Il sole splendeva timido tra le nuvole bianchissime, quella mattina.
Manuel rideva, mentre attraversava lento l'erba alta e si trascinava per la mano Simone, che continuava a lamentarsi del caldo, del sudore, della vegetazione troppo fitta, ma intanto rideva insieme all'altro.
Simone stringeva quella mano come se fosse la sua unica ancora e intanto si chiedeva come avesse fatto a privarsi di quella stretta salda per ben diciannove anni di vita.
Guardava Manuel ridere buttando la testa indietro, esponendo il collo sottile e cercò di cristallizzare quell'immagine, perché magari non avrebbe mai assaporato la sua pelle, ma ne avrebbe custodito il ricordo sempre, come un poeta innamorato della luna irraggiungibile.
"Smettete di lamentarvi e respirate invece! Non lo sentite che nell'aria non c'è il solito fetore della città? Non l'udite, la quiete? E non la vedete, la bellezza?"
Ed era vero, quel piccolo prato che stavano attraversando era forse uno dei paesaggi più belli che avesse mai visto, più bello anche della distesa della città fiorentina che poteva ammirare dalla finestra della sua stanza.
A completare il quadro, c'era Manuel che, come la luce di una candela nell'oscurità, lo guidava con la sicurezza di chi quella strada l'aveva percorsa tanto da scavarne un sentiero.
"Siamo quasi arrivati", Manuel si voltò verso il giovane che, in silenzio religioso, lo seguiva e lo ammirava; si sorrisero, e Manuel lo tirò un po' di più.
Il peso della mano di Simone nella sua era quasi rassicurante, come una zavorra che impediva di volare in un cielo sconosciuto: avrebbe preferito non doverla lasciare mai. Tuttavia, arrivarono ad un piccolo spiazzo e Manuel lo lasciò, per permettergli di avanzare ed ammirare quel piccolo angolo di pace.
Doveva essere un punto di ristoro per i cavalli, qualche tempo prima, perché vi era un abbeveratoio accanto alla grande fontana centrale parzialmente coperta dal muschio.
Una grande quercia faceva ombra alla costruzione e stendeva i suoi rami imponenti su gran parte dello spiazzo, tra la cui pavimentazione ormai sconnessa si facevano strada ciuffi d'erba irriverenti.
Sulla fontana un cardellino cinguettava e immergeva il becco nell'acqua incredibilmente limpida e Simone poté giurare di aver visto con la coda dell'occhio una lepre che si infilava in una buca dietro l'abbeveratoio. Poco distante un cespuglio di mirtilli svettava selvatico e i suoi frutti bluastri avrebbero fatto gola a chiunque, tanto che Manuel si avvicinò e ne staccò alcuni.
Tornò da Simone con un gran sorriso e gli porse alcune bacche, che l'altro accettò ricambiando il sorriso.
"Allora? Vi piace?"
Aveva la bocca piena e le labbra arrossate dal succo, quindi Simone fece decisamente fatica a concentrarsi sulla domanda, indeciso se trovarlo adorabile o tentatore come il più infido dei demoni.
Abbassò lo sguardo prima che l'altro si accorgesse del modo in cui non riusciva a smettere di guardare le sue labbra; si concentrò invece sul cardellino che sembrava non badare a loro e sulla fontana diroccata, il cui bordo era leggermente crollato sotto il peso di chissà quale intemperia.
L'acqua continuava però a sgorgare da un vaso che una ninfa scolpita con le braccia rovinosamente rotte, sorreggeva ancora dopo chissà quanto tempo.
"È bellissimo, non avevo idea che questo posto esistesse."
Manuel lo guardò di nuovo, tra le labbra un'altra bacca.
"È perché ora finalmente avete aperto quella gabbia d'oro."
E non credeva possibile, Simone, che una semplice frase fosse capace di dissolvere l'enorme peso che sentiva gravare sul petto da tutta la vita.
Era così pieno della consapevolezza che, per la prima volta, aveva fatto qualcosa che esulasse quel nome tanto pesante, che sentì gli occhi farsi un po' lucidi.
L'altro ragazzo aveva raggiunto la grande quercia e si era abbandonato alle sue radici, appoggiandosi come un viaggiatore stanco.
"Sapete, nella vita ho sempre pensato di non avere un posto e lo cercavo ovunque e in chiunque. A volte, vi confesso, sento ancora questo pensiero."
Stava giocando con un filo d'erba, se lo passava lentamente tra le lunghe dita affusolate irrimediabilmente macchiate e callose.
Intorno a loro, il frinire delle cicale era forte.
Simone si avvicinò lento e si sedette accanto a lui; trattenne il respiro mentre poggiava la mano accanto a quella dell'altro e, lentamente, due dita andarono a coprire le altre, che tremarono un attimo e poi ricambiarono la stretta.
In quell'intreccio, Simone trovò le parole.
"Forse dovete solo aprire gli occhi, guardare meglio, e vedere che siete già dove dovreste essere."
Manuel alzò lo sguardo, gli occhi grandi e lucidi che andarono a scrutare quel viso che conosceva a menadito, anche se lo aveva visto per la prima volta solo pochi giorni prima: nonostante questo, avrebbe saputo indicare la posizione esatta di ogni neo, riconoscere subito la curva delle labbra e la piccola ruga al centro delle sopracciglia; annuì e strinse di più quelle due dita.
"E voi?"
Simone, coraggioso come non lo era mai stato, prese a giocare con quelle dita tra le sue e Manuel guardò quel movimento, mentre si accomodava di più con la schiena a quel tronco e irrimediabilmente, poggiava la spalla a quella dell'altro: la sua camicia di cotone sfregò la sopravveste scura decorata dell'altro, e quasi la sentì sulla pelle.
"Io?", esalò il più giovane, poggiandosi a sua volta.
"Il vostro posto lo avete trovato?"
Simone deglutì e lo guardò con un sorriso amaro che Manuel avrebbe voluto stendere con la punta delle dita, ma si limitò a scrutarlo dal basso, tra le ciglia, attendendo una risposta.
"Io un posto l'ho sempre avuto, solo che non vedevo l'ora di uscirne. Credo che voi mi abbiate aperto la porta e io abbia colto l'occasione."
Manuel annuì e, incoraggiato dall'altro che continuava a sfiorargli le dita, portò l'altra mano a saggiare la consistenza di quei ricci scuri e lo vide socchiudere gli occhi, come immediatamente rilassato da quel semplice gesto.
Le fronde della quercia disegnavano un gioco di ombre su quella pelle candida e Manuel portò le dita a seguire quel disegno, leggerissime, come timoroso di macchiare quello che ai suoi occhi era già il più degno di tutti i capolavori.
"Manuel..", quel nome esalato sembrava quasi un avvertimento, un segnale d'emergenza, perché da quel momento non sarebbero più tornati indietro: non c'era rimedio a quel gesto.
Manuel lo zittì delicatamente, la punta delle dita ora sulle labbra rosse.
Ci mise poco a sollevare il busto e a poggiare la bocca dove un attimo prima teneva i polpastrelli. Sentì Simone trattenere il fiato e Manuel si sarebbe staccato, gli avrebbe dato l'occasione di alzarsi e lo avrebbe persino guardato andare via sconcertato, se non fosse che la mano di Simone andò a stringergli la camicia e lo avvicinò di più a sè, come se volesse farli diventare uno.
Quel bacio poggiato, quel respiro condiviso, si tramutò subito in una passione che non credeva nemmeno di poter provare.
Sentiva Simone fremere, mugulare di aspettativa, mentre con la punta della lingua sembrava gustare il più raffinato dei banchetti.
Le mani del maggiore vagavano sul collo niveo, fino a finire sui ricci della nuca, gli inarcava il collo per farselo più vicino e gli carezzava la guancia, riverente come un fedele.
Fu un bacio lungo, interrotto solo dalla necessità di respiro, quando Manuel si trovò a sovrastare quel corpo marmoreo con il busto, e gli scappò una piccola risata a cui presto si unì anche il corvino.
Aveva quest'espressione sorpresa, Simone, come se avesse appena scoperto qualcosa di eccezionale, la stessa scintilla negli occhi di quando si immergeva in uno dei suoi amati tomi.
"Erano giorni che volevo farlo", gli sussurrò Manuel, mentre gli lasciava un bacio casto sul mento rasato.
Simone gli carezzò la guancia ispida e gli sorrise.
"Ma se mi avete conosciuto qualche giorno fa"
Manuel si tirò su per fronteggiarlo.
"Siete conscio del vostro aspetto, giusto?"
Simone rise e tornò ad intrecciare le loro dita.
"Quindi è questo che sono per voi, un corpo."
Il maggiore gli si fece più vicino e gli lasciò un bacio a fior di labbra.
"Molto più di questo, signore mio."
Simone si portò le sue dita alle labbra e cominciò a baciarle una ad una mentre non abbandonava mai il suo sguardo, incantato.
"Non avevate detto che volevate ritrarmi ancora?"
Manuel si lasciò sfuggire un'altra risata.
"Non ditemi che comincia a piacervi, il ruolo di modello."
Simone gli lasciò la mano per afferrare la borsa che l'altro aveva abbandonato accanto a loro.
"Quando siamo soli come ora, non mi dispiace per nulla il modo in cui mi scrutate."
Gli porse la borsa e Manuel sbuffò una risata, mentre scuoteva leggermente la testa, quasi incredulo.
Srotolò il borsello di cuoio e, mentre sceglieva la stecca di carboncino in stato migliore, si chiese come fosse possibile innamorarsi di qualcuno in così poco tempo.
Alzò lo sguardo, sorrise a Simone e gli spiegò come sistemarsi.
Gli diede un ultimo sguardo di piacere e poi cominciò a tratteggiare sulla pergamena un po' sgualcita.
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Anima Mea
Fanfiction1557 - Simone è figlio di un'importante casata fiorentina; Manuel va a bottega da uno dei più geniali artisti del tempo. Si incontreranno e tutto acquisirà un nuovo senso. La storia prende spunto da un Tweet. Non l'ho mai ritrovato.