𝗊𝗎𝗂𝗇𝖽𝗂𝖼𝗂.

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we fall in love in october - girl in red
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«Ti credevo più forte, Izuku»
«Sta zitto, idiota»

Era passata quasi una settimana da quell'abbraccio, da quelle nuove sensazioni, dalla pagina di diario, dalla giacca di Todoroki che ormai indossava ogni giorno, dai sorrisi sinceri.
Era passata quasi una settimana da quel giorno, e quel pomeriggio erano a casa del bicolore, seduti sul divano imprecando contro un videogioco. Doveva essere il preferito del proprietario dell'appartamento vista la sua  bravura nel giocare, contrariamente ad Izuku, la cui rabbia cresceva ogni volta che sbagliava a pigiare i tasti del controller. L'oggetto in questione fu gettato “violentemente” sul materasso dopo la quarta sconfitta di fila, e l'espressione che aveva in volto era così buffa che Shoto non poté trattenere una fragorosa risata che non coinvolse subito Midoriya.

«Cambiamo gioco, non ne posso più» sbuffó.
«L'ultima, dai»
«Hai detto così prima, e prima ancora. Si sa che vinci tu» affermó incrociando le braccia al petto.
È così tenero pensó l'altro vedendolo così, perdendosi un attimo ad osservare i lineamenti del suo viso, nonostante lo conoscesse quasi perfettamente a causa delle innumerevoli volte in cui si era soffermato a guardarlo.
«Andiamo al mare?» domandó spegnendo il gioco, al contempo sorridendo ripensando alla canzone suonata dal verde pochi giorni prima.
La risposta positiva non tardó ad arrivare.

«La prossima fermata è la nostra» disse, ma non venendo ascoltato.
Dal canto suo, Izuku era seduto di fronte a lui ma non lo guardava.
Era preso da ciò che c'era al di là del vetro che lo separava dal mondo esterno, e nonostante il paesaggio cambiasse in una piccola frazione di secondo ogni volta si incantava a guardarlo. Lo rilassava, e quella sensazione lo faceva viaggiare con la mente, facendolo arrivare in “posti” (momenti) in cui non penserebbe mai di giungere (che non crederebbe di poter vivere), o in luoghi (momenti) in cui è già stato (già vissuti).
«A cosa pensi?» lo interruppe l'altro.
«Al nostro abbraccio»
«Quale?» domandó ancora.
In quei giorni erano tornati a casa così tante volte, che era difficile scegliere un momento di contatto ben preciso. Sapeva a cosa stava pensando, ma sarebbe stato bello sentirgli dire: «Al primo»
Le sue labbra si incurvarono leggermente. Per un attimo pensava di averlo immaginato, ma quando incontró quei verdi e luminosi smeraldi capì che quelle parole erano state realmente pronunciate.

Scesero dall'autobus con un'espressione felice dipinta in volto. La quiete e il silenzio li circondavano, i passanti camminavano sui marciapiedi, le macchine circolavano lente in quella strada poco trafficata, i bambini oscillavano avanti e indietro sulle altalene mentre altri aspettavano il proprio turno e altri ancora si rincorrevano; le foglie, invece, volavano da una parte all'altra del cielo trasportate dal vento.
Tanti elementi che, combinati tra loro, creavano un'armonia che mai avrebbero voluto spezzare.
L'unico suono che si sentiva era quello delle loro scarpe che colpivano il cemento ad ogni passo. Erano su una piccola altura, e una decina di scale li separava dalla sabbia. Il mare era ben visibile da lì, ma nonostante ciò si avvicinarono ancora di più.
Uno di fianco all'altro percorsero quelle scale e Midoriya, entrato in contatto con quella superficie soffice, cominció a correre verso la distesa d'acqua azzurra che da qualche minuto ammiravano.
Si fermó a qualche metro dalla riva in attesa che l'altro lo raggiungesse, e nel mentre allungó la mano verso la sabbia e raccolse una conchiglia.
Da bambino le collezionava: ne aveva tante, tutte di diverse dimensioni, e gli piaceva realizzare collane e bracciali. Molti li regalava ai genitori o ai parenti quando andavano a trovarlo, ma raramente ne conservava per sé. La guardó sorridente ripensando a quei momenti felici, e quando Shoto giunse al suo fianco gliela porse facendolo rallegrare più di quanto già fosse.

𝐈𝐥 𝐦𝐢𝐨 𝐯𝐢𝐜𝐢𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐜𝐚𝐬𝐚 | 𝖳𝗈𝖽𝗈𝖽𝖾𝗄𝗎Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora