Fu facile, per Manuel, aprire gli occhi quella mattina. Il giaciglio improvvisato lo aveva tenuto caldo e Alessandro non aveva nemmeno russato più di tanto quella notte, quindi si ritenne più che fortunato. Il Maestro gli aveva lasciato un paio di compiti, tra cui alcune statue da sbozzare e un dipinto da imbastire, ma quello soltanto a metà giornata. Ciò significava che aveva l'intera mattinata per girare per la città e magari raccattare qualche oncia di vino. Dal mercato avrebbe ricavato un po' di pane e avrebbe potuto dichiararsi sazio fino alla sera.
Era bravo nel suo lavoro e probabilmente era l'unico motivo per cui la sua permanenza in quella bottega si stava rivelando così longeva.
Di solito, il Maestro gli affidava tutte le imbastiture che a lui non interessavano, mentre lui si concentrava sui suoi progetti infiniti e complicatissimi. Alessandro di solito un po' se ne risentiva, ma poi, con una pacca sulla spalla, gli diceva "Meno lavoro per me, amico mio", anche se comunque gli toccava rassettare la bottega e spazzare la polvere di marmo dal pavimento sempre un po' sudicio.
A Manuel, poi, piaceva il suo lavoro: la scultura era stata la prima cosa ad interessarlo davvero e a distoglierlo dai furti beceri che, prima del Buonarroti, occupavano la maggior parte delle sue giornate. Certo, non trovava la stessa stessa soddisfazione nella pittura, ma l'effetto del lavoro finale lo riempiva d'orgoglio e l'imbastitura stessa dei progetti gli faceva fremere le mani per la smania di creare. Creare qualcosa di bello, come lo erano le forme morbide del marmo dopo che era stato modellato, o i colori pieni che il suo Maestro gli aveva insegnato a stendere su quelle muscolature tornite: anche nella pittura si vedeva l'amore per la scultura, per la tridimensionalità, tanto che quasi gli mancava il fiato quando, anche in un quadro, le forme sembravano animarsi, uscire fuori dalla tela, come dotate di un'anima propria.
Sì, Manuel amava l'arte. E la possibilità di assistere un genio di quella portata lo riempiva d'orgoglio e, meglio ancora, riempiva d'orgoglio sua madre che ogni volta gli passava una mano nei capelli e gli diceva "Io dovrò pure pulire le dimore dei ricchi per sempre, ma guardati tu, anima mia, ad imparare dai più grandi".
Quando glielo disse la prima volta, fu anche la prima volta che Manuel vide vero orgoglio in quegli occhi di specchio e fu a quel punto che decise che vi si sarebbe dedicato anima e corpo, fosse anche per non vedere svanire quell'orgoglio, che lo rendeva finalmente fiero di se stesso, che neanche tutti i nobili di Firenze avrebbero potuto eguagliare la fierezza del suo sguardo.
Si vestì in fretta, quella mattina, e si scapicollò in strada, svelto ad infilarsi in quei vicoli che conosceva a memoria.
Con sua madre, erano saliti a Firenze da Roma quando lui aveva appena quattro anni. Era troppo piccolo per ricordarsene, ma se c'era una cosa che non avrebbe mai dimenticato erano i sacrifici di sua madre, sola, con le mani sanguinanti per il lavoro, che comunque alla sera trovava il tempo di carezzargli i capelli e sussurrargli "Andrà tutto bene". E Manuel era cresciuto con quella convinzione, che sarebbe andato tutto bene, non importava quando e in che modo.
Quando imboccò lo stradone del mercato, il sole era quasi alto e venne immediatamente investito dall'odore delle spezie e del pane fresco.
Faceva caldo e il sole gli colpiva piacevolmente le guance, illuminandogli capelli e barba di una luce caldissima.
Si addentrò tra i banchetti, i mercanti che urlavano e qualcuno che rideva, le persone indaffarate nelle compravendite, qualche madre che cercava invano di tenere a bada il figlio piccolo mentre contrattava per il prezzo delle uova. Manuel amava quell'ambiente, in mezzo alle persone si destreggiava come un gatto, infilandosi sinuosamente tra i corpi, memore del suo passato di ladro. In quel momento, però, l'intenzione non era di privare di qualcosa qualcuno, ma solo di osservare la vita che scorre, proprio come fosse un'opera d'arte in movimento.
Si fermò davanti al banco di Piero, che lo salutò calorosamente come ogni mattino, e scelse il pezzo di pane più morbido in vista. Lo pagò un soldo e se lo intascò, pronto a consumare la sua colazione.
Fu in quel momento che, voltandosi verso la folla brulicante, notò una figura nota e sconosciuta allo stesso tempo. Il Simone che aveva conosciuto il giorno prima, se ne stava in un angolo del banco delle stoffe, stretto in un mantello che gli copriva il capo e la sopravveste, nonostante il clima mite.
Manuel non potè frenare il piccolo sorriso che gli affiorò alle labbra.
Era sempre stato un uomo curioso, come dimostrava il suo stesso mestiere, ma mai aveva sentito una spinta così potente verso un altro essere umano. Un uomo, per giunta. Nonostante fosse avvezzo all'intrattenimento sia con uomini che donne, nel buio intimo del suo giaciglio, era stata l'assoluta bellezza di Simone a colpirlo quando lo aveva scorto per la prima volta. Quel profilo era di una tale perfezione che le mani avevano iniziato quasi a prudergli dalla smania di imprimere quel volto perfetto nel marmo. Dal giorno prima, non faceva che pensare a quanto Simone potesse essere perfetto nelle vesti di un Davide vittorioso o di un Marte conquistatore. E più ci pensava, più gli era difficile scegliere tra sacro e profano: avrebbe voluto mescolarli nella rappresentazione di quel volto perfetto.
Si avvicinò piano nel brusio della gente e si affiancò al ragazzo senza che lui se ne accorgesse, ancora intento ad ispezionare un pezzo di stoffa.
"Cosa ci fate qui, tra i bassi ranghi?"
Simone sussultò leggermente e posò i suoi occhi profondissimi sul volto luminoso di Manuel, che prontamente ignorò la stretta allo stomaco che lo invase.
"Non posso nemmeno frequentare il mercato ora?"
Manuel ridacchiò e si perse per un attimo a osservare le mani flessuose dell'altro, le dita affusolate che stringevano una stoffa rossa pregiata, seppur di fattura media.
"No, per carità, dico solo che un po' stonate con il vostro portamento regale tra questi stracci"
Avrebbe voluto dirgli, piuttosto, che la sua pelle diafana risaltava in mezzo a quella polvere anche coperta dal mantello, che la sua eleganza ne tradiva le nobili origini e persino le sue mani, immacolate, dimostravano quanto non appartenesse a quel luogo. Non veniva sporcato da quel luogo.
Il mercante si avvicinò e con voce melliflua comunicò al giovane che quel pezzo di stoffa glielo avrebbe venduto all'eccezionale prezzo di 10 fiorini.
Manuel si avvicinò un po' di più al giovane, non appena il mercante si voltò.
Si accorse di essere forse troppo vicino quando si ritrovò la guancia di Simone, coperta da un accenno di barba, a portata di labbra.
"10 fiorini per quella stoffa son troppi, non siate così ingenuo da farvi raggirare in questo modo"
Le vide, le labbra di Simone che si dischiudevano in un'espressione sorpresa e nemmeno gli sfuggirono i brividi che lo pervasero. Alle sue labbra affiorò un ghigno soddisfatto. L'altro corrucciò la fronte.
"Cosa vi fa credere che io sia tanto ingenuo?"
Manuel deglutì di fronte a quel tono improvvisamente austero. Tuttavia, la tensione si sciolse subito quando incrociò di nuovo quegli occhi profondissimi.
"Temo che i vostri occhi tradiscano la profondità della vostra bontà, mio signore."
Simone tremò al sentire quell'epiteto pronunciato da quelle labbra delineate. Tante volte lo avevano appellato in quel modo, fin da giovanissimo, eppure mai nessuno gli aveva provocato quella scossa dentro semplicemente con quelle due parole.
La sua espressione di stupore doveva essere chiarissima, perché Manuel di fronte a lui si lasciò sfuggire una piccola risata.
"Vedete? Vi si legge in faccia ogni pensiero, siete un libro aperto che anche un comune paesano può interpretare"
Simone abbassò lo sguardo e represse l'istinto di chiedergli se lui appartenesse a quella schiera, se tanta bellezza fosse comune tra i paesani a cui tanto decantava di appartenere. Come se poi Simone si sentisse parte di una fazione precisa: aveva passato l'esistenza intera in un territorio grigio, aspettando qualcuno che gli dicesse da che parte stare. E quando gli avevano imposto un ruolo, non voleva che liberarsene, sgusciare tra la gente e passare inosservato come un qualunque uomo di passaggio. Non era ingenuo come l'altro affermava, sapeva bene che i soldi facevano comodo, tuttavia nessuno teneva conto delle difficoltà di essere il figlio di.
Si accorse di stringere ancora in pugno la stoffa rossa, quando avvertì lo sguardo penetrante del mercante sulla nuca. Lasciò la presa e si disse che avrebbe usato un'altra stoffa per far confezionare una bambola a Caterina: la sua ormai era sgualcita, rotta in più punti e sicuramente le sarebbe piaciuta una nuova amica.
Si schiarì la voce.
"Il sole è alto e a breve sarò richiesto altrove. Se volete scusarmi"
Fece per sfuggire velocemente a quello sguardo indagatore che gli macinava ogni volta lo spirito e l'anima, voltandosi velocemente per intraprendere la strada di casa. Non fece in tempo ad allontanarsi troppo, che quella stessa voce baldanzosa lo raggiunse con forza.
"Non lasciate che i nobili vi leggano allo stesso modo, me ne raccomando!"
Il corpo di Simone, seppure più alto della media, venne inghiottito dalla folla e lasciò Manuel davanti a quella stoffa, con un piccolo sorriso a colorargli le labbra.
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Anima Mea
Fanfiction1557 - Simone è figlio di un'importante casata fiorentina; Manuel va a bottega da uno dei più geniali artisti del tempo. Si incontreranno e tutto acquisirà un nuovo senso. La storia prende spunto da un Tweet. Non l'ho mai ritrovato.