Simone era uscito subito dopo aver parlato con suo padre. Era tanto scosso da aver dimenticato anche il solito mantello che gli faceva da corazza nel mondo esterno.
Mentre camminava, guardò attentamente le strade di Firenze, le vie ciottolate, le torce spente e le botteghe già aperte. Guardò il vicolo che iniziava il mercato, inspirò l'odore delle spezie e si crogiolò nel sottile vociare che iniziava ad animare le strade. Passò davanti al forno, e poi davanti ad un banchetto con i fiori. Si fermò a comprare un fiore di gardenia dalla bambina che li vendeva e glielo pagò ben sei fiorini, perché tanto quei soldi per lui non avevano più alcun valore e forse non lo avevano mai avuto. La bimba gli sorrise come se fosse un santo, e questo fece sentire Simone ancora più sporco, mentre si rigirava il fiore tra le mani.
Il liutaio all'angolo lo salutò, ma lui ricambiò a malapena e un bardo intonò la strofa di una canzoncina popolare quando lo vide passare. Passò davanti al vicolo dove scorse l'insegna con l'oca starnazzante, ma stavolta non lo fece ridere come aveva fatto il giorno prima.
Respirò a pieni polmoni Firenze attraverso il profumo di quella gardenia e quando alzò gli occhi verso il cielo terso, pensò che probabilmente sarebbe stato l'ultimo giorno che avrebbe passato sotto quelle nuvole che aveva osservato tutta la vita dal vetro di una finestra e non aveva mai pensato a starci sotto, a camminare tra la gente. Pensava che bastassero i piccoli gesti, pensava bastasse stare un po' con Caterina e chiacchierare con Chicca, ma la verità era che lui Firenze non l'aveva mai vissuta; e ora era semplicemente tardi. Pensò che se magari avesse conosciuto Manuel prima, quando era più giovane, forse le cose sarebbero andate diversamente, forse Firenze l'avrebbe conosciuta nelle viscere e non dalla patina luccicante che aveva sempre vissuto.
La meta del suo vagabondare fu naturale e spontanea, e quasi non se ne accorse quando si ritrovò di fronte all'insegna della bottega dalla quale solo poche ore prima era uscito quasi galleggiando su quel mondo sporco.
Quando bussò, piano, venne ad aprire Alessandro, con indosso ancora i vestiti del giorno prima, che emanava un forte odore di vino e aveva l'espressione un po' persa. Era ovviamente ubriaco.
"Simone? Stai bene?"
E Simone doveva avere proprio la faccia distrutta, se Alessandro l'aveva notato anche nello stato in cui versava.
Non rispose, ma il biondo gli circondò le spalle e si assicurò che nessuno l'avesse visto in strada.
"Entra, che stamani fa freddo, vieni."
Il corvino si fece trascinare all'interno, il tocco di Alessandro era gentile, mentre lo portava verso uno sgabello all'angolo della stanza. Era coperto di fogli, ma ci mise poco a gettarli alla rinfusa sul pavimento per farci poi accomodare il ragazzo.
"Dovremmo avere del sidro da qualche parte, vuoi bere o mangiare qualcosa?"
Era gentile, mentre gli scrutava il viso, come a cercare di carpire una qualsiasi informazione e Simone capì d'improvviso perché Manuel gli volesse tanto bene.
Scosse la testa mentre si rigirava la gardenia tra le dita e solo allora incrociò lo sguardo del biondo ancora in piedi di fronte a lui.
"C'è Manuel?"
Alessandro annuì ed indicò con un cenno della testa il piano superiore; Simone si alzò dallo sgabello, dirigendosi subito verso le scale, ma prima di imboccarle, si voltò verso Alessandro e semplicemente gli sussurrò un "grazie", al quale l'altro rispose con un sorriso gentile.
Quando salì le scale e scostò piano l'uscio dell'unica stanza presente sul piccolo soppalco, vi trovò Manuel di spalle, intento ad infilarsi la tunica sul torso nudo: le lenzuola erano ancora sfatte e a quella vista Simone sentì la gola seccarsi.
Avvertendo uno sguardo su di sè, Manuel si voltò nella sua direzione e fece quasi male fisicamente il sorriso che gli si aprì in volto vedendolo.
Simone se ne stava in piedi sull'uscio, con quel singolo fiore di gardenia tra le dita e teneva lo sguardo basso.
Non appena il maggiore notò il viso dell'altro, abbandonò la tunica sul letto e lo raggiunse a grandi falcate. Gli prese il viso tra le mani e cominciò a strofinare i pollici sulle guance bianche, quasi a voler cancellare il fantasma delle lacrime passate.
"Che è successo? Stai bene?"
Glielo chiedeva così spesso, che Simone cominciava a pensare che l'amore si misurasse con la preoccupazione, quando per tutta la vita aveva pensato si misurasse col denaro. Manuel gli insegnava così tanto, che il solo pensiero di non potersi più specchiare nei suoi occhi lo dilaniò e fece scendere un'altra lacrima sulla gota, che l'altro raccolse prontamente col pollice.
"Amore mio, parlami, parlami"
Cercava i suoi occhi e come poteva Simone tirarsi indietro, di fronte a quella sincerità disarmante? Manuel era stato la verità che lo aveva risollevato dal suo liquame di iniquità e lo avrebbe fatto sempre, anche se solo nei ricordi.
"Hanno ufficializzato il matrimonio" esalò, e vide qualcosa spezzarsi negli occhi dell'altro, qualcosa che, ne era certo, quella stessa mattina si era spezzata anche nei suoi.
Non parlò, Manuel, e quindi Simone circondò anche il suo viso in una carezza che, davvero, sapeva d'amore.
"Io me ne devo andare, Manuel."
Gli occhi del più basso erano persi, e ricercavano la strada in quelli dell'altro, che tentava come poteva di tenere a galla entrambi.
"Cosa?"
Simone deglutì, umettandosi le labbra secche.
"Me ne devo andare da Firenze" sussurrò "Non posso sposare Agnese. Non me lo merito e non lo merita nemmeno lei. È una brava donna, Manuel, vuole solo essere felice. Io la mia felicità l'ho trovata quando ho incontrato te, con che dignità sposo lei? Come faccio a giurarle il mio cuore davanti a Dio, quando l'ho già dato a te?"
Ricominciò a piangere e solo quando le dita gli si fecero umide, notò la lacrima solitaria che aveva lasciato gli occhi dell'altro.
"La mia famiglia non si merita che gli faccia questo, e forse ad Agnese faccio più male che bene. E tu, tu, non ti meriti che io sia qui a dirti queste cose, ma non potevo andarmene senza dirtelo, lo capisci?"
Baciò le guance di Manuel e sentì sulle labbra screpolate il sapore salato di quell'unica lacrima. Serrò le palpebre e gli lasciò il viso.
Fece per voltarsi, ma Manuel gli trattenne la mano.
"Te ne vai e decidi senza dirmi niente?"
Quel tono serio e quello sguardo basso scossero Simone dal fondo dello stomaco.
"Te lo sto dicendo."
"Ma non hai chiesto cosa volessi io, in questa storia."
Simone non capì, scosse la testa e Manuel interpretò subito il suo gesto, perché ormai lo conosceva; lo conosceva come Agnese non avrebbe mai potuto, lo conosceva forse anche più di suo padre, che evidentemente non l'aveva mai guardato: Simone era un libro aperto d'emozioni e Manuel le aveva imparate tutte a memoria, come fossero versetti della sua personalissima Bibbia.
"Io vengo con te, Simone."
Il corvino sgranò gli occhi e scosse la testa violentemente, ingoiando il magone che gli si era formato in gola. Strinse il braccio nudo di Manuel e se lo tirò più vicino.
"Non ti chiederò di lasciare il lavoro che ami, la tua arte, la bottega, la tua famiglia, solo per seguirmi in qualcosa che probabilmente non finirà mai bene."
