Alvise

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Manuel Ferro, romano, talentuoso giovane scrittore, figlio ingrato.

Se qualcuno dovesse scrivere il suo necrologio probabilmente userebbe queste parole.
La sua misera esistenza si può condensare tutta in quella manciata di sillabe. Del Manuel ribelle, avventato e curioso resta solo un pallido ricordo.
Non ha più quella luce speciale negli occhi, non ha più nemmeno i suoi ricci. Niente più moto, niente più officina, niente.

Se gli chiedessero di descrivere l'inizio del suo declino, forse dovrebbe partire da quella sera in discoteca.

Dopo la partenza di Simone, Manuel si è convinto di star bene, che andasse alla grande, che non sentisse la sua mancanza. La verità è che senza qualcuno da cui tornare, senza un punto fermo, senza una specie di grillo parlante capace di riportarlo sulla retta via, le cose hanno iniziato a precipitare.

Quella sera in particolare, si è messo a fare il cretino con una bionda e la sua insistenza non è stata molto apprezzata dal fidanzato di lei.
Dopo avergli più volte intimato di starle alla larga e di smetterla di provocarlo, il tizio, un omone quasi tre volte lui, lo ha preso per il collo e lo ha portato fuori dal locale.
A Manuel, stordito dall'alcol e dall'erba fumata poco prima, è sembrata una buona idea scagliarsi contro quel tipo e finire per essere usato come un sacco da boxe.

Ha pensato seriamente che sarebbe morto.
Lì, in quel vicolo buio, tra la puzza di piscio ed il miagolio seccato di qualche gatto randagio, Manuel ha creduto davvero di essere arrivato alla fine. Mentre quello continuava a sfogarsi su di lui, a riempirlo di pugni e calci, un solo pensiero gli ronzava nella testa: perché mi hai abbandonato Simò?

Ed è stato una specie di miracolo che
qualcuno passasse di lì il mattino dopo è lo trovasse, rannicchiato in un angolo, con le braccia strette allo stomaco.
Ad Anita è quasi venuto un colpo quando ha visto le condizioni della sua faccia.

È stato ricoverato in ospedale un'intera settimana. Due costole rotte, uno zigomo fratturato, lesioni al setto nasale, una spalla lussata. Contusioni varie, ferite, ematomi, il corpo completamente ricoperto da macchie blu e giallastre.

Certo, condizioni fisiche preoccupanti, ma la ferita più grave è stata quella inferta al suo cuore.

Manuel, cuore spezzato ed un bagaglio emotivo pesantissimo da portare sulle spalle, da quel momento ha iniziato un nuovo e triste capitolo della sua vita.

È successo tutto nel giro di pochissime settimane.
Ubriaco e strafatto di chissà cosa ogni sera, ogni sera un locale diverso, ogni sera una diversa compagnia. Sua madre ci ha provato a rimetterlo sulla giusta strada ed anche Dante ha fatto un tentativo, ma senza alcun risultato.
Ai due non è rimasto altro che restare a guardare la sua vita andare in frantumi.

Manuel, stanco di essere guardato con compassione, esausto per tutte le lamentele ed i rimproveri di sua madre, ha preso i suoi pochi averi ed è andato via da casa.

Ha vissuto prima in uno scantinato abbandonato circondato da tossici disgraziati quasi quanto lui, poi è riuscito a prendere in affitto una stanza in una topaia nella periferia di Roma, nel peggior quartiere della capitale.

Sono stati momenti terribili, specialmente per Anita. Niente chiamate, niente messaggi, nessun segno di vita da parte del figlio nonostante la sua continua insistenza.
Non si è mai arresa con Manuel.

Ed è proprio in questo periodo buio che Manuel ha fatto l'incontro della vita. Alvise.
Ora, qualcuno potrà domandarsi che diavolo di nome sia Alvise, ma un nome è soltanto un nome, giusto? Non è veramente importante.

Manuel, dopo l'ennesima mattinata passata a vagabondare e guadagnare qualche spicciolo con lavori più o meno leciti, è ritornato al suo squallido appartamento e, davanti al portone, ha incontrato un uomo carico di borse della spesa e vari pacchetti.

Profumi come pioggia di novembreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora