8, Tu sei Harry?

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Giovedì 28 settembre 1995, ore 20:02, Brighton, East Sussex, Inghilterra, Zefiro Mental Health Psychiatric Hospital, corridoio al piano terra.

«Sì, mamma, te lo ripeto, sto mangiando abbastanza!» sbuffò Harry, appoggiando la spalla alla parete. La cornetta del telefono era incastrata tra questa e l'orecchio, le gambe intrecciate sul pavimento.

Non aveva idea di come sganciarsi dalla conversazione. Ci provava da dieci minuti tondi, ma ogni volta in cui si avvicinava all'obiettivo – quasi per miracolo – sua madre trovava un nuovo argomento da trattare, oppure cedeva l'apparecchio a suo padre.

Louis lo stava aspettando in mensa. Era certo che avesse già perso la pazienza.

«Mancano pochi giorni al tuo rientro» rammentò la donna, chiaramente in fibrillazione. «Sei contento? Potremmo organizzare una festa. Tua cugina Nancy collabora con un catering, da qualche settimana. Te lo avevo detto? Potrebbe darci una mano».

«Sì, me lo hai già detto almeno cinque volte» notificò, sforzandosi di non apparire eccessivamente annoiato.

Erano troppe parole da sopportare, troppe informazioni inutili davanti alle quali fingere un moderato interesse. Era risultato più semplice, all'inizio, ma col passare dei giorni aveva smarrito il fasullo entusiasmo sul quale adagiarsi, e non scorgeva alcun altro espediente per mostrarsi credibile.

«Una festa? Non pensi sia esagerato?»

«E perché no? È un traguardo importante il tuo».

«Non c'è nessun traguardo» contestò, irritato. «Sono ancora vivo, questo è tutto! E poi non so quali intenzioni abbiano. Magari decideranno di non dimettermi».

«Non avevi detto di stare molto meglio?» si rammaricò l'altra.

«Certo, io sto molto meglio, perché sono qui» evidenziò, gesticolando, sebbene la madre non potesse vederlo. «Non sono pronto a interfacciarmi con una realtà tanto differente da questa. Magari mi servirà ancora un mese, oppure due, chi lo sa».

«Due mesi?» si oppose la donna. «Non era questo il piano».

«Le cose cambiano di continuo, mamma» sbottò, raddrizzando la postura, guidato dall'impeto della rabbia. Addolcì tono e atteggiamento all'istante, nel momento in cui si accorse di avere compagnia.

Louis gli stava di fronte, sorridente e bellissimo, come sempre. Si rizzò sulle punte, poiché era dotato di una statura ridotta, rispetto a lui, e accostò alle sue le labbra, trattenendosi a morsicare quello inferiore.

«Mi libero subito» promise Harry, sovrastando il microfono con il palmo.

Intanto che sua madre insisteva a sproloquiare su quanto giudicasse negativa la sua condotta, Louis ingaggiò un'espressione di furbizia e fissò lo sguardo nel suo, come a voler consegnargli un messaggio.

Harry addossò le spalle al muro e inarcò la schiena, rimanendo a osservarlo. Il ragazzo sfilò il bottone dalla fessura e squarciò la cerniera dei suoi jeans, per poi abbassare la molla dei propri pantaloni di tuta.

Lui trasalì e scattò col capo da una sponda all'altra del corridoio, esaminando la situazione. «Ma che fai?» sussurrò, sbalordito.

L'altro non si scompose, né si lasciò condizionare dal suo allarmismo. Stimolò il suo membro ancora morbido con il pugno raccolto, fino a che i tessuti non si irrigidirono e l'erezione non si manifestò nella sua intera estensione.

Acchiappò dunque entrambe le intimità con un palmo, schiacciandole una contro l'altra, massaggiandole dall'alto al basso.

Ammaccò le labbra contro le sue, diffondendo gemiti sommessi. I testicoli, scossi dal moto focoso, violento, si sfioravano a intervalli.

Crying on the inside [Larry Stylinson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora