- Capitolo 5.

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#Myungsoo

Fissavo quel banco vuoto occupato solamente dalla sua borsa appesa a un gancio sul lato destro. Perché non era lì? Dov'era finita?
Il prof uscì per cercarla, non rispose all'appello mentre quella mattina c'era. Tutti iniziarono a bisbigliare strane voci, inventate ovviamente, avevano una fervida immaginazione. Una ragazza seduta davanti a me si alzò dirigendosi verso la finestra.
- Eccola! È insieme a un ragazzo.. ma chi è? - in un attimo si formò un gruppo davanti alla finestra non permettendo alla luce di filtrare.
- Yah! Spostatevi da quella cazzo di finestra. Mi state oscurando la vista. -
Non era mio solito incazzarmi in quel modo e urlare davanti a tutti ma cosa gliene importava di quella? Solo perché dovevano spettegolare a tutta la scuola? Quel caos si interruppe non solo dalle mie parole ma anche dall'entrata del prof. - Tornate ai vostri posti. Tu, Myungsoo! Prendi la borsa di Hani, portagliela, è in infermeria. - Mi puntò un dito contro il prof. Non potevo che obbedire anche se mi scocciava farlo.
Mi alzai creando rumore con la sedia che indietreggiava. Presi con forza la sua borsa facendo cadere qualcosa. Mi voltai, era una piccola agenda nera da cui cadde un biglietto. Li presi e, prima di metterli al suo posto diedi una sbirciatina. Era il biglietto per il pullman, notai il numero, "C16". Mi ricordai di dover recarmi in infermeria. Arrivai fuori la porta, per un attimo decisi di entrare poi sentii delle voci e prestai ascolto.
- La febbre non è alta ma con il freddo che c'è faresti meglio a non uscire. Ti faccio un permesso, vai a casa e riposa. - era la voce dell'infermiera.
Non sentii alcuna risposta, poi una voce maschile.
- Ci penso io a lei. I suoi genitori sono a lavoro, l'accompagnerò fino a casa e mi assicurerò che si corichi. -
Allora quella ragazza aveva ragione, si trovava davvero con un ragazzo. Spalancai gli occhi quando la porta si aprì e mi ritrovai di fronte Hani seguita a ruota da un ragazzo alto quanto me, carnagione chiara e uno sguardo ingenuo. Un bravo ragazzo, se così lo si poteva definire. Lo sguardo di Hani, invece, era tutt'altro che ingenuo, era sorpresa di vedermi e la sua carnagione era più chiara del solito, pallida. Si vedeva lontano un miglio che non stava bene per cui decisi di non fare storie, almeno quella volta. Lasciai cadere la borsa che avevo fra le mani ai suoi piedi e, senza dire una parola me ne andai. Tornai in classe, presi le cuffie e il mio quaderno di disegno e iniziai ad abbozzare qualcosa. Non avevo soggetti precisi da realizzare, disegnavo tutto quello che mi passava per la testa. Era un modo per esprimere le mie sensazioni e i miei stati d'animo. Sono sempre stato un ragazzo riservato e non amavo parlare di me agli altri, preferivo rinchiudere me stesso in dei bozzetti, delle semplici linee a matita in un quaderno. Guai a chi lo toccava, era il mio gioiellino.

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Aprii la porta di casa e, varcando la soglia sentii qualcosa rompersi. Non rimasi sorpreso, sapevo cos'era successo, sapevo chi era e non me ne importava. Ormai ci avevo fatto l'abitudine.
Mi recai in cucina, presi del ramen istantaneo e delle bacchette e lo mangiai in fretta. Ne presi un altro e un altro ancora, nel giro di dieci minuti finii tre confezioni di ramen. Eccolo che arrivava, i suoi passi facevano tremare tutta la casa.
- Myungsoo sei tornato. Che figlio di puttana, non vieni nemmeno a salutare tuo padre. - quella voce roca che ogni tanto odiavo mi arrivò ai timpani.
- Ma ti ascolti quando parli? Ti sei appena offeso da solo. - feci per gettare le confezioni di ramen ormai vuote. Mi incamminai per recarmi nella mia stanza che si trovava al piano di sopra ma la sua mano possente mi fermò per un braccio, la sua morsa era talmente stretta che mi faceva male.
- In salone, va a pulire. E non berti il mio whisky, ti taglio la gola. - scoppiò in una risata che voleva sembrare malefica ma non lo fu affatto e non fu nemmeno divertente. Tante volte avevo pensato che fosse un po' strano, molto strano. Tante volte avevo pensato di scappare e di chiedere aiuto perché sì, ero quasi spaventato da lui, ma tante volte avevo pensato di non doverlo fare perché lui era mio padre. Ripensandoci era semplicemente un uomo vedovo, con una voglia assetata di divertimento, un divertimento proibito alla mia età ma per la sua no. Aveva qualche rotella fuori posto, questo tutti lo pensavano, ma io riuscivo a capirlo, riuscivo a capire quanto la mamma gli mancasse e che lui indossava una maschera, una maschera che secondo lui l'avrebbe fatto sentire un duro e che l'avvrebbe aiutato ad affrontare quel mondo ancora più pazzo di lui.
- Tieni questi e non spenderli tutti per andare nei nightclub. - mi diede una manciata di soldi ma rifiutai.
- Non sono come te! E non mi servono, puoi tenerli. - Poi c'erano quei momenti in cui mi faceva incazzare a morte.
- Ho detto prendili! - mi urlò contro.
Quello sguardo da ubriacone si fece più serio, metteva i brividi. Distolsi lo sguardo rivolgendolo verso il basso e presi la manciata di soldi.
- Bravo figliolo. Vado a lavoro, come sai già torno tardi. Non aspettarmi. - mi passò una mano fra i capelli scompigliandomeli. Scossi la testa come per evitarlo. Erano già abbastanza disordinati. Come potevo odiarlo, lui era mio padre e nonostante fosse un po' pazzo, era capace di arrivare fino in capo al mondo per aiutarmi. Mi recai in salotto con uno straccio fra le mani. Di nuovo un bicchiere rotto e whisky dappertutto.
Dopo aver dato una ripulita, mi recai in camera. Non sapevo dove mettere piede, c'erano fumetti sparsi in terra e sulla scrivania mentre i vestiti erano in gran parte sul letto. Avevo l'abilità di tenere in ordine tutta la casa tranne la mia stanza. Quella era sempre confusa e disordinata, un po' come la mia mente, perciò mi trovavo a starci. Notai l'orario, era ora di andare a lavoro. Tra il mucchio di vestiti trovai quello che cercavo: un jeans nero, un maglioncino nero e una felpa con la zip nera. Per non dimenticare un berretto di lana dello stesso colore che mi teneva al caldo le orecchie. Presi il cellulare e le chiavi di casa e li poggiai nelle tasce della felpa. Ai piedi delle sneakers nere. Già! Il nero era il mio colore preferito.
Mi ritrovai davanti un edificio enorme, disteso per lo più in larghezza. All'esterno era arricchito con fiori, in gran parte di ciliegio e un enorme cartello impediva l'ingresso facilmente. C'erano segnate le bevande e i dolci tipici della caffetteria. Feci per spostarlo ed entrai, nessuno mi vide entrare e io ero solito salutare con un semplice gesto. Mi recai dietro il bancone, indossai il mio grembiule rosso fuoco e iniziai a ripulire un tavolo vuoto lasciato appena da due coniugi sulla cinquantina.
Quel lavoro non mi si addiceva e il colore del grembiule lo detestavo ma non mi rendeva felice sapere che mio padre doveva lavorare il doppio per prendersi cura di me, avevo l'età per poter essere autonomo o quasi.
- MYUNGSOO! - sentii urlare il mio nome. Era il capo. Pensai che fosse stato meglio non farlo attendere, quando urlava in quel modo era perché era successo qualcosa e non molto gradevole.
- Eccomi. - lo raggiunsi nello sgabuzzino.
- Ti avevo detto di chiudere la finestra con il lucchetto. Te ne sei dimenticato di nuovo.E ora guarda che cosa è successo. Ora questo disastro te lo scalo dalla paga. E PORTA QUEL GATTACCIO FUORI DALLA MIA CAFFETTERIA! -
C'erano chicchi di caffè e altre bevande sparsi dappertutto.
- Ma.. io ho chiuso la finestra. Questa volta l'ho chiusa davvero. - sapevo che era meglio non discutere con il capo in quelle condizioni ma era la verità, odiavo quando le persone cercavano di gettarmi nelle menzogne.
- Ah sì? E perché è aperta? E perché quel gattaccio è qui? -
-Io non so come sia potuto accadere ma davvero..- non mi diede il tempo di finire la frase, mi spinse fuori e gettò il gatto fra le mie braccia, che presi al volo.
Lo portai fuori, lo osservai per un po' prima di lasciarlo libero. Era nero, cupo e i suoi occhi erano gialli ma non gialli come la luce de sole, un giallo più intenso e nei contorni sfumato in un rosso. Non avevo mai visto degli occhi così. Ne rimasi basito. Il suo corpo esile si reggeva appena sulle quattro zampe anch'esse esili. Lo accarezzai inarcando le labbra in un lieve sorriso. Il suo pelo era davvero morbido. Non avevo idea di come ci fosse finito lì dentro ma di certo non era lì per fare del male.
Ritornai in caffetteria, nel giro di pochi minuti l'atmosfera si fece più calda, le persone erano tante, quasi tutti i tavoli erano occupati e io ero solo a servili per cui feci una fatica immensa.
Delle mani si posarono sulle mie spalle e un peso si caricò su di esse facendomi inarcare la schiena sul vassoio pieno che avevo fra le mani.
- YYAH! Aish.. -
Quando fui ormai libero mi voltai.
- Yeri! - rimasi sorpreso. Di pomeriggio non veniva mai, doveva sempre studiare. - Yah! Ma sei scema? Non vedi è che pieno? - la rimproverai.
-Yah! - mise il broncio. - Non sei contento di vedermi? - ritornò a sorridere.
Mi recai al tavolo per servire le bevande sul vassoio per evitare altri inconvenienti. Yeri mi seguiva. Poi mi voltai. - Certo che sono contento di vederti. - le diedi una pacca sulla testa.
- non sembri affatto contento, idiota. -
- ma sì che lo sono..- la vedevo tutte le sere, come potevo essere contento di vederla?! Era ormai un'abitudine.
- Aish.. - se ne andò un po' arrabbiata.
- AAAAH! - urlò dallo sgabuzzino.
Corsi da lei per vedere cosa fosse successo.
- Perché urli? Ti sei fatta male? - il cuore batteva a mille dallo spavento ma quando la raggiunsi era tutto in ordine e nessuno stava per morire dissanguato.
- perché cazzo urli?- mi incazzai.
- Dov'è? Ho cercato dappertutto!- continuava a guardarsi intorno poi mi rivolse uno sguardo che metteva i brividi e mi puntò un dito contro.
- Tu! Dov'è? L'hai nascosto per far sì che mio padre non lo trovasse. Vero?-
Di cosa stava parlando? Non capivo..
Poi come un colpo di fulmine mi si rinfrescò la mente e riuscii a comprendere.
- Cosa? Sei stata tu? Hai portato tu quel gatto qui? Ma sei scema? Tuo padre mi ha quasi cacciato a calci. -
Si rattristò. Mi guardava con quel dolce sguardo che riusciva a non far incazzare nemmeno il più stronzo della Terra.
- E va bene. Non dirò nulla a tuo padre. Ma se lo rifai giuro che ti ammazzo. Stavo per perdere il lavoro a causa tua. - non ero per niente ironico.
Mi abbracciò e ritornò a sorridere in pochi secondi.
- Ok, ora basta. Devo tornare a lavoro. - mi liberai dalla presa e mi recai a ripulire gli ultimi tavoli rimasti.
- Yah! Ora il mio gattino dov'è? - mise il broncio.
-Tuo padre mi ha costretto a cacciarlo via. -
- Cosa? - dopo una pausa ricominciò - Trovamelo! -
-Eh? Ma sei scema o cosa? Potrebbe essere ovunque. -
- Ti darò una mano. -
-Oh grazie. Sei di grande aiuto. Scordatelo. -
- Yaah! Almeno promettimi che se lo trovi per caso, non lo lasci marcire in strada. Portalo con te. A casa tua tuo padre non c'è mai. -
- Eh? Ma sei pazza proprio. -
- Myungsoo oppa! Yaah. - era appiccicata a me come una colla e non mi permetteva di muovermi.
-Yah! Sto lavorando. Ti stacchi? - dopo alcun cambiamento - Va bene, lo farò. Ma solo se lo trovo per caso. Scordati che passi la notte a cercarlo. Ora levati. -
- Yeees! Come sei antipatico oppa. -
- Non chiamarmi così. Guarda che cambio idea subito. -
- Nonono! Faccio la brava.-
Le sorrisi. Non era mio solito sorridere ma con lei lo facevo spesso. Già! Nonostante fosse una bambina viziata con lei stavo bene, riuscivo ad essere me stesso e a farle conoscere anche il lato più profondo e dolce di Myungsoo. Solo con lei, perché ci somigliavamo. Anche lei, come me aveva sofferto tanto, ma anche lei aveva un padre che le voleva bene e voleva solo il meglio per sua figlia. Ma a differenza mia, lei riusciva a sorridere anche nei momenti più bui. Per questo le volevo bene.
Anche quella giornata di lavoro arrivò al termine, date le 9.30 decisi di avviarmi verso casa e di dare un'occhiata agli appunti durante il tragitto. Lo studio non era proprio il mio forte. Mentre Yeri attendeva suo padre, che era appena tornato da una commissione, e stava chiudendo la caffetteria. Mi sorrideva e mi salutava con una mano ma non le prestati attenzione. Mi voltai e proseguii poi mi pentii del gesto meschino che avevo appena fatto così, senza voltarmi, alzai un braccio per ricambiare il saluto.
- Aigoo! Che freddo! - mi strinsi nelle spalle mentre le parole pronunciate formavano delle nuvole create dal gelo.

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Saalve! Sono ancora viva, eh già. Perdonatemi se ci ho messo tanto a pubblicare, non sono riuscita a farlo prima. D:
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento. Non riuscirò a pubblicare il prossimo capitolo molto presto, perdonatemi anche per questo.
Intanto commentate e votatee!
Alla prossima~

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