentre io apro lentissimamente la borsa ed afferro con altrettanta lentezza il portafoglio. L' antipatico dietro di me sbuffa di nuovo, questa volta rumorosamente. Mi diverte dargli fastidio.

"Quanto hai detto, scusa?"

"Venti e settanta. Sorda."

Mi ricorda il mio nuovo amico dietro, ed io scoppio a ridere. Poi mi riprendo, evitando di guardarlo. Mi concentro sul denaro, contando a voce alta le monetine e le banconote. Anche Jamir si sta divertendo, perché appoggia una mano sulla guancia e mi guarda interessato.

"Dieci... Quindici... Quindici e mezzo..."

"OH! Ma insomma!! Ti vuoi muovere?!!"

"Taci. Mi manca qualche centesimo..."

È impaziente, e temo possa sbottare ed andare via, magari prendendosela anche con Jamir. Così, per sicurezza, mi sbrigo, ponendo fine ai giochi e pagando quanto dovuto.

"Era ora."

Commenta, ed io alzo le spalle.

"La prossima volta, tesoro, evita di fare la spesa a quest'ora. Eviterai di avere a che fare con me."

"Tranquilla, cara, io di solito frequento altre zone, di certo non un mercatino sfigato come questo."

"Mercatino sfigato a chi?!"

Borbotta il cassiere, ma lui non risponde. Si limita a passare gli alimenti sul nastro come se nulla fosse.

"Già, già, perché tu hai degli standard, vero? Beh, buono a sapersi."

"Ma va' al diavolo."

"Vacci prima tu. Idiota."

"Cretina."

"Cafone."

"Ciarlatana."

"Rimbambito."

Alzo il tono di voce, fissandolo di nuovo negli occhi e con sguardo di sfida. Questa volta non sento niente, non mi fa più effetto. Sento solo tanta rabbia e agitazione, tanto che mi viene voglia di prenderlo a ceffoni. Ma devo stare calma. Il mio stomaco mi ricorda che è ora di mangiare, così come il mio braccio, che regge una busta fin troppo pesante.

Così, per quanto abbia voglia di fare a botte, mi costringo a girare i tacchi e ad andarmene.

"Brava, brava. Vai via, che è meglio!"

"Pensa a pagare. Hai una splendida serata che ti attende!"

Lascio il negozio con ancora il nervoso in corpo, la testa che mi scoppia ed il cuore che mi batte forte nel petto. Non so cosa diavolo sia appena successo, ma una cosa è certa: spero di non rivederlo mai più.

My sweet nemesisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora