3, Snow White

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Martedì 5 settembre 1995, ore 10:22, Brighton, East Sussex, Inghilterra, Zefiro Mental Health Psychiatric Hospital, stanza delle creazioni.

Era tornato nella propria camera a disfarsi dell'abbigliamento notturno, a lavare i denti e la faccia, e a indossare un vestiario consono. Non che esistesse un vestiario propriamente consono, giacché era affidata agli ospiti la più completa libertà, sotto quel punto di vista.

Sedeva su di uno sgabello dal tetto rotondo, imbottito. La trama grezza della tela che aveva davanti, dapprima bianchissima, immacolata, ora sfoggiava la proiezione recondita del suo stato d'animo. E lo riteneva straordinario, persino assurdo: non aveva avuto coscienza, prima di quel momento, di poter cavare qualcosa dalle proprie viscere. Non una parola, un colore, e men che meno un sentimento.

Accarezzava l'intreccio ruvido con la sommità del pennello e vi depositava pigmenti molteplici e vari, cupi e sgargianti, gradevoli e raccapriccianti.

Tutt'intorno a lui sostavano individui di differente genere e generazione. Nessuno di loro era abbigliato in maniera elegante, e neppure troppo sobria.

Era bello essere lì. Si stupì di averlo pensato, anche solo per un secondo, però era vero. Era bello e si sentiva incredibilmente a proprio agio.

Dal fondo della sala proveniva una melodia dolce, eufonica, prodotta dallo schiacciare tenue sui tasti di un raffinato pianoforte a coda.

Era Louis l'artefice di quel miracolo. Impettito, aggraziato, prodigiosamente agile. Portava indosso una camicia dotata di chiusura alla coreana che si aggrinziva con ogni scatto lesto delle braccia.

Non riservava a quei tasti un solo, insulso sguardo. Non ne aveva bisogno.

La sua arte era impeccabile, sublime, perfetta, come perfetta era la retta incisa sui suoi zigomi arrotati, sporgenti.

Non ricordava di aver mai conosciuto qualcuno di altrettanto incantevole.

«Che cosa stai dipingendo?» s'incuriosì Zayn, strappandolo alla corrente dei propri pensieri.

«Oh... non lo so, a dire il vero» ammise, concentrandosi sulla tela. «Niente di concreto».

«Tutto ciò che disegniamo ha un significato, anche quando non ce ne accorgiamo» insistette l'altro, incrociando le braccia sul petto. «Hai tracciato ventiquattro trattini rossi e un trattino verde. Cosa associ al verde?»

«La mela» rispose, prima ancora di rifletterci. Ne rimase talmente sconvolto da picchiare le dita contro le labbra, come a voler ammutolirsi.

«E al rosso, invece?» proseguì a indagare l'assistente. «Cosa rappresenta per te il rosso?»

«Le fragole... le ciliegie, le pesche» mormorò, accartocciando le sopracciglia.

Zayn era in piedi, alle sue spalle. Lo vide annuire tramite la coda dell'occhio. «Sono venticinque trattini in totale. Perché proprio venticinque?»

«Non lo so...»

«Pensaci» incalzò il ragazzo.

In realtà lo sapeva. Sapeva per quale motivo avesse smesso di calcare trattini proprio dopo aver affrescato la venticinquesima lineetta.

Esprimerlo a voce, però, era talmente ostico e doloroso da non aver la certezza di riuscirci.

Inspirò profondamente, e subito dopo espirò.

Disse a mezza voce, sperando che nessuno lo ascoltasse e che rimanesse un segreto: «Venticinque... il giorno di Natale».

«Che cosa è successo il giorno di Natale?»

Crying on the inside [Larry Stylinson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora