Rosso

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Agnese era seduta all'ombra di un salice, su una panchina di legno, nel giardino luminoso di Palazzo Balestra; si faceva aria con un piccolo ventaglio, anche se non ce n'era realmente bisogno, considerate le temperature. Era forse semplicemente un modo per occupare occhi e mani, considerato che la persona accanto a lei non aveva ancora detto una parola.
Simone era in piedi, in posa impettita, ma guardava le pietruzze del selciato come se contenessero il segreto dell'universo.
Aveva guardato Agnese forse tre volte, solo per accertarsi che lo stesse seguendo nei corridoi intricati del palazzo; avrebbe dovuto usare quel tempo per conoscerla, farle delle domande, farle conoscere la dimora che un giorno sarebbe stata anche sua, ma il solo pensiero gli faceva rivoltare lo stomaco.
Un po' gli dispiaceva anche, perché Agnese sembrava una brava ragazza, gli sorrideva spesso in modo un po' disperato, come a ricercare approvazione nel suo sguardo; sguardo che comunque non incrociava mai il suo.
Anche lei si dedicò a fissare il selciato, quando notò un piccolo bruco che a fatica arrancava alle pendici dell'albero.
"Mi hanno sempre affascinata", il tono che usò fu leggero, come fosse persa nei suoi pensieri. Ad udire quella voce che spezzò il silenzio, però, Simone si ridestò.
"Hm?", non si degnò nemmeno di articolare una domanda, tanto reputavo inutile quell'incontro.
Un piccolo sorriso incurvò le labbra rosee della ragazza. Simone notò per la prima volta un piccolo neo proprio al centro dell'arco di Cupido.
"Mio padre voleva che mi formassi nel cucito, nel portamento e nella danza, voleva che fossi la nobildonna perfetta, perché la grande corte di Milano necessitava di un erede e se proprio non potevo essere un uomo, come minimo avrei dovuto diventare la sposa perfetta."
Si alzò dalla panchina e, sorprendendo Simone, si abbassò sulle ginocchia, il vestito di stoffa preziosa si allargò sul terreno sporco come una macchia d'olio; si mise all'altezza del bruco e lo osservò da vicino. Simone si limitava a guardarla con un cipiglio confuso.
"A me, però, non è mai piaciuto il cucito. Spesso mi pungo con l'ago e il telaio mi stanca le braccia, la mia levatrice non fa che dirmi quanto io sia goffa. Da bambina però, mi piaceva andare in giardino e osservare la vita intorno a me. Come questo bruco, che arranca per arrivare al suo albero, al cibo che tanto anela. Affascinante, non trovate?"
Simone guardò per la prima volta il piccolo bruco che, indisturbato, continuava la sua corsa. Nessuno lo avrebbe ostacolato nell'arrivare al suo albero e, quindi, si ritrovò ad invidiarlo un po'.
"Perché non avete chiesto a vostro padre di studiare testi di botanica?"
Ad Agnese sfuggì una risatina e, per un attimo, i loro occhi si incontrarono.
Il silenzio intorno in quel momento non era pesante, ingombrante, ma sembrava una piacevole compagnia.
Simone abbassò lo sguardo e la risata si affievolì sulle labbra della ragazza.
"Ma allora parlate! Me ne compiaccio."
Le guance di Simone si arrossarono un po' per la vergogna d'essere stato ripreso per il suo comportamento, seppur bonariamente, da una sconosciuta.
Di solito era così impeccabile, ma in quel momento era difficile rimanere stoici.
"Comunque si vede bene che non siete una donna, signore mio. Che bizzarra domanda, avete fatto."
Agnese aveva ancora il sorriso ricurvo sulle labbra, ma in quel momento assunse un accezione amara e Simone si pentì di aver aperto bocca, quindi si strofinò le mani sudaticce sui calzoni e pregò che quell'incontro finisse presto.
Tuttavia, era di buon cuore e non poté non notare come gli occhi di Agnese scintillassero mentre guardava quel piccolo esserino strisciare via.
"Ho dei libri che trattano questi argomenti, se vi aggrada, posso farveli avere."
Agnese alzò lo sguardo e gli occhi le si fecero malinconici.
"Sapete, nessuno mi aveva mai offerto un libro in regalo, lo apprezzo molto."
Simone scosse le spalle, a disagio, perché non sapeva bene cosa pensare.
Agnese allungò una mano e sfiorò la sua, che Simone ritrasse immediatamente, quasi scottato.
Il sorriso di lei si fece dolce, gli occhi comprensivi.
"Chi è lei?"
Il ragazzo sbarrò gli occhi e lei si mise a sedere sul terreno: Simone non poté non pensare che chiunque li avesse visti, avrebbe pensato ad una situazione sconveniente.
"Lei?", balbettò, credendo di non aver capito bene.
Agnese si lasciò andare ad una piccola risata che però aveva poco di divertito: sembrava malinconica come i suoi occhi.
"Sì, lei, la donna di cui siete innamorato, perché mi sembra chiaro che il vostro cuore non sia libero."
Simone scosse la testa e non poté reprimere il sorrisino amaro che gli affiorò alle labbra.
"Non c'è nessuna lei."
Non era una bugia, gli venne naturale pronunciare quelle parole. Non ci sarebbe mai stata nessuna lei. Perché nessuna donna poteva eguagliare il calore della mano di Manuel e nemmeno la comprensione profonda che avevano raggiunto in appena qualche giorno.
Nessuno avrebbe potuto fargli vedere il cielo colorato come aveva fatto lui e il fatto che di lì a breve avrebbe dovuto rinunciare a tutto, gli stringeva il cuore ogniqualvolta ci pensava.
"Allora è un lui?"
La voce di Agnese era così ingenua, gentile, che quasi contrastò con l'espressione di Simone, che strabuzzò gli occhi, quasi terrorizzato.
"Cosa state insinuando?"
E Simone non era mai stato aggressivo con nessuno, ma il gelo di quel tono gli scaturì automaticamente dalla gola, come un fiume in piena, perché non poteva tollerare che qualcuno si inserisce in un segreto così intimo, in una cosa così sua, addirittura da carpire un dettaglio che credeva di aver nascosto alla perfezione.
"Siete innamorato, questo lo vedo, ma non vi forzerò ad ammetterlo se non è quello che volete."
Agnese si tirò su agilmente, una mano corse a spolverare la gonna del vestito, nella vana speranza che la terra bruna non l'avesse macchiata.
"Io-", prima che Simone potesse imbastire una qualsiasi scusa, Agnese lo fermò con un gesto educato della mano.
"Quando vi ho visto la prima volta, ho davvero sperato che poteste essere un buon compenso. La mia libertà per un matrimonio, non è forse questo lo scambio che mio padre mi ha imposto? Ma quando ho visto i vostri occhi buoni, ho pensato che almeno avrei trovato qualcuno che conosceva la bontà e la lealtà dall'altro lato. Tuttavia, non voglio dare fiducia a chi la sincerità non sa come gestirla. Vogliate scusarmi."
Si avviò verso l'entrata del giardino, con passo aggraziato, ma guardando sempre dove metteva i piedi, memore della sua goffaggine.
Simone ingoiò il nodo che gli stringeva la gola e le afferrò un gomito per fermarla.
"Aspettate, per favore, aspettate"
Agnese si voltò verso di lui ed alzò il mento, come in attesa, mentre incrociava la braccia al petto.
Simone la condusse a sguardo basso verso la fontana, premurandosi però di accomodarsi dal lato opposto rispetto a quello dove si era seduto con Manuel.
La ragazza si sedette sul marmo candido ed aspettò che l'altro prendesse la parola.
Simone si guardò intorno, guardingo e poi fronteggiò la ragazza.
"Potrei aver sviluppato delle- preferenze, diciamo, che i più considererebbero sbagliate, addirittura blasfeme."
Respirò affannosamente come se avesse appena corso, per lo sforzo di aver dato voce ad uno dei suoi più intimi segreti, tanto intimo da non averlo pronunciato ad alta voce nemmeno con se stesso.
Agnese lo sorprese, quando gli prese una mano tra le sue.
"Non posso pensare che in questo mondo l'amore abbia qualcosa di sbagliato. E chi voi scegliate di amare, non è affar mio."
Gli occhi di Simone si fecero lucidi, mentre stringeva quelle mani a sua volta, compreso per la prima volta da un altro essere umano.
"Vi ringrazio. E scusatemi."
Agnese ridacchiò, mentre si alzava e cominciava a volteggiare sulle note di una musica che nessun altro poteva sentire.
"Di cosa vi scusate? Nemmeno mi conoscevate."
Gli afferrò una mano e lo tirò verso sé, coinvolgendolo in una piroetta incerta che fece ridere entrambi, come Simone non faceva da giorni. Il viso gli sembrò meno scavato, le occhiaie meno pronunciate, il colorito meno spento, quando si lasciò contagiare da quella bizzarra allegria che nemmeno aveva motivo di esistere.

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