Manuel gli scostò la mano e in un altro momento gli avrebbe detto quanto amava quel suo modo di essere fermo ed autoritario, ma in quel preciso istante si limitò a spingerlo leggermente.
"Ed è per questo che non me lo stai chiedendo. Ma non puoi nemmeno chiedermi di andare avanti come non t'avessi mai incontrato, ora che ti ho trovato. Che me ne faccio dell'arte se perdo la passione e l'ispirazione? Cosa pensi? Che non vivrei una bugia anche io?"
Simone non aveva mai smesso di piangere silenziosamente, mentre si asciugava furioso le lacrime con i palmi delle mani e continuava a scuotere il capo in diniego.
"Ma potresti avere una famiglia, potresti essere felice, tu potresti."
Manuel gli circondò di nuovo il viso con le mani, prese a carezzargli le guance delicatamente, costringendolo a guardarlo negli occhi.
"Forse prima di conoscere te, avrei potuto, sì. Ma adesso non più. Non dopo aver conosciuto le tue labbra, le tue guance rosse, i tuoi occhi sinceri. Non dopo la tua insopportabile supponenza. E non dopo averti visto con Caterina. Dopo tutto questo, io non potrei mai vivere una vita con qualcuno che non sia tu, Simò, lo capisci? Non potrei vedere nessun altro nel modo limpido in cui vedo te."
E Manuel sorrise, mentre continuava a carezzargli il viso e gli guardava gli occhi lucidissimi, che forse non erano mai stati così grandi.
Se lo tirò vicino e gli posò un bacio leggero sulle labbra, Simone gli strinse i fianchi e posò il viso nell'incavo del suo collo, calmando cuore e respiro.
Il maggiore gli sfilò il fiore dalle dita che ancora lo tenevano stretto e lo portò vicino al viso, senza sciogliere l'abbraccio.
"È per me che l'hai preso?"
Simone annuì, sfiorando con la punta del naso la pelle dell'altro.
"È bellissimo"
Gli occhi di Simone gli si pararono davanti lucidi e rossi.
"Può funzionare? Tutto questo, possiamo riuscirci?"
Manuel lo guardò negli occhi e si promise che, nonostante i dubbi e le incertezze, avrebbe dato all'altro sempre solide convinzioni, lo avrebbe sostenuto, perché a volte tutto ciò di cui si ha bisogno è la flebile fiamma della speranza, anche quando non sembra poter esistere.
"Lo faremo funzionare, va bene?"
Simone annuì e il timido sorriso che gli comparve sulle labbra secche dissipò ogni remora che avesse attraversato la mente dell'altro.
"Ma con la bottega come farai? Lasciare la maestranza del Buonarroti è una follia."
"Simone, io posso scolpire ovunque. Le commissioni non mancheranno e se anche dovessi finire ad intagliare legno, cosa vuoi che importi quando ho te?"
Il minore si accigliò e lo spinse leggermente.
"Non voglio che rinunci all'amore della tua vita per me, non ti chiederò questo."
Manuel gli sorrise di nuovo e, dopo aver guardato le sue labbra, tanto vicine e strette in una linea sottile, gli lasciò un altro bacio leggero.
"Non rinuncerò a nessuno dei miei amori. Te lo prometto, in qualche modo faremo. Io scolpirò e tu avrai la vita libera che hai sempre voluto. Potresti coltivare quelle erbe officinali che ti son sempre piaciute, no?"
La prospettiva di una vita semplice, di un futuro tangibile in cui alla sera avrebbe trovato Manuel accanto a sè, lo fece fremere dalle ginocchia e l'unica cosa che il magone in gola gli consentì di fare, fu di annuire mentre si morderva il labbro tremante.
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Anima Mea
Fanfiction1557 - Simone è figlio di un'importante casata fiorentina; Manuel va a bottega da uno dei più geniali artisti del tempo. Si incontreranno e tutto acquisirà un nuovo senso. La storia prende spunto da un Tweet. Non l'ho mai ritrovato.