𝗏𝖾𝗇𝗍𝗂𝖼𝗂𝗇𝗊𝗎𝖾.

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Nessuno vuole essere Robin - Cesare Cremonini
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«Ha avuto senso mentire? Shoto, dimmelo!».
Era furioso, così tanto che mai nessuno, prima del bicolore, lo aveva visto in tale stato. Così arrabbiato, così irato, che non era del tutto certo di avere il pieno controllo delle sue parole e delle sue azioni, in quel momento.
«Non posso farci nulla», si era limitato a rispondere, per l'ennesima volta, allo stesso modo, in quella serata buia dentro i loro animi, mentre fuori pioveva.
«Non puoi perché non hai mai fatto nulla per cambiare le cose!»
«Perché, Izuku? Perché devi giudicare le mie scelte, la mia vita; perché devi giudicare me?», aveva ormai alzato la voce anche lui.

Erano sere, ormai, che non faceva che sognare e risognare quella frustrante e accesa discussione con la persona più bella che aveva nella sua vita, ma che era riuscito a perdere con estrema facilità.

I suoi occhi non erano splendenti come smeraldi, come sempre. Erano spenti, di un verde opaco, triste, buio; non erano gli stessi, Izuku non era lo stesso.
«Ho sbagliato..», ammise il verde a sguardo basso, ormai non sapendo in che modo guardarlo. «Non dovevo innamorarmi di te».
Un'altra pugnalata al cuore.
«Si, hai sbagliato», rispose solo, mentre nella stanza, immediatamente, si divulgó il silenzio.
Lo guardava, così piccolo ma con un gran cuore; indifeso, solo, dopo aver perso la sua spalla, il suo appiglio maggiore; dopo averlo perso.
Neanche lui sapeva come guardarlo, eppure continuava a farlo, domandandosi come e perché avesse trovato il coraggio per pronunciare tali bugie, ma non per affrontare, definitivamente, una volta per tutte, suo padre.
Izuku andó via, lasciandolo in mezzo alla stanza, per poi chiudere la porta, sbattendola con un colpo secco.

Il rumore di quella porta lo svegliò dal suo sonno durato appena tre ore, e si sedette sul letto, beandosi per poco della comodità di quel materasso, di cui sua sorella si era presa cura, prima e dopo averlo sistemato.
Si sentì costretto ad alzarsi, bere un bicchiere d'acqua e bagnarsi il volto; sapeva che non sarebbe riuscito a riprendere sonno, come accadeva ogni giorno da circa una settimana. Il peso di quelle ore mancate si faceva sentire, i suoi occhi erano stanchi, la sua mente rifletteva affannosamente, il suo corpo era stremato dopo pochi passi, le profonde occhiaie.
Sentiva la mancanza di quel ragazzo a cui aveva aperto la porta del suo cuore per poi richiuderla, dimostrando che per lui non contava, che non fosse stato importante e che non lo fosse, quando voleva solo gridare al mondo intero quanto era pazzo di lui.
Il verde, dal canto suo, non pensava ad altro. Si era impegnato così tanto per distrarsi, per rimuovere dalla sua testa quegli occhi che avrebbe voluto osservare più a lungo e ci era riuscito; ma lo incontrava ogni giorno nei corridoi, lo cercava tra la folla senza rendersene conto, si voltava se sentiva il suo nome, ripensava ad ogni momento se passava dai posti in cui erano stati insieme, lo osservava in cortile quando arrivava e lo guardava andar via insieme a Bakugo. Per quanto non volesse pensare a lui, la sua mente e i suoi occhi non facevano che riportarlo indietro.
Perché?, si domandava, senza trovare risposta alcuna.

Ci pensava così tanto che persino risolvere un'espressione tra le più semplici era diventato complesso. Gli era uscito per tre volte un risultato diverso, ma pur sempre vicino a quello corretto. Guardava e riguardava ogni passaggio, senza mai capire dove sbagliasse; avrebbe dovuto mostrarla a qualcun altro perché, in fondo, con i suoi occhi sarebbe stato meno semplice trovare l'errore, ma non sapeva esattamente a chi rivolgersi. O, probabilmente, lo sapeva fin troppo bene, ma con quale faccia si sarebbe dovuto presentare davanti a lui? Un mese e mezzo passato in assoluto silenzio, contatti mancati se non incontri di sguardi fugaci, lui che lo guardava e l'altro che abbassava lo sguardo non appena se ne rendeva conto, imbarazzo e tensione mescolati, che non volevano saperne di andar via portando con sé quella maschera di orgoglio indossata da entrambi.
Le sue gambe non si mossero da sole quella volta, ma si diressero verso l'uscita di quell'appartamento spontaneamente; le sue mani, poi, bussarono alla porta del vicino per tre volte, lentamente, in maniera secca.
Quando questa si aprì, riveló l'immagine di una giovane fanciulla, dai lunghi capelli neri, un volto dolce e gentile, l'alta e magra statura, gli occhi color
carbone.

𝐈𝐥 𝐦𝐢𝐨 𝐯𝐢𝐜𝐢𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐜𝐚𝐬𝐚 | 𝖳𝗈𝖽𝗈𝖽𝖾𝗄𝗎Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora