Capitolo 19

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"Ma anche io ho fatto così amore?" mormoro a mezza voce rivolta verso Ignazio quando sento le urla di Elisa che sta partorendo Andrea, il bambino suo e di Piero.
"No amore, tu mi hai giurato di staccarmi le palle se mi fossi avvicinato di nuovo a te."
"Ah! Oddio effettivamente tutti i miei torti non avevo...!" veniamo interrotti da un Piero travestito tutto di verde con un piccolo fagottino azzurro tra le mani.
"È nato ragazzi. È nato." ci sorride piangendo e si avvicina per farci vedere la sua cosa più preziosa.
"È stupendo Piero." sorrido con gli occhi lucidi davanti a quel visino minuscolo. Sembra disegnato a matita, tanto è piccolo, delicato e perfetto.
"Auguri papà!" Ignazio scruta bene il piccolino sorridendo al suo amico.
"Elisa?"
"Le stavano mettendo i punti." sorride un po' frastornato. "Mi hanno fatto uscire. Tra poco dovrebbero portarla al blocco parto. Li potete vederla." ci sorride un attimo e poi torna a concentrarsi sul suo bambino. Ci siamo solo io ed Ignazio qua, visto che Andrea ha deciso di nascere in piena notte una settimana prima del giorno previsto.
"Piero?" un'infermiera lo richiama.
"Si?"
"Potete entrare. Elisa è pronta." ci sorride e sparisce.
"Andiamo." Piero si incammina verso una porta e noi lo seguiamo in religioso silenzio. Trepidanti e ansiosi di vedere Elisa. Di vederla nella nuova veste che l'accompagnerà per sempre. L'essere mamma.
"Siete ancora qua..." ci sorride stanca, ma nonostante tutto le vedo il viso molto felice. Felicità che al momento le invidio quasi. Invidiare nel senso buono della parola, sia chiaro.
"Certo. Ti pare che vado a casa quando la mia amica partorisce?"
"Grazie. Amore, me lo dai a me e mi vai a prendere una bottiglietta di succo insieme ad Ignazio?"
"Certo, come lo vuoi?"
"Albicocca." mormora ed io sento lo stomaco in subbuglio al solo sentir nominare quel frutto.
"Okay. Tieni." sussurra Piero mettendole tra le braccia il piccolo. Elisa gli sorride e lui lascia la stanza trascinandosi dietro Ignazio.
"Rebe." mi chiama dopo un minutino scarso.
"Dimmi."
"Prendilo tu. Mi fanno male le braccia."
"Elisa... io non..."
"Ti prego. Mi sta cadendo." mi supplica e quando vedo le braccia che stanno per cederle d'istinto mi avvicino e prendo il bimbo in braccio.
"Oddio." deglutisco. "Che cazzo ho fatto?" sussurro a me stessa. È la prima volta che prendo in braccio un bambino così piccolo dopo Margherita. Un senso di nausea profondo mi assale ma nel frattempo non riesco a pensare di posarlo nella culla.

*Pov Ignazio*

Mi sento afferrare una spalla e bloccare sulla porta.
"Lasciala stare. Ci sta riuscendo." mi sussurra il mio amico e collega, appena diventato papà del piccolo bimbo che sta comodamente in braccio a mia moglie. Apro la bocca per dire qualcosa ma non so cosa potrei dire. Elisa ci ha visti ma non dice niente ed io non riesco a distogliere lo sguardo dalla bellezza che emana Rebecca con in braccio un bambino. Mi prendo qualche altro attimo per riempirmi gli occhi e il cuore di questa visione paradisiaca e poi mi avvicino silenziosamente a Rebecca che tiene ancora stretto tra le braccia Andrea.
"Rebe."
"Ei." mormora sottovoce, poi si gira, aspetta che Piero dia il succo ad Elisa e gli mette il bambino in braccio. Di fretta, come se il piccolo le scottasse la pelle.
"Tutto okay?" le chiedo e lei annuisce soltanto.
"Ragazzi, vi dispiace se andiamo via? Sono distrutta."
"No certo, tranquilla." le sorride Elisa.
"Tanto torniamo verso il primo pomeriggio." le sorride, e dopo una manciata di minuti siamo seduti in macchina.
"Scimmietta." le accarezzo una guancia quando mi accorgo che sta piangendo.
"Non posso più fare finta di niente." ammette singhiozzando.
"Di che parli Rebecca?" mi irrigidisco leggermente.
"Non mi noti diversa?" mormora.
"Mh... no. Dovrei?" le chiedo tentennando.
"Mi sento gonfia. E nervosa. E assonnata. Ho le tette che mi scoppiano da quanto sono tese." borbotta senza smettere di piangere.
"Rebecca..." sussurro con gli occhi sgranati.
"È già il secondo mese che mi salta il ciclo." ammette dopo qualche secondo.
"Pensi di essere incinta?"
"Si." e il mondo attorno a noi smette di esistere. Esiste solamente la probabilità, decisamente palpabile, di aspettare un figlio. Ancora. "Mi dispiace."
"Non lo dire nemmeno per scherzo. Perchè non me ne hai parlato prima?" mi viene d'istinto chiedere dopo qualche secondo di silenzio. Forse qualche minuto... altro che secondi.
"Non ci volevo credere nemmeno io. Ho rimandato l'inevitabile. Mi sento una cretina." scoppia a piangere di nuovo.
"Vai sempre dallo stesso ginecologo di Margherita?" chiedo.
"No."
"Allora, visto che sono le 8 di mattina andiamo dal tuo ginecologo e togliamoci il dubbio. Al poi ci penseremo quando sappiamo se effettivamente sei incinta oppure no."
"Okay."

L'amore non basta (quasi) maiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora