Scarpe bucate

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«Manuel.»
«Simò…»
«Cosa ci fai qui?»
«Mi ha invitato Alvise.»
«Perché?»
«Abito qui accanto, siamo amici più o meno.»

Dario osserva quello scambio di battute con un sopracciglio alzato. Simone sembra essere diventato una statua di marmo ed è improvvisamente sbiancato, come se avesse appena visto un fantasma. Il ragazzo davanti a loro è Manuel, Manuel è il fratellastro di Simone e, dopo il discorso che hanno fatto al ristorante, può capire il cambiamento d’umore del suo fidanzato.

Per sbloccare quella situazione imbarazzante, mette su un bel sorriso e si presenta.

«Oh quindi tu sei il fratellastro di Simone? Che coincidenza trovarti qui! Io sono Dario, il suo fidanzato.»
«Sì, piacere. Venite, Alvise è in cucina.»

Simone non emette un fiato e fa finta di ignorare il piccolo sussulto di Manuel alla parola fidanzato.
Deve ignorarlo, non può soffermarsi su dettagli sciocchi come quello.

Casa di Alvise è proprio come ci si potrebbe immaginare l’abitazione di uno scrittore. Chissà se anche l’appartamento di Manuel è simile. Chissà se anche lui, in questi anni di lontananza, ha messo su una collezione di libri simile a quella dello zio di Dario.
“Smettila Simone, resta concentrato.”
Deve ripeterselo più volte per tutta la durata del pranzo.

Manuel è cambiato, non che prima fosse un gran chiacchierone, ma è diventato se possibile ancora più taciturno. I suoi occhi, nonostante siano sempre gli stessi, hanno perso un po’ della luce che li contraddistingueva. Il tempo non è stato molto clemente con lui, a giudicare dal suo aspetto, quegli anni devono essere stati veramente difficili. Tutta la sofferenza è ben leggibile sul suo volto. Ha una ruga in mezzo alla fronte che è sicuro prima non ci fosse, un po’ di occhiaie e le rughette intorno agli occhi che tanto gli piacevano sembrano essere diventate un po’ più profonde.

Nonostante i tentativi di Alvise di coinvolgerlo nella conversazione, Manuel continua a fissare il suo piatto e, tralasciando qualche piccolo monosillabo, non dice niente.
Simone non riesce a vederlo così, non riesce ad averlo davanti dopo tutto questo tempo e dover sopportare il suo silenzio.

«Hai… hai tagliato i capelli?»
«Già.»
«Ti stanno bene.»
«Non è vero, ma grazie.»

Dario, seduto accanto a Simone, gli stringe un po’ un ginocchio per confortarlo. Ma lui non vuole conforto, specialmente non dal suo fidanzato, non quando ha davanti il ragazzo che gli spezzato il cuore ed ha deciso di tenerne un pezzetto per sé.
E soprattutto non quando questo ragazzo ha tutta l’aria di aver attraversato l’inferno.

Se Alvise si accorge di quella strana tensione tra i due, lì per lì, non lo dà a vedere, ma Manuel lo conosce bene. È cosa certa che quando rimarranno da soli partirà il terzo grado e spera di poter rimandare quel momento il più possibile. Anche perché, come potrebbe descrivere ciò che sta provando? È uno scrittore per la miseria, il suo lavoro sono le parole, dovrebbe essere in grado di fare un discorso convincente, ma non se l’argomento è Simone, non se lo scopo di quel discorso è raccontare quanto sia stato codardo e stronzo e stupido – e tutta una serie di altri aggettivi poco gentili – ad averlo trattato in quel modo.

Arrivati al dolce, le parole dette da Manuel si contano sulle dita delle mani.
Non vorrebbe trovarsi lì ed all’inizio per un attimo ha anche pensato di andarsene, ma rispetta troppo Alvise per scappare senza una spiegazione.
E quindi sta lì seduto, sopporta, tiene lo sguardo basso e, cosa più importante, cerca di evitare quello di Simone.
Sta bene, è in forma, sembra felice, è andato avanti. Ha un fidanzato che lo guarda in quel modo…

… quel modo. Lo stesso modo in cui Simone guardava lui qualche anno prima.

Al momento dei saluti, Alvise fa promettere ai ragazzi che torneranno a trovarlo e, quando lasciano l’appartamento, Manuel può finalmente tornare a respirare.

Profumi come pioggia di novembreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora