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Le lacrime continuano a rigare le mie guance. Saranno passate ore, e avrò trascorso sì e no tutto il pomeriggio sotto questo albero. Avevo bisogno di staccare, di non pensare più a niente. Le parole di mia madre e la mia rabbia repressa, però, non me l'hanno molto permesso.
Ciononostante, sento di essermi sfogata abbastanza. Così, come faccio per alzarmi, vedo una figura che si avvicina a me. Ci mancava solo lui, ora.

"Irma. Tutto bene?"

"Va' via, Nicholas. Non è affar tuo."

Borbotto, asciugandomi in fretta il viso con la manica della camicia. Riprendo lo zaino, ma lui mi si para davanti. Non vuole lasciarmi andare.

"Cos'hai?"

Chiede, ed io alzo gli occhi al cielo.

"Oh, ma che caro, ora ti preoccupi anche per me? Prima mi distruggi, poi torni indietro per vedere se è tutto a posto? Ma per favore!"

"Sei tu che ti stai distruggendo, eppure non lo vedi. Non lo vedi affatto."

"Ma che ne sai tu di quello che passo io! Eh!?"

Scuote la testa, e si sposta di qualche passo.

"No, hai ragione, non ne so niente... So solo che fino a poco fa piangevi. Ti ho vista dalla finestra del mio ufficio. Lì."

Spiega, indicando un'ampia finestra dall'altra parte dell'edificio. Si affaccia direttamente sul cortile del campus, e a me viene di nuovo da rimettere. Quanto avrà visto?

"E allora? Lasciami in pace! Possiamo avere tutti una giornata no!"

"Certo, questo non lo metto in dubbio, ma la tua non è solo una giornata. È da tempo che fai così. I tuoi voti parlano chiaro. — Cosa c'è? Mh? Puoi parlarmi, se vuoi."

"Non voglio. Quello che voglio, adesso, è che tu te ne vada. Fammi passare."

Brontolo, ma lui non si muove. Mi fa solo salire il nervoso. Così sbatto lo zaino a terra, pesto i piedi sull'erba e lo guardo male. Sembro proprio una bambina. Dal canto suo, Nicholas è impassibile. Sempre la solita faccia da schiaffi, sempre la solita testardaggine.

"Ti faccio passare, solo se ammetti che questo è tuo."

Ad un tratto tira fuori la Madonna con le lacrime di sangue, quella che poco tempo fa avevo abbandonato tra i rifiuti. Ecco, di nuovo, quell'orribile sensazione alle viscere. Sento il viso in fiamme, le mani appiccicaticce ed il cuore in tumulto. Espone quel dipinto con sicurezza, stringendolo tra le mani con molta fermezza. Noto, sul dito medio, un tatuaggio. È l'occhio di Ra, simbolo egizio. È piuttosto sbiadito.

"Perché ti privi di qualcosa di così bello? Guarda che è eccezionale... Sembra viva!"

"Non l'ho dipinta io."

Mento, e lui lo capisce.

"Smettila."

"Di fare cosa?"

"Di sminuirti. Da oggi in poi, voglio vederti dipingere solo in questo modo. Basta con gli scarabocchi, o con le tele vuote. Voglio che tu faccia uno sforzo. Non per me, ma per te."

"Tu non sarai mai capace di creare qualcosa di bello, Irma. Perché tu rovini sempre tutto. Così come hai rovinato questa famiglia."

"Se fosse per me, io, questo sforzo, non lo farei. Perché non me ne importa niente. Vattene, e lascia quel dipinto."

Decisa a non dargliela vinta, prendo la tela e la tiro verso di me. Lui, però, non molla. La tira a se, forte, rendendo difficile afferrarla. Sembriamo due idioti. Entrambi tiriamo dalla nostra parte, con forza, quasi stessimo giocando al tiro della corda. Poi, ad un tratto, il dipinto gli scivola dalle mani. Rotola verso terra, finendo poi in una pozza di fango. Nicholas sospira.

My sweet nemesisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora